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stili di gioco

Una guida malinconica ai campionati che ci aspettano

L'estate ci ha lasciati con la sgradevolissima sensazione che la nostra Serie A sia retrocessa nella Serie B europea. È così, ma non facciamone solo una questione di soldi.

L'estate 2012 ci ha lasciati con la sgradevolissima sensazione che la nostra Serie A sia retrocessa nella Serie B europea. È così, ma non facciamone una questione esclusivamente di soldi. Il mito parzialmente vero che il calcio moderno sia in mano agli sceicchi e ai magnati russi non spiega le ragioni per cui quello italiano è inferiore a quello spagnolo, inglese, tedesco e, ormai, anche portoghese (qui l'andamento del ranking UEFA). Così come, tra l'altro, non spiegherebbe la finale di Supercoppa Europea vinta 4-1 dall'Atletico Madrid contro il Chelsea.

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L'Atletico Madrid ha vinto per ragioni tattiche e tecniche, connesse al mercato in un modo irriducibile alla semplice questione del potere d'acquisto. Come in finale di Europa League contro l'Athletic Bilbao, Simeone ha potuto impostare una partita di contrattacco con due linee difensive strettissime, e il Chelsea di Di Matteo, che ha vinto la Champions League proprio con quel tipo di gioco e che, a giudicare dalle scelte di mercato, sembrerebbe aspirare a qualcosa di diverso-a qualcosa di più, si è trovato a disagio a dover fare la partita con Mata, Hazard e Ramires sempre impossibilitati a ricevere palla tra le linee. Hanno vinto anche perché Falcao è devastante quanto lo era Fernando Torres quando lo hanno venduto, e non quando il Chelsea lo ha comprato. Falcao è stato pagato caro dall'Atletico-40 milioni-ma quei soldi venivano dalla vendita di Sergio Aguero, a sua volta acquistato appena diciottenne per 16 milioni. A quei tempi si trattava di una cifra record per il calcio argentino, pienamente giustificata dalla successiva evoluzione del giocatore. Questo si chiama intuito e grazie a esso i tifosi dell'Atletico Madrid soffriranno un po' meno nel caso in cui Mourinho riuscirà a vincere campionato, Coppa di Spagna e Champions League con i milioni dell'odiato Real Madrid. Un tempo, la serie A era ricca di storie come questa.

La Serie A è povera perché le società italiane fatturano meno di quelle inglesi, spagnole e tedesche. E crescono meno. Un problema complesso, complicato ulteriormente dall'entrata in vigore del Fair Play finanziario nel 2014. Al termine di una verifica triennale (2012-2014; 2015-2017) le squadre europee non potranno avere un bilancio passivo per più di 45 milioni di euro. Il Manchester City sembrerebbe aver fatto un mercato estivo in quest'ottica e anche il Psg non avrà altra scelta che aumentare i ricavi-vincendo la Champions, ad esempio, o trovando altri sponsor-abbassare le spese o scegliere di non partecipare alle coppe.

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È difficile capire quali squadre italiane abbiano iniziato a ragionare in questo senso-solo la Roma e la Juve sono quotate, ma i bilanci vengono comunque depositati a fine anno-e anche se una delle strategie che potrebbero aver adottato è quella di non investire oggi per rientrare in vista della resa dei conti del prossimo anno, trattandosi di una verifica sul triennio, potrebbe non essere bastato a una squadra come il Milan, considerate le uscite del 2011, liberarsi dello stipendio di Ibrahimovic e chiudere il mercato con un saldo attivo di più di 45 milioni (fonte la Gazzetta, non ricordo il numero). D'accordo, un campionato con Ibrahimovic è meglio di quello stesso campionato senza Ibrahimović-e non solo per ragioni calcistiche-ma non ci sarebbe neanche bisogno del Fair Play finanziario per dire che 20 milioni per un giocatore prossimo ai 31 anni sono tanti, e che 12 milioni di stipendio annuo, forse troppi.

Il Fair Play finanziario non significa che tutte le squadre avranno un budget simile, ma che le entrate e le uscite di un singolo club dovranno essere equilibrate e, nella corsa generale, sarà avvantaggiato chi avrà i guadagni maggiori. In questo senso le spese del Psg possono essere viste come il tentativo di occupare delle posizioni in prima fila sgomitando, l'equivalente calcistico dei cavalli del Palio di Siena che sbuffano e scalciano per la mossa. E, continuando con la metafora del Palio, è come se Milan, Inter e Juve fossero una di quelle contrade minori rivali tra loro con i fantini che preferiscono ostacolarsi a vicenda piuttosto che vincere la corsa. Con la sola differenza che nel Palio i cavalli vengono sorteggiati, mentre in Italia quest'anno sono stati spesi quasi 350 milioni per la compravendita di giocatori (tra l'altro l'impossibilità di essere veramente competitivi giustifica anche il sistema di corruzione alla base del mestiere del fantino, fate voi il paragone con il calcioscommesse). La Serie A si è fatta trovare impreparata, seduta comodamente sui soldi dei diritti tv, e temo che sia troppo semplice e poco lungimirante la frase di Zeman: "Io, di solito, triplico il valore dei giocatori. Poi arrivano gli sceicchi e se li comprano. Un giorno si prosciugheranno i pozzi di petrolio. E si ricomincerà a giocare."

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Tabella tratta dal sito transfermarket.

Nel loro libro del 2009 Soccernomics (in Italia pubblicato da Isbn col titolo Calcionomica), Kuper e Szymanski cominciano la loro analisi economica del sistema-calcio citando l'esempio della fregatura per eccellenza: Luther Blisset (anche se a proposito di sòle preferisco quella di Ali Dia che, già trentenne, è riuscito a farsi acquistare dal Southampton e giocare quasi un'ora in Premier League spacciandosi per il cugino di Weah). Il loro scopo è sfatare il luogo comune secondo il quale più un club spende sul mercato, più aumentano le sue possibilità di vincere il campionato a cui partecipa. "Abbiamo studiato i bilanci di 40 società inglesi tra il 1978 e il 1997 e abbiamo scoperto che i loro esborsi sul mercato spiegavano solo il 16 percento della loro variazione di classifica. Questo perché le società buttano continuamente il denaro in bidoni come Blisset e il mercato è inefficiente."

Quello che invece sembrerebbe influire in maniera più diretta sul successo di una squadra è il monte stipendi: trattandosi di un mercato trasparente-il lavoro dei calciatori è sotto gli occhi di tutti e ognuno di noi può valutarne talento e risultati-e altamente competitivo, alla fine i calciatori migliori tendono ad avere uno stipendio più alto. Oltre a notare un aumento considerevole dei salari medi (in 14 anni, dal 1987 al 2001, gli stipendi dei calciatori hanno registrato una crescita annua del 15 percento al fronte di un'inflazione ferma al 4 percento) Kuper e Szyminski hanno notato una corrispondenza abbastanza precisa tra i risultati che ci si potrebbe aspettare da una squadra in base al suo monte stipendi e i risultati effettivamente ottenuti. Il che significa che è meglio alzare lo stipendio dei propri giocatori per non farli andare via piuttosto che comprare dei sostituti (un po' quello che ha fatto il Napoli: con i soldi di Lavezzi rinnovare il contratto a Cavani). Certo, aumentare la busta paga a Nagatomo non lo trasformerebbe comunque in un Maicon di fascia sinistra.

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Il nostro è un problema reale, percepito però in modo distorto. I soldi sono importanti ma bisogna sapere come usarli e avere giocatori per cui valga la pena spenderli. I giocatori che a tutti gli effetti sono stati strappati alla Serie A in declino, quelli cioè di cui le società di appartenenza avrebbero preferito non fare a meno, o che avevano comunque mercato in Italia, sono di fatto tre: Thiago Silva, Ramirez e Lavezzi-se proprio lo desiderate, potete aggiungere Verratti. È triste vedere un talento in erba come Ramirez lasciare l'Italia per il Southampton, Thiago Silva "triste e felice" per 40 milioni-che per un difensore sono comunque abbastanza da giustificarne l'addio-ma non si tratta di giocatori che da soli determinano la qualità del campionato. Lavezzi non è l'erede di Maradona, indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno sottratto dal petrolio degli sceicchi.

Quando Van Persie ha deciso di non rinnovare il contratto che lo legava all'Arsenal, i giornali italiani si sono scatenati. Sicuri che Van Persie venisse alla Juve, ci siamo rimasti male quando l'olandese (30 gol in 37 partite, un gol ogni 5,8 tiri) ha scelto il Manchester United. I calciatori di solito sono molto diplomatici in cose di questo tipo, eppure Sneijder non ha avuto problemi a dichiararsi più che certo che Van Persie non sarebbe venuto in Italia. Adesso, io non ho i contatti per sapere se la Juve sia stata o meno vicina a Van Persie in un determinato momento, ma ho la netta sensazione che siamo stati gli unici a crederla una cosa possibile.

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Allora sono andato a vedere a quando risale l'ultimo campione importato in Italia come tale, già considerato campione, cioè, al momento del suo acquisto. Anche se la spesa non determina il valore del giocatore-ho appena detto il contrario riguardo Lavezzi e Ibra-può essere interessante dare un'occhiata alla tabella qui sotto con i trasferimenti più costosi della storia.

La tabella (come quella di sopra) viene dal sito transfermarket e dall'elenco, che sul sito arriva ai primi 50 acquisti, si capiscono due cose: 1) l'ultima importazione costosa dall'estero è Gaizka Mendieta-una sòla, cioè, che per molti da soli giustifica le accuse di doping al Valencia dei primi anni 2000, o addirittura al calcio spagnolo in generale;  2) il campionato italiano ha una tradizione di scambi costosi solo tra squadre italiane o verso l'esterno. Il nostro campionato ha sempre avuto tendenze autarchiche, il talento nello scoprire e nel formare talenti bastava a renderci competitivi in Europa. Non c'era bisogno di andare a cercare molto lontano talenti per cui spendere 30 milioni (Inzaghi, Thuram, Crespo dalla Lazio all'Inter, o Batistuta), 40 (Vieri, Rui Costa, Thuram e Nědved) o 50 milioni (Crespo dal Parma alla Lazio, Buffon). Quando siamo andati lontano, siamo finiti su Mendieta. Il punto principale, quindi, non è che non ci sono i milioni per fare questo tipo di trasferimenti, ma che anche se ci fossero-e che, come abbiamo visto, non ci saranno neanche in futuro a meno che non ci daremo una svegliata-non c'è nessun Crespo, Nědved, Vieri, per cui eventualmente varrebbe la pena spenderli (l'unica eccezione, al limite, potrebbe essere Thiago Silva). Non ci dovrebbe preoccupare il fatto che gli sceicchi ci rubano talenti, ma che ce ne rubano troppo pochi, semmai.

Lo scambio Pazzini-Cassano rende bene l'idea del nostro ridimensionamento (provate a immaginare il posto che occuperebbe uno dei due-o se preferite Cavani, Osvaldo, Klose, Vucinic, Giovinco, Di Natale-in una delle finaliste lo scorso anno di Champions League). Non solo siamo stati poco previdenti dal punto di vista economico, ma il principio base del mercato dei maggiori club italiani negli ultimi anni sembra continuare a essere l'opportunismo. Il caso Berbatov da questo punto di vista è esemplare. Al di là dal fatto che abbia preferito il Fulham-la quarta o quinta squadra di Londra-è possibile che tra tutti gli attaccanti in circolazione proprio lui fosse necessario agli schemi della Fiorentina e della Juve? E cosa nelle sue statistiche, nella sua funzionalità, nei risultati che il club si aspetta da lui e nel suo stile giustifica l'ingaggio che la Juve era pronta ad offrirgli?

A mio avviso non dovremmo provare malinconia per l'aereo perso di Berbatov, per Van Persie o Thiago Silva. La distanza che ci separa dal nostro passato glorioso sta esattamente nella malinconia che proviamo a pensare a quelli che hanno abbandonato la Serie A per raggiunti limiti di età: Del Piero, Inzaghi, Nesta, Zambrotta, Gattuso, Di Vaio, tutti hanno appeso le scarpe al chiodo senza che si fosse trovato un loro sostituto. Alcuni di loro hanno scelto di giocare in campionati che alcune delle neopromosse italiane potrebbero vincere, in squadre, però, che possono permettersi stipendi non troppo inferiori ai loro standard. A nessuno piace scendere i gradini della scala sociale e i multimilionari non fanno eccezione. A noi resta una Serie A competitiva solo al suo interno e lo struggimento per i gol di spalla di Inzaghi in finale di Champions, per il fatto che Del Piero per guadagnarsi il posto in squadra abbia dovuto giocare così bene da convincere Lippi a mandare Baggio al Milan, mentre oggi nessuno alla Juve indossa la numero 10 perché nessuno è all'altezza.

Segui Daniele su Twitter: @DManusia