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Il festival di Parco Lambro ricordato da chi c'era

Al Festival del Proletariato Giovanile di Parco Lambro, negli anni Settanta, la controcultura italiana è cambiata per sempre. Abbiamo parlato con chi c'era per capire in che modo.
Vincenzo Ligresti
Milan, IT

Tutte le foto di Parco Lambro, Milano © Dino Fracchia.

Se chiedeste a chi era a Milano negli anni Settanta di condensare ai minimi termini la controcultura dell'epoca, c'è chi risponderebbe con due parole esatte: Parco Lambro. Non con l'accezione di area ambientale, ma come sinonimo del Festival del Proletariato Giovanile.

In effetti, per chi non lo sapesse, Parco Lambro è davvero un'area con alberi e tutto il resto, ma da quando a metà degli anni Settanta ha ospitato le ultime edizioni del Pop Festival organizzato dalla rivista Re Nudo, è diventato anche una sorta di manifesto fattuale, di orgoglio e disfatta di un'intera generazione.

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A testimoniare come si svolgessero le giornate del festival e chi lo frequentasse sono rimaste dozzine di fotografie scattate dal fotografo Dino Fracchia. Di recente queste immagini sono state l'oggetto di un mostra, organizzata dallo spazio Forma Meravigli che domani, per la sua conclusione, ha organizzato un evento con artisti e materiali video per ricreare l'atmosfera di allora.

Durante i mesi di apertura della mostra, tra il pubblico ci sono stati molti dei partecipanti delle ultime edizioni del festival. Ho quindi deciso di contattarli per ascoltare le loro esperienze personali, capire davvero com'era essere lì, e cosa possiamo imparare.

FRANCESCO, 59 ANNI

Fin da ragazzino sono sempre stato un bastian contrario. Ma negli anni Settanta, la maggior parte della gente era tutta schierata, non importava se a destra o a sinistra—come poi successe a Parco Lambro. Per questo alla fine le prendevo sia da una parte che dall'altra: sapevo anche difendermi, ma a ripensarci ne ho davvero prese.

Avevo fatto le medie in una scuola sperimentale, la "Scuola umanitaria," in via Pace. Diciamo che il programma non era proprio quello ministeriale, si usavano i primi computer dell'Olivetti, e la mia professoressa di italiano si professava anarchica. Quella scuola era scomoda, così alla fine sono riusciti a chiuderla. Dal canto mio, ho provato a cambiare diversi licei dopo, ma non sono mai riuscito ad ambientarmi. Così ho iniziato a fare diversi lavoretti in giro.

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Tutto questo per dire che ero un amante della "biodiversità," ed essendo un amante della biodiversità, a 16 anni ero già finito nella macchina di amici in direzione Ballabio per uno dei primi Festival del Proletariato e capire cosa si facesse a un Festival. In questa maniera ero entrato in confidenza con alcuni degli organizzatori di Re Nudo, quindi, anche se non ne ero un assiduo frequentatore, mi capitava di buttare un occhio alla redazione, quando passavo da China Town.

Avevo 19 anni quando ho calpestato Parco Lambro nel '75. C'erano quelli che potenzialmente mi avrebbero menato, e i vari freak che cercavano una terza via. Ma oltre al miscuglio a livello politico, c'era davvero gente di tutti i tipi e di tutte le specie, dal sottoproletariato che più sotto non si può ai piani alti del radical chic. La cosa che colpiva è che in tutto questo marasma, c'erano anche le ragazze che al di fuori del festival sarebbero state irraggiungibili. Ma lì, tra la gente di diverse estrazioni sociali, ci si poteva incontrare senza evitarsi.

A proposito di ragazze, mi ricordo che ne avevamo conosciute alcune e che nell'arco di poche ore eravamo finiti insieme. Succedevano queste cose, ma poi se per caso qualcuna ti sostituiva come partner, non potevi esserne geloso–la gelosia non era contemplata.

Oltre alle ragazze, e ai dibattiti politici, i concerti, c'erano anche le droghe. Molti la offrivano in cerchio dopo essere tornati da un viaggio in India, Afghanistan, Thailandia. Tra questi, alcuni li chiamavamo "Botta continua"—erano quelli sempre fatti.

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Dell'edizione del '76, invece, si ricordano spesso più i momenti di violenza gratuita, rispetto a cui però, vorrei puntualizzare, la maggioranza di noi era estranea e in disaccordo.

Purtroppo, anche se non ne faceva ufficialmente parte, alla fine la cultura della violenza si era appropriata in un certo senso dell'atmosfera del Festival. Ma il vero dramma è stato perdere per strada molti amici e conoscenti a causa dell'eroina. All'interno di Parco Lambro, per esempio, accedevano e venivano beccati solo i piccoli spacciatori, mentre quelli che chiamavamo "cavalli", i grossi pusher, rimanevano fuori. Un esempio che spiega come questa nuova droga di cui non si sapeva ancora molto sia stata immessa dall'alto per contribuire alla distruzione del movimento.

Tralasciando la parte triste, Parco Lambro è stata l'espressione estetica e tangibile della voglia di cambiamento che si viveva negli anni Settanta. Lo vedevi dai capelli lunghi, dai balli, dalle espressioni. Era il periodo in cui si era intuito che non bisognava vivere per lavorare, ma lavorare per vivere, e che la rivoluzione si potesse fare insieme. Parco Lambro è stato un tentativo, e come tale insegna ancora oggi che bisogna tentare, per non avere rimorsi in seguito.

FABIO, 60 ANNI

Non mi ero accorto che fossero già passati 40 anni. Ho presenziato a tutte le tre edizioni di Parco Lambro, ma in un certo senso sempre da esterno. Ero quello che si definiva "un cane sciolto," a cui capitava sporadicamente di frequentare i centri sociali senza esserne coinvolto del tutto.

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Tanto che, quando comprando la rivista Re Nudo lessi che veniva organizzato un Festival, i miei genitori non accolsero molto volentieri la mia richiesta di poter andare e i miei amici più cari non vollero accompagnarmi. Questo perché radio, tv e il resto dei giornali non facevano una bella pubblicità al movimento underground.

Così nel '74 decisi di andare da solo, ma solo durante l'ultimo giorno—il permesso mi era stato concesso all'ultimo. La verità è che ciò che mi aveva spinto davvero a insistere e ad andare era stato proprio il programma dei concerti che avevo letto su Re Nudo. C'erano alcuni tra i miei gruppi e musicisti preferiti—gli Area, i Perigeo, gli Stormy Six—e avevo intenzione di fotografarli. Nel limite del possibile, perché massimo alle 10.30 sarei dovuto rientrare in casa, che per fortuna era nelle vicinanze.

Mi ricordo che ai controlli all'ingresso mi bloccarono subito, dicendomi che non avrei potuto portare all'interno del Parco la macchina fotografica. Alla fine mi dissero che lasciando un'offerta avrei potuto, e mi diedero un badge che certificava questa sorta di deroga. Unico divieto: non avrei potuto usare il teleobiettivo—teleobiettivo che ovviamente, seppur con discrezione, ho usato lo stesso sotto il palco e non solo.

A essere sinceri, il palco era tutto ciò che mi interessava, ed è stato l'unico elemento che nelle varie edizioni a seguire mi ha dato davvero qualche difficoltà. Nel '75, infatti, continuavo a salire e scendere dal palco a seconda degli umori di chi faceva servizio d'ordine—di solito gente di Lotta continua. Ma ne è valsa la pena: l'edizione di mezzo, a livello musicale, è stata la migliore. E l'ho potuto constatare anche grazie al permesso di stare oltre la mezzanotte mentre Massimo Villa introduceva i gruppi. Avevo una sorta di feticismo nei confronti di quell'uomo, perché seguivo sempre il suo programma Per voi giovani su Rai Radio 2 e vederlo dal vivo mi faceva uno strano effetto. So che può suonare strano, ma a quei tempi le persone che lavoravano nei media erano poche, e la loro celebrità decuplicata.

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La vera epifania, però, è arrivata all'ultima edizione, quella del '76. A giugno avevo finito scritti e orali della maturità al meglio, e i miei, pur essendo rigidi come le famiglie borghesi dell'epoca, mi concessero di poter rimanere tutta la notte fuori. Così potei stare fino all'alba a vedere Massimo Villa che introduceva Franco Battiato, gli Area, Franco Cerri e tutti gli altri, fino alla jam session finale all'alba, poi inserita nel disco ormai introvabile dello stesso anno.

Per quanto riguarda il contesto in generale, mi è sempre interessato relativamente. Sì, sono stato testimone durante l'ultima edizione di alcuni disguidi, visto degli spacciatori, osservato mine vaganti piuttosto agitate, ma non mi è mai successo nulla. E l'ambiente era in realtà più sereno di quanto ormai si riporta.

A Parco Lambro è rimasta in sospeso una sorta di opera incompiuta, il tentativo di un sogno utopico—­l'hanno definita addirittura la Wodstock italiana, che per certi versi è vero.

ANDREA, 58 ANNI

Per un ragazzo di 17 anni che si ritrovava a vivere l'esperienza di Parco Lambro, tutto sembrava più bello di quello che in realtà poteva essere. Ne parlo col senno di poi, e proprio per questo posso confermare che è stato uno dei momenti più importanti per la mia crescita personale e per quella di molti altri. Con molti degli amici che avevo all'epoca ancora sono in contatto, e sono stati proprio loro a indicarmi una foto corale di quel periodo in cui ero accanto a qualcuno di molto importante per noi, ma che non c'è più ormai da molto tempo.

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Frequentavamo tutti il centro sociale del Giambellino, organizzavamo sempre iniziative per il quartiere, partecipavamo alle manifestazioni studentesche, ed eravamo in costante contatto con gli altri centri, non solo quelli di Milano come il Leoncavallo, ma anche con gli altri sparsi per l'Italia. E, ovviamente, partecipavamo ai Festival del Proletariato giovanile.

All'edizione del '75 ricordo che andavamo lì in giornata e poi tornavamo a casa, dopo aver assistito e partecipato a concerti e dibattiti. All'edizione del '76, invece, ci eravamo organizzati un po' meglio. Avevamo preso due tende da otto persone, e restavamo a dormire lì. Anche se, in realtà, si dormiva molto poco.

D'altronde, nascevano spontanei quei momenti di divertimento in cui si suonavano percussioni, si fumava, si ballava­—per quello non c'era mai orario. Senza contare che i costumi collettivi erano molto più disinibiti: dentro o fuori dalle tende, le logiche delle relazioni non potevano essere definite con parole come "fidanzato" o "fidanzata."

A parte noi del centro sociale, l'ambiente era molto variegato, ma si potevano distinguere due macro categorie. La prima, per ridurre il tutto ai minimi termini, era composta da gente che era lì sotanzialmente per divertirsi; la seconda da gente che oltre a divertirsi, era anche molto impegnata a livello politico.

A conferma di ciò, partecipavano anche diverse associazioni, tra cui il "Cosm" e "FUORI", che rappresentavano le realtà omosessuali all'interno del circuito della sinistra extraparlamentare. Due esempi che descrivono bene quanto una realtà ancora considerata un tabù dalla società fosse ritenuta normale dal movimento.

Questo per dire che, nonostante la sua triste conclusione, Parco Lambro fosse anni luce rispetto alla cultura repressiva di allora. E, passi legislativi in avanti a parte, forse anche del clima culturale attuale.

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