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La sorveglianza dell'NSA è molto più vicina di quanto pensiate

Quit the doner intervista Fabio Chiusi sui primi e gli ultimi sviluppi del caso Datagate, su come evitare la sorveglianza elettronica e sul perché andare su facebook non dovrebbe più essere la stessa cosa.

Il quartier generale dell'NSA a Fort Meade, nel Maryland. Via.

Nel giugno del 2013 il mondo ha scoperto di essere sotto sorveglianza elettronica. È successo quando Edward Snowden, un dipendente dell’NSA—il servizio segreto interno degli Stati Uniti—è fuggito delle Hawaii a Hong Kong e ha consegnato a giornalisti del Guardian e del Washington Post documenti riservati che rivelavano l’esistenza di una gigantesca attività di spionaggio americana sui i dati elettronici dei cittadini stranieri e americani, una sorveglianza organizzata attraverso molti programmi con nomi e funzioni diverse, il più famoso dei quali è divenuto Prism.

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Da lì in poi alle rivelazioni sui sistemi di sorveglianza ne sono seguite altre e si è scoperto che gli Stati Uniti probabilmente non sono nemmeno i soli a spiare i propri cittadini e quelli di altri Stati. In America, Francia, Germania e Inghilterra queste rivelazioni hanno creato un grande dibattito pubblico su privacy e potere. Meno intenso è stato l’impatto giornalistico e politico che queste notizie hanno avuto in Italia, impegnata a parlare indovinate un po’ di chi.

In questo scenario, uno dei pochi nel nostro Paese a occuparsi approfonditamente e con competenza di quella che a tutti gli effetti è una svolta radicale nella storia delle democrazie occidentali è stato Fabio Chiusi, giornalista e blogger. Con la recente rivelazione che anche i leader politici europei erano sotto controllo americano, la questione è tornata ad occupare le prime pagine dei giornali, comprese questa volta anche quelle italiane. Abbiamo perciò deciso di discutere con lui di sorveglianza elettronica, delle sue implicazioni per vita democratica e personale, oltre a chiedergli cosa dobbiamo aspettarci per il futuro e cosa possiamo fare per proteggerci dallo spionaggio della nostra vita privata.

VICE: I programmi di controllo sono pressoché infiniti: Prism, Blarney, Xkeyscore, Boundless informant… come si differenziano?
Fabio Chiusi: Ci sono i programmi che raccolgono dati, e in vari modi (dall'accesso ai dati delle aziende, alle intrusioni informatiche, all'allacciamento ai cavi che li trasportano) e programmi che sistemano le informazioni e le rendono consultabili. Per tutte queste tipologie abbiamo solo una vaga idea di come realmente funzionino, anche meno vaga grazie ai documenti di Snowden.

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E nel frattempo si è passati dal negare i fatti al "be’ siamo sotto controllo, fatevene una ragione," spesso detto da chi un giorno sì e l’altro pure condannava le polizie politiche segrete dei regimi comunisti o dittatoriali.  Come ti spieghi questo atteggiamento?
È talmente distante dal mio approccio alle cose che faccio davvero fatica a spiegarmelo. Siamo portati a pensare che sia un atteggiamento solo italiano ma è molto peggio di così, perché anche all'estero il problema esiste eccome. Credo sia un misto di pigrizia, ignoranza, saccenza e incapacità di pensare davvero a come si possano affrontare problemi che non sembrano avere una soluzione racchiudibile in uno slogan o in un tweet. Parlo di svariati media (non tutti, ci mancherebbe) ma anche di moltissimi cittadini che preferiscono limitarsi a banalizzare ('le spie spiano, sai che novità') piuttosto che fare lo sforzo per comprendere che le cose sono molto più complesse di così. In questi giorni per esempio i giornali - diversi giornali - hanno riportato svariati spunti di riflessione, dati precisi, accuse circostanziate, però guarda caso la politica interviene solo quando scopre di essere intercettata e dopo mesi di un silenzio vergognoso e ingiustificabile.

Quello che è finito sulle prima pagine dei giornali in questi giorni si sapeva già da alcuni mesi, perché tutta questa attenzione improvvisa? Solo per il ruolo dei politici come intercettati?
C'è un'accusa nuova, quella del parlamentare di SEL emembro del Copasir Claudio Fava, che ha parlato d’incontri ai massimi vertici a cui ha preso parte personalmente poche settimane fa. L'ho scritto sul mio blog, per capirci, Fava dice questo: “Dai nostri qualificatissimi interlocutori abbiamo avuto la conferma che telefonate, sms, e-mail tra Italia e Stati Uniti, in entrata e in uscita, sono oggetto di un programma di sorveglianza elettronica del governo Usa regolato esclusivamente dalle leggi federali, che, per quanto i nostri interlocutori ci hanno ribadito, sono la sola bussola che governa questo tipo di attività di spionaggio.” Cioè il contrario di quanto ha detto Minniti al Copasir. Pare,perché anche lì ci sono due versioni contrastanti: quella rassicurante affidata alle agenzie, e quella molto meno rassicurante riportata da Fiorenza Sarzanini sul Corriere.

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Questo è il risultato di dare 'chiarimenti' solo a porte chiuse: non si capisce niente e non c'è modo di verificare cosa sia realmente successo. I dati erano disponibili da luglio, bastava cercarli. Si parla di 46 milioni di metadati da conversazioni telefoniche (dal grafico di Der Spiegel non risultano comunicazioni via internet). Per 70 in Francia è successo il finimondo, in Italia il mio post sull’argomento fatica a raggiungere il centinaio di condivisioni [la stampa ne ha parlato solo oggi]. La questione è che si è cercato il più possibile di minimizzare. La colpa è certamente delle istituzioni, ma anche di quei giornalisti che, pur avendo ripetutamente la possibilità di porre certe domande sul Datagate al governo, hanno troppo spesso preferito concentrarsi su retroscena politici.

A leggere certi titoli sembra addirittura che qualcuno provi a sostenere la tesi che l’Italia fosse talmente irrilevante da non essere spiata, ti sembra una posizione sensata?
Non penso sia sostenibile, primo perché non penso sia così irrilevante e poi perché i cavi sottomarini intercettati—secondo l'Espresso—dagli omologhi britannici dell'NSA, il GCHQ, come ha scritto Carlo Bonini su Repubblica, trasportano i dati italiani insieme a quelli dei paesi delle "primavere arabe"—o di ciò che ne resta—per esempio, per cui in un modo o nell'altro i dati rientrano. Il punto è capire che il sistema d’intercettazione e sorveglianza è globale, e che non si capisce perché gli USA dovrebbero spiare Francia, Germania, UK e non l’Italia. E infatti i dati di Boundless informant, la mappa che indica la provenienza degli elementi di intelligence raccolti, mostra chiaramente che anche l’Italia è controllata.

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Nel sottovalutare la questione, parte della causa è anche che negli ultimi anni non abbiamo avuto una strategia geopolitica autorevole?
Non saprei, mi sembra che conti di più come qui prevalga la cultura del controllo su quella dei diritti, per non parlare del fatto che il nostro è un paese flagellato da dibattiti inutili sul tema intercettazioni da anni. Per molti questa non è che un'aggiunta al dibattito su Berlusconi intercettato al telefono con le Olgettine. Chi lo pensa non capisce che questa questione rappresenta un punto di svolta rispetto all'intera architettura della rete e per la sua governance a livello globale. Altro che Berlusconi, qui c'è la Germania che vuole farsi la sua rete. Preoccupante.

Gli uffici della NSA negli anni Settanta. Via.

Ragionando su questi sistemi di sorveglianza, quanto sono pericolosi oltre che per la privacy dei cittadini, per le industrie già in difficoltà per la congiuntura economica?
Molto, vari istituti di ricerca hanno stimato un danno economico sostanzioso per l'industria del cloud computing. Negli Stati Uniti le stime variano da 35 a oltre 100 miliardi di dollari. Del resto tutto il sistema del cloud computing si basa sulla fiducia, quella dell'utente nell'azienda che ne detiene i dati. Se quella fiducia viene meno, la voglia di affidare le proprie foto, i video, i documenti, a un altro soggetto potrebbe scemare. Il rischio è che si balcanizzi internet, che si faccia ricorso a servizi locali e che si promuovano norme iper-locali. È la posizione che all'ultimo Internet Governance Forum, a Baku, avevano paesi autoritari come la Russia e l'Iran, non so se è una buona idea.

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Parlando invece delle industrie italiane, poniamo che qualcuno si trovi a trattare con grosse multinazionali di Paesi che hanno in piedi programmi di sorveglianza elettronica, l'accesso alle email e alle telefonate dei manager può cambiare decisamente le carte in tavola, anche se per il momento non credo ci siano prove in questo senso e non credo se ne potranno mai avere, considerata la riservatezza assoluta che circonda sempre questo tipo di affari.
No, non mi pare ci sia nulla su questo e non conosco studi sull'impatto del Datagate sul business in Italia.

Ed è una possibilità che ti sentiresti di escludere?
Sinceramente non lo so. Sappiamo che c'è stato spionaggio del colosso petrolifero brasiliano, Petrobras e che le questioni commerciali vengono sorvegliate eccome, c'è addirittura un gruppo di lavoro dedicato che riguarda 13 paesi.  Ma non ho letto nulla di specifico sull’Italia. Quello che sappiamo per certo è che esistono aziende italiane che producono software di sorveglianza, questo sì, anche vendendoli a regimi autoritari. E non dimentichiamo che pure loro spiano, eccome se spiano.

Che tipo di software?
Software che servono per infiltrare computer di attivisti, mettere sotto controllo webcam, chat, perfino ogni tasto battuto sulla tastiera, tutto a loro insaputa così che poi la polizia segreta possa intervenire, prelevarli e punirli. Chiaramente i software non sono creati appositamente per questo obiettivo: vengono venduti per le intercettazioni legali, per reprimere criminalità e terrorismo. Ma si possono usare anche contro attivisti e dissidenti politici e avviene ed è avvenuto, dalla Siria alla Libia anche con prodotti italiani.

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La questione è delicata, perché la vendita è perfettamente legale, in assenza di un esplicito divieto motivato da circostanze contingenti. È il cosiddetto problema del “dual use”: lo stesso software si può usare per reprimere il crimine o per commettere crimini, come si impedisce il secondo uso, e si incentiva il primo?

Terrorismo è sempre la parola chiave: qui tu stesso evidenzi come i sondaggi in America mostrino una grande accettazione dello spionaggio elettronico finché c'è la parola terrorismo nella domanda, mentre se la si sostituisce con "reati comuni" il consenso diminuisce parecchio.
Credo sia l'onda lunga dell'11 settembre e del modo in cui quella tragedia (non) è stata assimilata negli States. L'amministrazione Bush ha nutrito la paura e la repressione. Obama non ha fatto molto di diverso, lo abbiamo appreso anche grazie a Snowden, ma lo sapevamo per come ha trattato Manning e per la promessa non mantenuta di chiudere Guantanamo.

Il terrorismo è un pericolo reale, non è un'invenzione, quindi un fondamento per giustificare la sorveglianza c'è. Il punto è: quale tipo di sorveglianza e per quale tipo di minaccia terroristica? Allo stato delle cose, pare ci sia uno squilibrio tra i mezzi dispiegati per combattere il terrorismo e il reale pericolo. Anche perché l'NSA sostiene che il suo apparato di sorveglianza abbia contribuito a sventare oltre 50 attacchi ma le prove scarseggiano, e anzi ProPublica ha raccolto recentemente prove che mostrano come in gran parte degli attentati sventati la sorveglianza digitale c'entrasse poco o nulla.

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Il che è abbastanza incredibile considerato la mole di dati che maneggiano.
È riduzionismo pensare che il problema terrorismo si possa limitare all'insieme dei dati che parlano di terrorismo. Forse bisognerebbe investire più risorse nello sconfiggere i motivi che alimentano l'odio antiamericano e meno nel controllo di ogni conversazione avvenga nel mondo. Ma naturalmente il tema è molto complesso.

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Ora vorrei chiederti una cosa molto pratica, per far capire bene di cosa stiamo parlando. Poniamo una giornata ideale di un 20-30enne che usa telefonate, sms, whatsapp, email, fb, magari twitter: tutto quello che scrive più i suoi metadati, come la sua localizzazione, rimangono a disposizione di tutti gli enti statali che spiano?
È molto difficile dirlo con certezza, quello che sappiamo è che se usi servizi statunitensi molto probabilmente tutto quello che scrivi/dici finisce o può finire nei server dell'NSA. Dipende dagli accordi di collaborazione tra agenzie d’intelligence (strettissimi per esempio tra UK e USA) e dagli accordi tra intelligence e servizi commerciali.  I file di Snowden mostrano che vi sono anche accordi con aziende di paesi diversi dagli Stati Uniti. Quindi la questione è in definitiva quella che poneva il guru della sicurezza informatica Bruce Schneier allo scoppio dello scandalo: “assumete che tutto sia intercettato.” Per quanto ne sappiamo è una buona approssimazione, e Greenwald ha finora pubblicato solo qualche centinaio delle decine di migliaia di documenti in suo possesso. Quindi se si vuole davvero comunicare qualcosa in modo sicuro non resta che imparare a nascondersi dalla vista in chiaro su Internet, imparare a usare strumenti crittografici, e a usarli bene perché l'occhio dell'NSA si spinge anche lì. E anche se fatica a vederci attraverso, qualche volta ci riesce.

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Che contromisure possiamo usare? Esistono Browser o servizi di email sicuri?
Esiste il Tor browser bundle, cioè il pacchetto fornito da Tor, un servizio per la connessione anonima che è sicuro se usato con tutte le precauzioni del caso. Al suo interno c'è anche un browser, quindi si può fare sostanzialmente tutto. Ci sono cautele per scaricare file: meglio per quello utilizzare direttamente un ambiente operativo interamente sicuro.

Cosa intendi per "ambiente operativo interamente sicuro"?
Per esempio un sistema come tails è un sistema operativo sicuro che si lancia tramite una chiavetta usb. In Italia il punto di riferimento per queste tematiche è il Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani. Raccomando a chiunque sia interessato di seguirne i consigli e i progetti.

E i servizi di email?
È un problema, nel senso che la chiusura di servizi sicuri come Lavabit e Silent mail dimostra che anche se il servizio di per sé è protetto non è immune alle pressioni politiche dell'intelligence per ottenere i dati dei suoi utenti. Loro hanno preferito chiudere piuttosto che ottemperare alle richieste, ma è difficile generalizzare.

Ce ne sono alcuni rimasti aperti?
Tails incorpora anche un servizio di mail cifrate.

Però diciamo che se io uso Tor e mi collego al mio Facebook, ci vuole poco a risalire a chi sono durante quella sessione. Posso fare solo degli usi dedicati a scopi sensibili o alla pura navigazione, ma non usare i social.
Non è molto consigliabile farlo, anche perché fb impazzisce se vede che ti colleghi da un ip in un paese che non è quello da cui ti sei collegato cinque minuti prima e fa mille storie… è divertente, prova.

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Ho visto che già con Google mi dà problemi, alle volte mi si rivolge in russo. Ma chi c'è dietro un browser come Tor?
In buona parte gli Stati Uniti. L'hanno finanziato loro. Strano che lo finanzino e poi lo considerino il nemico numero uno, al punto di fare una presentazione top secret intitolata “Tor stinks”. Ma le agenzie governative sono molte e hanno pensieri diversi, dicono gli sviluppatori che ho interpellato al riguardo.

Cosa possiamo fare politicamente invece?
Penso la mia risposta abbia a che fare innanzitutto con il rigetto del determinismo tecnologico applicato alla sorveglianza, cioè il principio che siccome una tecnologia consente di fare una cosa allora non abbiamo alternative al farla. Questo è un punto concettuale, e chi accetta quella premessa non potrà mai cambiare alcunché, temo. Dopodiché, una volta formata un’opinione pubblica in grado di costringere il potere a rigettare questa idea si deve cominciare a combattere perché la rigetti davvero. Accettiamo le tecnologie come dati di natura, invece sono il frutto di scelte umane: gli algoritmi sono costruzioni umane, si possono cambiare. Non sono la struttura di un cristallo: si possono ottenere effetti diversi incorporandoci idee diverse. Per esempio si può ottenere sorveglianza e rispetto dei diritti

Questo però può valere per i comportamenti individuali, mentre qui stiamo parlando di ambiti di potere geopolitico. Mi spiego meglio: se domani gli Stati Uniti smettono di sorvegliare (ahaah) la Cina cosa fa?
Senza dubbio, però non contestare questo passaggio è esattamente la radice del fallimento

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Quindi stiamo parlando sostanzialmente di politiche di riduzione del danno.
È lecito descrivere una situazione in cui la tecnologia consente al potere di andare oltre la legge, ma non siamo costretti a giustificarla.Il passaggio è dal descrittivo al normativo: c'è un apparato di sorveglianza oppressivo, potenzialmente totalitario, ma non è detto ci debba essere. Già riconoscere questa differenza è la radice di una lotta potente contro il potere. Poi chiaro, resta da combattere la guerra e la si può perdere. Anzi è facile perderla quando tutto sommato stai combattendo contro lo stesso modello di business che tiene in piedi le aziende che frequenti tutto il giorno e ti piacciono tanto. Facebook, Google, Apple: stai facendo la guerra anche a loro, in un certo senso. Quello tra governi e aziende è un ecosistema, questo lo si capisce chiaramente dai file di Snowden, in cui i due pilastri sorreggono la stessa struttura, per questo temo sarà una battaglia che finiremo per perdere. La sorveglianza dell'NSA è una cosa lontana, che sembra non riguardarci davvero, mentre Facebook è qui, tutto il giorno, tutti i giorni. Tu ci rinunceresti in cambio di una battaglia di principio? Io temo che accetteremmo, ma saremmo in minoranza.

Il Threat Operations Center dell'NSA. Via.

Però NSA e gli altri organismi di controllo hanno potere retroattivo, immagazzinano tutto e poi possono “surfare” nei tuoi dati, per cui il giorno in cui decidono di venire a prendere me o te, ad esempio  possono leggere questa conversazione (dai messaggi privati di  fb).
Di questo non sono sicuro, c'è un limite temporale di norma al periodo in cui le aziende possono detenere i nostri dati credo. Comunque sì, il pericolo di un uso retroattivo di questi strumenti c'è eccome. È una scelta politica, anche qui, prima che tecnologica: è la scelta di non concedere alcuni livelli di libertà ai propri cittadini. Sta ai cittadini dire: ci sta bene?

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In Austria c’è stato il caso di Max Schrems, uno studente che ha accusato Facebook di violare la privacy, in alcuni casi senza avvertire, e ha richiesto copia dei dati che fb manteneva su di lui dopo la sua cancellazione dal sito e ha ricevuto a casa 1222 pagine d’informazioni sul suo conto.
Sì, il caso in Austria è diventato famoso, l'hanno anche immortalato in un documentario quel papiro, fa impressione. Anche lì però sono dati raccolti in poco tempo. È tutto da capire come sarà possibile viaggiare tra i nostri dati di oggi tra vent'anni. Forse nel frattempo avremo creato delle infrastrutture di rete che dimenticano; forse invece avremo concesso di registrare tutto. Sono scelte che prendiamo adesso ma valgono per i nostri figli e soprattutto per il nostro passato. Tutelare la libertà del nostro passato è veramente tutelare la nostra libertà futura in questo caso.

Permettimi però di insistere su un punto, anche al fine di chiarire meglio. Il problema centrale credo sia il rapporto fra “poter fare” e il “potere politico”. Credi che sia veramente possibile far rispettare una normativa di diritto internazionale sui temi da cui dipende in maniera così rilevante il potere di una nazione? Temo che se una cosa si possa tecnicamente fare, gli apparati di sicurezza la faranno, altrimenti la faranno quelli di altri Paesi. Non so se sei d'accordo con me su questo punto.
In parte. Nel senso: è innegabile che nel potere la forza conta. Ma è anche vero che conflitti come la Guerra Fredda si sono giocati su equilibri dove le due forze sostanzialmente partono da posizioni di parità, e conta come si muovono a seconda di come anticipano le mosse altrui. Non credo gli USA fossero animati unilateralmente da un desiderio di potenza. Credo volessero davvero proteggersi, semplicemente: temo non abbiano capito come farlo. Tanto è vero che tutto questo apparato di sorveglianza poi, alla fin fine, non produce nulla. Inoltre un conto è operare in un certo modo, con una certa forza, con la Cina. Un altro con i tuoi alleati. Qui sembra emergere che la differenza tra la sorveglianza in Afghanistan e quella nel Regno Unito sia il numero di metadati raccolti, non gli strumenti utilizzati. Non la qualità, ma la quantità. Forse invece puoi trattare le due situazioni in modi differenti, e loro al momento invece mi sembrano prigionieri di uno strumento che funziona ovunque allo stesso modo, più o meno. Poi c'è tutto il discorso della overclassification dei documenti, della smania di secretare tutto che poi finisce per dare accesso a documenti segreti a chiunque, e moltiplicare gli archivi, e rendere più semplice violarli. È valso per Manning, vale per Snowden. Quella riforma era il modo in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto reagire al Cablegate, invece hanno buttato in carcere la fonte e, insieme a lei, leloro chance di salvarsi la faccia di fronte al mondo. Avrebbero dovuto dire: è vero, dobbiamo avere meno segreti non solo per questioni di principio, ma perché serve per tutelare davvero i segreti. Invece hanno pensato di reagire nel modo opposto: ribadendo il massimo della segretezza e della opacità, come nel processo di Manning appunto. Ecco, quello è un errore politico, di nuovo. La tecnologia non c'entra, è un difetto di visione. Ed è colpa di Obama.

Però di fatto qui stiamo passando ad un livello superiore. Nel senso che se è possibile organizzare e navigare nei documenti di tutti in tempo reale (ed è solo questione di tempo se già non lo fanno) avranno armi per ridurre al silenzio chiunque in qualsiasi momento. Cosa dovrebbero fare i governi rispetto a questo Panopticon?
Il Panopticon deve scomparire, deve essere distrutto. L'idea che una persona in quanto sempre potenzialmente sorvegliata si comporti meglio di quando invece è libera da ogni tipo di controllo è la radice del totalitarismo, secondo me. Sto leggendo The circle di Dave Eggers in questi giorni e lo mostra benissimo. Nella sua finzione sono tutti sempre controllati da questa sorta di costante ricatto morale, e tutto sembra funzionare, peccato che mentre leggi qualcosa ti costringe a provare repulsione per quella società. La nostra ci somiglia già molto, e temo in futuro ci somiglierà sempre di più. Qui la lotta di principio da fare è al riduzionismo. All'idea che l'uomo sia l'insieme dei suoi dati, delle app che usa, dei numeri che producono sul suo apporto calorico, le sue passioni, le sue abitudini di consumo, ciò che pensa. Il Panopticon oggi è l'accettazione di quel riduzionismo, e la sua applicazione all'idea del controllo sociale, l'idea che siano numeri e un ricatto a essere i deputati della nostra libertà. Ecco: i governi dovrebbero promuovere un sano antiriduzionismo. Che tradotto, significa promuovere tecnologie fatte per uomini, e non uomini fatti per tecnologia. L'Europa ci sta provando, ha in piedi un interessantissimo Onlife Manifesto che di fatto è un tentativo di riflettere in modo critico su come costruire tecnologie che siano sempre sottomesse all'uomo, e non viceversa. E poi devono promuovere l'educazione alla comprensione delle tecnologie, prima che al loro utilizzo. Oggi vogliamo tutti la democrazia digitale, e vogliamo sia semplice. Tutto si deve fare con un click, un pulsante, un bottone sullo smartphone ma in quella semplicità è racchiusa tutta la complessità delle menti che hanno costruito la tecnologia. Ci sono assunti, premesse, possibilità che dipendono dalla testa dell'ingegnere informatico, e non vogliamo siano ingegneri informatici a disegnare il futuro della nostra democrazia senza che noi ci mettiamo il becco.

Esatto: stiamo costruendo un mondo a misura di ingegnere, perché è intriso di un ottimismo disarmante che può avere solo uno con quel tipo di mentalità. L'idea che l'uomo sia potenzialmente perfetto ha sempre creato i peggiori momenti della storia, e noi siamo nel pieno di un’epoca che non solo punta alla tecno-perfezione ma ritiene anche che sia il migliore degli obiettivi possibili.
Morozov lo scrive benissimo nel suo ultimo libro, To save everything click here. La ricerca dell'utopia è ricerca di perfezione. Nel nostro caso, di perfezione matematica di soluzioni esatte a problemi esatti. È un'altra forma di riduzionismo, della politica ad algoritmo, ed è un'altra battaglia che i cittadini dovrebbero combattere, per una democrazia digitale che salvi la politica e non la tecnologia, che contempli per prima la politica e contenga ragionamenti politici. Tutto il contrario della semplicità insomma. Se ci pensi, non è un caso il populismo si sposi a tutto il contrario, a quell'idea di democrazia digitale che ha Casaleggio e pochi altri residuati degli anni Novanta in cui l'intelligenza collettiva, come una miracolosa mano invisibile, prende trentamila scemi e li trasforma nella mente—unica—di un genio. Semplicemente non funziona così, questa idea ingenua di democrazia digitale è la peggiore nemica della democrazia del futuro.

Quanta parte nella timida e lenta reazione dell'opinione pubblica credi abbia avuto l'immagine bonaria e amichevole che aziende come Google, Apple o Facebook hanno attentamente costruito di se stesse per anni?
Non so, sicuramente loro si vendono a questo modo a partire dal motto aziendale ("Don't be evil"), o dalle iniziative para-umanitarie messe in campo (internet.org). Ma credo che più di tutto conti il fatto che questi servizi siano percepiti come indispensabili dagli utenti. Indispensabili e cool in certi casi, come dicevamo. Questo può bastare a sacrificare buona parte della propria privacy anche e soprattutto se non hai percezione del fatto che essere «tutti connessi» vuol dire sicuramente avere più possibilità di accesso a conoscenze, persone, informazioni ma anche essere sempre e tutti controllati, che sia tramite il tracciamento dei nostri click a fini pubblicitari o per via delle intrusioni dell'intelligence. Questo secondo lato della medaglia è molto meno visibile e non so se c'entri il marketing o gli uffici di public relations, ma temo c'entri molto di più la percezione di bisogno, di necessità intrinseca a certi servizi. Del resto sono gratuiti e ci rendono connessi.

Morozov poneva l'attenzione sulla relazione fra gratuità del servizio e dati personali come uno dei grandi nodi del futuro. Se l'apparente gratuità della tv era pagata dalla pubblicità, quindi da un ricarico sulla spesa, l’apparente gratuità della tecnologia web è ripagata in dati personali.
Perché non volere questi servizi? A chi importa davvero che se non paghi, Se sei tu il prodotto, quando in cambio si ha accesso a Facebook, Twitter, Gmail etc senza sborsare un centesimo?

E in effetti, l’aspetto peggiore di questo panopticon digitale è la sua volontarietà.
Continuamente facciamo riferimento a 1984 e a Orwell per pensare al nostro tempo. Ma quello di Orwell era un incubo di coercizione. Il nostro non è un incubo di coercizione, non con la violenza totalitaria e repressiva del mondo di Orwell. Quindi credo che sbagliamo a pensare allo scandalo NSA come alla realizzazione di un Grande Fratello. Lo dicono oramai in molti: il Grande Fratello siamo noi e lo siamo anche se nessuno ci obbliga, il problema reale della nostra epoca è che il potere ha imparato a sedurre senza per questo essere meno minaccioso, Noi ci siamo fatti sedurre, convinti che per esempio l'era dei social media avrebbe azzerato gerarchie, intermediazioni, rimosso ostacoli alle decisioni collettive, promosso il cambiamento dal basso e migliorato la qualità del lavoro, idealmente fino a farlo scomparire. Forse è giunto il momento di chiedersi se quello che accettiamo tutti i giorni loggandoci su facebook sia davvero senza conseguenze come crediamo, o almeno se valga la pena accettare quelle conseguenze come contropartita del nostro stare su facebook.

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Non c'è speranza per il futuro della privacy U](http://www.vice.com/it/read/jacob-appelbaum-non-ha-molte-speranze-per-il-futuro-della-privacy)na storia fotografica della NSA