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Cosa significa essere "teenager" oggi?

Settant'anni fa i teenager non esistevano. O meglio, esistevano eccome, ma nessuno li chiamava così. E ora, cosa sono diventati? Ne abbiamo parlato con Jon Savage e Matt Wolf in occasione dell'uscita di Teenage.
Jamie Clifton
London, GB

Foto d'archivio dal film per gentile concessione di Margaret PR.

Settant'anni fa i teenager non esistevano. O meglio, esistevano eccome, ma nessuno li chiamava così—li chiamavano “la forza lavoro di domani” e dall'età di 13 anni dovevano indossare la camicia, fumare la pipa e prendere lezioni di dizione. In pratica, andavi a letto sentendoti un bambino e la mattina dopo ti svegliavi adulto. La fine della Seconda Guerra Mondiale segnò un'evoluzione nell'idea di adolescenza, da breve periodo di preparazione ai "Migliori Anni della Nostra Vita", e nel 1945 il New York Times pubblicò un articolo in cui si definiva questa nuova e bizzarra parola, teenage, traghettando il concetto entro i confini dalla coscienza pubblica.

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Qualche anno fa Jon Savage ha scritto L'invenzione dei giovani. Oggi l'adattamento cinematografico del suo libro, diretto Matt Wolf, si appresta a uscire nelle sale inglesi. Ho fatto una telefonata ad entrambi per parlare dei movimenti giovanili, nuovi e vecchi che siano, e di quanto è fantastica la vita quando sei un teenager.

Il trailer di

Teenage

VICE: Ciao ragazzi. All'inizio del film dite che l'idea di teenager è un'invenzione del periodo della guerra. Non ci sono movimenti giovanili pre-guerra che avete escluso con questa definizione?
Jon Savage: Non si tratta di movimenti precedenti alla guerra, ma quelli che non ci rientrano sono gli zazou, gruppo francese nella Parigi occupata dei primi anni Quaranta. Ascoltavano la musica swing dei neri americani—che al tempo era proibita—, organizzavano feste, indossavano marchi inglesi, tentavano di evitare i lavoro forzati e, come puoi immaginare, infastidivano non poco la Gestapo. Si erano inventati anche un'altra cosa molto particolare: con l'arrivo delle leggi razziali che obbligavano gli ebrei a indossare la stella di David, iniziarono a farsi le proprie stelle, sulle quali era scritto “swing”, invece di “ebreo”. Ce ne sono altri con cui non siamo scesi troppo nel dettaglio, vedi i movimenti degli anni Venti che professavano il ritorno alla natura, come i Wandervogel.

Ah sì, quella specie di proto-hippie tedeschi che si denudavano e giravano per i boschi. Questo movimento è iniziato durante la guerra?
No, in realtà hanno iniziato intorno ai primi del Novecento in Germania.

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Quindi non rappresentava una reazione alla guerra?
Be', di fatto era una reazione alla militarizzazione e all'industralizzazione della società tedesca. C'era anche un gap generazionale fra gli adolescenti e i loro genitori, e già negli anni Venti si erano formati numerosi gruppi diversi fra loro. È sconvolgente pensare a quanti ne esistessero. Spaziavano dai proto-fascisti agli hippie.

Perciò potremmo dire che i Wandervogel sono stati il primo movimento giovanile, almeno nel senso moderno?
Se consideri un movimento giovanile come qualcosa che serve a chi ne fa parte per cercare una certa autonomia e dare una definizione dell'essere giovane, allora direi sì.

Wandervogel.

Quindi, se quello è stato il primo movimento giovanile—addirittura prima che il termine teenager esistesse—quale pensate sia stato il fatto determinante per l'introduzione del concetto di adolescenza così come lo conosciamo oggi?
Matt Wolf: Credo che il "teenager" sia nato come una specie di consumatore democratico durante la guerra, negli anni Quaranta. È stato quando i giovani hanno iniziato a lavorare e guadagnare. Non erano più dipendenti da qualcuno e avevano anche il potere, nuovo per l'epoca, di definirsi attraverso la possibilità di comprare musica, vestiti e cosmetici—libertà di cui prima non disponevano. Riconoscevano il loro valore come cittadini democratici, in grado di contribuire positivamente alla società, ma anche la loro influenza quali consumatori capaci di acquistare beni e influenzare il mercato.

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È buffo pensare a come, agli inizi, la gioventù fosse definita dalla classe dirigente e dal mercato. Nell'opinione comune l'adolescenza è fatta di libertà e ribellione, ma persino il termine teenage non è divenuto parte del lessico quotidiano fino a che il New York Times non ha scritto un lungo articolo che ne fissava il significatocome mostrate nel film. 
Jon: Sì, vigeva una specie di equilibrio: gli adulti accettavano il fatto che i giovani avessero qualcosa da dire e al tempo stesso mantenevano un controllo su di dolo.
Matt: Proprio così. Penso che sia un compromesso tanto utile quanto produttivo, perché se i giovani non avessero avuto una qualche supervisione sarebbero stati sicuramente fuori controllo. Ma il film mostra anche come, nel caso dei giovani irregimentati di Hitler e il regime nazista, questo processo possa rivelarsi estremamente distruttivo.

Esatto. Guardando il film ho notato che entrambe le guerre hanno da una parte alimentato il fenomeno delle culture giovanili—attraverso l'importazione di idee e musica dall'America e altre zone dell'Europa—e dall'altra l'hanno frenato, mandando tutti a morire al fronte.
Jon: Esatto. Prima della guerra lo swing e i complessi americani erano ancora un fenomeno piuttosto di nicchia; non sono diventate immediatamente di massa, erano più cose d'avant garde. Poi sono arrivati gli americani e all'improvviso gli adolescenti britannici hanno avuto la possibilità di confrontarsi con vite completamente diverse.

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Lo swing è un esempio affascinante, perché è la prima cultura giovanile occidentale a carattere internazionale. Prendi gli zazou—o gli Hamburg Swing, il corrispettivo tedesco degli zazou—, il fatto che lo usassero come una forma di resistenza. Non era qualcosa di politico: volevano ciò che vogliono i giovani d'oggi: ascoltare musica, stare con gli amici, fare sesso… E per cose del genere nell'Europa occupata dai nazisti erano costretti ai lavori forzati, picchiati, mandati in guerra o nei campi di concentramento…

Swing.

Già. E quando lo swing è diventato di massa, chiunque voleva farne parte. Successivamente, negli anni Ottanta e Novanta, la gente non appariva più così ansiosa di entrare nel mainstream, si era più interessati a coltivare la propria unicità.
Jon: Non fa parte della mia esperienza di giovane che voleva entrare in una cultura giovanile, ma penso che quanto dici si sia accentuato soprattutto negli ultimi dieci anni. Penso abbia a che fare con la privatizzazione del sé prodotta dai social media, dalla tecnologia, dalla frammentazione della coscienza e dei gruppi giovanili in generale. L'aspetto che mi affascina—ho sessant'anni, quindi quando ero giovane si parlava di hippie, e successivamente di glam rock e poi punk rock—è che il punk rock si concentrava sull'accelerazione dell'informazione e la privatizzazione del sé. Ora viviamo nel futuro fantascientifico profetizzato quando ero un ragazzo.

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Il risultato è che nell'ultimo decennio non abbiamo avuto vere e proprie nuove culture giovanili, di quelle che hanno un proprio stile in fatto di musica e abbigliamento, ma anche un proprio sistema di ideali—come il movimento hippie, punk o rave.
Ci sono vari motivi. Quando sono entrato nell'industria musicale, nel 1977, avevo la tua età, ed era un ambiente per giovani, non per adulti. Poi negli anni Ottanta l'industria musicale ha smesso di rivolgersi esclusivamente agli adolescenti, alla fetta di popolazione compresa tra i 15 e i 24 anni, e ha preso in considerazione anche gli adulti. I giovani hanno perso il loro status speciale, e penso che questo sia parte del problema.

In più, a partire dagli anni Ottanta, nel Regno Unito gli adolescenti sono finiti sotto attacco. È iniziato col governo Thatcher ma succede tuttora, con il declassamento sociale, la disoccupazione giovanile, le tasse universitarie… Queste cose mi fanno incazzare. Se un paese non investe sui suoi giovani è la fine. È questo il messaggio del mio libro: bisogna ascoltare cos'hanno da dire gli adolescenti. Per questo lo stato delle cose mi fa infuriare. Tanti giovani ce l'hanno con quelli della mia generazione, ma cazzo, non è colpa mia! Non ho votato per la Thatcher, e nemmeno per questo governo!

L'unica controtendenza è rappresentata dai gruppi di protesta di sinistra, che non hanno la stessa influenza della musica o di movimenti artistici, e questo perché non sono tanti quelli che vogliono fare sit-in sotto la pioggia, con i cartelloni e gli slogan di protesta contro l'establishment.
Matt: Penso sia difficile identificarsi in quei movimenti [musicali e artistici], perché succede tutto molto velocemente. Guardando agli anni Novanta troviamo movimenti giovanili distinguibili e definibili, ma perché è passato del tempo. Sul presente non è possibile fare una riflessione altrettanto efficace, perché è qualcosa che succede in questo momento, capisci? Penso che si possa sicuramente parlare di cultura giovanile online, ma credo si presenterà secondo modalità molto diverse da tutte quelle cose che tendiamo a rendere romantiche, come la cultura underground e il punk.
Jon: Ho un sacco di teorie sulla questione. Seguivo molto i Nirvana, e mi chiedo se il suicidio di Kurt non abbia in qualche modo ucciso l'idea di musica rock come qualcosa di provocatorio, sovversivo e pericoloso. Dopo è arrivato il Brit-pop, che ho prodotto alcuni buoni dischi, ma per certi versi è stata una ripetizione degli anni Sessanta. Da allora abbiamo avuto gruppi validi, come gli Arctic Monkey, ma niente di particolarmente significativo. Ci sono gruppi fantastici con canzoni fantastiche, ma è come se galleggiassero nel vuoto.

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Già, è strano. Gira tanta buona roba in grado di stimolare, ma oggi gran parte di questo materiale reazionario sembra un tantino forzato.
Ogni generazione ha i suoi compiti. E i tuoi sono molti diversi dai miei. Il compito della tua generazione è avere a che fare con cose come la sostenibilità, il cambiamento climatico, l'esaurimento delle risorse, il passaggio dal capitalismo a qualcos'altro… una strategia di sopravvivenza che ti permetta di non buttare quanto di buono c'è in questa società. La mia generazione ha dovuto vedersela con le conseguenze della Seconda Guerra mondiale, che ha lasciato cicatrici tanto sui nostri genitori quanto sul paesaggio.

La gioventù hitleriana.

E che mi dici della teoria per cui sarebbe internet a schiacciare le sottoculture? Il sistema per cui non appena succede qualcosa lo trovi su internet, privandolo del tempo necessario a crescere in maniera organica.
Jon: Oggi, e negli ultimi 25 anni, abbiamo assistito anche a un marketing molto aggressivo. Il punk rock è riuscito a svilupparsi nell'underground per un po'; i pubblicitari non l'hanno preso sul serio per circa 18 mesi, fino alla metà del '77.
Matt: Penso semplicemente che la distinzione tra underground e mainstream sia più sfuocata, e questo aiuta artisti e giovani che vivono in zone remote, senza accesso alle risorse di una città. Tutto ciò annienta anche alcune delle distinzioni sviluppatesi tra cultura di massa e indipendente.

Buona osservazione. Da qualche parte ho letto che il film è un "collage vivente." Cosa significa?
Matt: A un certo punto durante la realizzazione Jon mi ha detto che i punk in Inghilterra prendevano i capi d'abbigliamento di altre culture giovanili, li assemblavano con spille da balia e li trasformavano in qualcosa di nuovo. Quella immagine mi ha colpito, e in un certo senso è proprio questo che ho fatto con Teenage: ho preso filmati, immagini e citazioni dalle varie epoche e da vari paesi, e ho cercato di metterle insieme. Mentre Teenage guarda al passato, il mio obiettivo è riflettere il presente, capire in che modo persistano conflitti generazionali, e mostrare che il nostro atteggiamento nei confronti dei giovani dovrebbe contenere un po' più di ottimismo.
Jon: È l'ora che iniziamo a rispettare un po' di più gli adolescenti. Non come consumatori, ma come esseri umani che vivranno nel futuro, e che quindi potrebbero avere idee su come vogliano che sia il mondo in cui vivranno, no? Ovviamente il governo non lo sta facendo, anzi, sembra ben disposto a ignorare chiunque abbia meno di 25, così come i poveri. È disgustoso. Non farmi incominciare.

Magari un'altra volta. Grazie dell'intervista.

Segui Jamie su Twitter: @jamie_clifton

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