Cosa resta a Gaza

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Cosa resta a Gaza

Volevo fotografare la devastazione che avevo davanti ai miei occhi in un modo che potesse riguardare tutti. Quindi ho preferito concentrarmi sui dettagli di ciò che è rimasto piuttosto che su quello che è stato distrutto.

All'inizio di settembre sono andato a Gaza per documentarmi sui traumi infantili nella zona e seguire il lavoro svolto da associazioni come la Hope and Play e i loro partner locali, quelli del Canaan Institute. Questo viaggio mi ha portato soprattutto nelle zone residenziali, dove il livello di distruzione che il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha definito "al di là di ogni possibile descrizione" mi ha lasciato senza parole.

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L'operazione Protective Edge lanciata dall'IDF su Gaza quest'estate ha lasciato più di 2.000 morti e 11.000 feriti. Interi quartieri sono stati rasi al suolo, sono state distrutte 18.000 case e 108.000 persone sono rimaste senza un tetto sopra la testa.

Volevo fotografare e ritrarre la devastazione che avevo davanti ai miei occhi in un modo che potesse riguardare tutti. Quindi ho preferito concentrarmi sui dettagli di ciò che è rimasto piuttosto che su quello che è stato distrutto. Un ferro da stiro, un gabinetto, dei giocattoli, un bicchiere: ho fotografato oggetti di uso comune esattamente dove si trovavano, cercando di non cambiare nulla e di non intervenire sul contesto se non attraverso la scelta dell'inquadratura.

Andare in giro con la mia macchina fotografica in mezzo a tutta quella distruzione mi ha fatto sentire a disagio. Molte di quelle case sono diventate delle vere e proprie tombe. Ho visto famiglie scavare tra le macerie nella speranza di ritrovare i corpi dei loro cari, anche settimane dopo i bombardamenti.

Una delle famiglie che ho incontrato stava cercando di recuperare i regali di un matrimonio celebrato poco tempo prima. Volevano conservare una dignità nella morte e offrire degna sepoltura alle vittime, ma non c'è molta dignità nel vederti distruggere ciò che hai di più caro e ritrovare sotto gli occhi di tutti ciò che un tempo era la tua intimità.

Ecco perché ancora oggi queste immagini mi provocano un certo disagio. Ma se le famiglie impegnate nelle ricerche non mi avessero invitato, non le avrei mai scattate. E se guardandole non mi sentissi a disagio, vorrebbe dire che non sono riuscito ad avvicinarci alla devastazione, che è il motivo stesso per cui è nato il progetto.

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