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Il corpo di Andreotti

Sulla morte di Giulio Andreotti e i costi che la politica non dovrà più pagare.

Lutto fra ex democristiani, UDC, massoni, mafiosi fino al 1980 e autori di Spinoza.it per la scomparsa di Giulio, il divo, Andreotti. Mefistofelica figura chiave della Prima Repubblica, Andreotti è noto agli studiosi per il paradigmatico modo in cui lungo tutta la sua carriera ha somatizzato il potere in suo possesso ingobbendosi e diventando sempre più simile a Belzebù, non a caso uno dei suoi mille soprannomi. Il sette volte Presidente del Consiglio aveva infatti più nickname di un pappone portoricano del bronx, ma non tutti così divertenti. Proprio per questo il suo famoso motto “Il potere logora chi non ce l’ha” avrebbe meritato lunghe sessioni di psicanalisi, visto che a osservarlo sembrava proprio il contrario.

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Basta cercare un’immagine di Andreotti da giovane per vedere come allora avesse insospettabili sembianze umane andate poi perse durante la lunga corsa alla disillusione e al cinismo esistenziale che è la politica, specie in un Paese che non solo era a “sovranità limitata” per via degli equilibri atlantici ma considerava pure i film di Alberto Sordi “una valida forma di intrattenimento.”

L’arco della carriera politica di Andreotti va dal primo incarico come ministro degli interni nel 1954 alla fallita scalata al Quirinale nel 1992. Un percorso lungo quasi quarant’anni in cui ogni bomba sui treni, nelle banche, nelle stazioni, ogni giornalista scomodo ucciso con quattro colpi di pistola 7,65 in via Orazio a Roma, ogni Presidente del suo partito che veniva ritrovato morto in una Renault 4 rossa, ogni maggiorente della DC che veniva assassinato in un giorno di sole in Sicilia, ogni aereo civile che andava a sbattere contro missili Nato, è stato un piccolo dardo che si conficcava nella coscienza di Andreotti incupendolo un po’ di più.

Non sapremo mai in quali di questi casi si trattasse di senso colpa personale e in quali solo di sofferenza per le umane miserie di cui, per via del suo ruolo, aveva una panoramica di una completezza che pochi altri potevano avere in Italia.

Quello che è certo è che di fronte a ognuna di queste ferite nella storia della nazione il fisico di Andreotti diventava una mappa biologica delle malefatte di un potere che gioca su un campo diverso da quello della morale. Il corpo sempre più disumano di Andreotti pieno di segreti somatizzati acquisiva così ogni giorno un rinnovato e maggiore senso simbolico perché come una sorta di bambola vudù senza catarsi assorbiva tutti quegli enormi misteri italiani fatti di morti e strategie di potere, storie centrali nella nostra vicenda collettiva e sulle quali non avremo probabilmente mai una verità giudiziaria ufficiale.

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Chi vuole provare a ricostruire i fatti potrà farlo con un po’ di lavoro e capacità di analisi, ma si tratterà sempre di una verità episodica, di minoranza, difficilmente diffondibile, proprio perché fatta pur sempre di supposizioni, magari anche solide ma che senza l’avallo giudiziario (e quindi istituzionale) sono resistenti come un mucchio di foglie in una giornata ventosa.

Per gli italiani i fatti su cui incombe la figura di Andreotti come burattinaio rimarranno per sempre avvolti nell’ombra perché come diceva Dee’mo molti anni fa "l’ombra non processa se stessa.” Chiedere ad uno Stato di processarsi con onestà è infatti molto più utopico che invocare una rivoluzione marxista nel Texas meridionale.

Negli ultimi anni Andreotti si era defilato per difendersi nel processo di Palermo, quello che ha decretato pilatescamente il suo sostegno alla mafia fino al 1980, reato, guarda un po’ prescritto. Una montagna che partorì un topolino e come effetto collaterale creò il fenomeno mediatico Giulia Bongiorno. Oltre il danno anche la beffa.

Nel frattempo però i tempi erano cambiati e la politica non era più patrimonio di freddi e cinici burocrati come lui: era arrivato il tempo dei freddi e cinici figli di buona donna, gente in grado di sorridere e raccontare barzellette mentre fa della società un melmoso campo di guerra in cui solo pochi prosperano e gli altri si accoltellano l’uno con l’altro guardando reality show nelle pause dei combattimenti.

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Andreotti era una persona che mentre le violenze, le sopraffazioni e le ingiustizie del potere ferivano per sempre l’anima del Paese, ne godeva i vantaggi quasi con pudicizia, convinto, forse non sempre a torto, che i costi umani fossero sempre inferiori alla prosperità economica di cui il Paese godeva

La sua era una recita, ma una recita grigia, sottotono, tagliata di tanto in tanto dalle sue famose battute ironiche e ciniche simili a squarci di luce in un pesante sipario nero dietro il quale accadeva quello che conta davvero.

In quegli attimi di piccola violenza verbale Andreotti mostrava probabilmente il suo vero sé, ai suoi, agli avversari e a chiunque fosse in grado di leggere fra le righe. Messaggi in codice per iniziati mentre andava in scena la liturgia popolare del leader assennato e moderato che difendeva il Paese dai comunisti.

In questa nuova epoca della comunicazione, l’era in cui i programmi dei partiti non li fanno i docenti universitari ma gli sceneggiatori e gli autori televisivi, gli anni dove lo storytelling si è sovrapposto alla politica, Andreotti era improvvisamente diventato anacronistico e inutile come una telecamera a 8 mm in mondo di gente con l’iPhone 5.

Per questo negli ultimi tempi si era parlato di lui solo quando era apparso dalla Perego riuscendo ad essere meno espressivo della conduttrice e quando a ogni morte eccellente milioni di persone si improvvisavano sagaci commentatori su facebook evidenziando come fosse ingiusto un mondo dove Amy Winehouse e Pietro Taricone erano morti e invece Andreotti, proprio lui, era ancora vivo. Ah ah ah.

Rispetto alla nuova generazione di burattinai Andreotti non aveva un ritratto in soffitta che invecchiava per lui, portava addosso le sue colpe e affrontava il conflitto con gli oppositori. Non ha mai pagato per questo, ma almeno ha corso rischi che i leader di oggi e del domani non correranno più.

La politica 2.0 ha inglobato lo spettacolo e il populismo nel suo DNA e non ha più bisogno di far esplodere stazioni dei treni nelle città ribelli; le basta controllare gli sceneggiati sui canali in chiaro e i trending topic di Twitter, per poi dare contentini di paglia agli elettori mentre continua a lavorare indisturbata per una società sempre più diseguale e ingiusta.

Troppo facile così.

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