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La polizia ha assediato la capitale albanese della cannabis

Tre giorni fa un contingente di polizia ha fatto irruzione a Lazarat, dove ogni anno vengono prodotte circa 900 tonnellate di cannabis. Io ci ero stato poco tempo fa, e questo è quello che avevo visto.

Un lavoratore stagionale separa le cime dalle piante di marijuana, preparando il prodotto per l'esportazione. Foto: Telnis Skuqi (2013).

Tre giorni fa un contingente di più di 500 agenti di polizia ha fatto irruzione a Lazarat, una cittadina sulle montagne albanesi in cui vengono prodotte ogni anno circa 900 tonnellate di cannabis. Dall'assedio si è passati a un violento conflitto a fuoco. In Albania non è raro possedere armi, ma i residenti di Lazarat erano molt ben attrezzati. Così, mentre erano impegnati nel sequestro di un magazzino alla periferia della città, gli agenti si sono ritrovati esposti al fuoco di granate, mortai e mitragliatrici e sono stati costretti alla ritirata. Nelle ore successive le forze di polizia sono rimaste schierate fuori città in attesa di nuovi ordini.

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Sono stato a Lazarat non molto tempo fa, nella stagione della semina. Gli agricoltori avevano già arato i campi, e le colline circostanti erano punteggiate da piccoli cilindri di plastica blu conficcati nel terreno. La mia guida, che aveva assistito a molte stagioni della semina, mi ha spiegato che quei cilindri erano pieni di semi. Anche se nessuna delle persone con cui ho parlato si aspettava un assalto imminente da parte delle forze dell'ordine, l'atmosfera era molto tesa.

Gli abitanti mi hanno sorvegliato con attenzione dal primo momento in cui ho messo piede in città. L'ultima volta che il mio contatto sul posto aveva cercato di far entrare un giornalista straniero a Lazarat entrambi erano stati minacciati di morte e cacciati. Quando ho preso il cellulare per fare una foto ai campi intorno alla città, una donna che stava spazzando un terrazzo poco distante ha mollato subito la scopa. "No, no! Sei impazzito?" mi ha urlato.

Una veduta di Lazarat. Foto: Axel Kronholm. 

"Rischiamo di finire nei guai, e anche tu ci finirai se non la smetti di fare domande," mi ha detto una ragazza di una famiglia di coltivatori di marijuana quando le ho chiesto se potevo intervistarla. Pare che la maggior parte dei 7.000 abitanti della città prenda parte, in un modo o nell'altro, alla coltivazione, motivo per cui hanno ottime ragioni per temere i forestieri con le macchine fotografiche. Non è stato semplice convincerli a parlare con me.

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Anche se per lo più si tratta di semplici contadini, sono le organizzazioni criminali a controllare il traffico e il trasporto del prodotto da Lazarat all'estero, da dove proviene la maggior parte dei profitti.

Sulla base dello studio di alcune vedute aeree della città, la Guardia di Finanza italiana stima che la produzione annuale di marijuana si attesti intorno alle 900 tonnellate, per un valore di mercato totale di circa 4,5 miliardi di euro. Pari a quasi metà del prodotto interno lordo dell'Albania.

A Lazarat si produce marijuana dai primi anni Novanta. Sin dalla fine del regime di Enver Hoxha, il mercato nero è cresciuto grazie all'instabilità politica. Più tardi, secondo il Centro Europeo per il Controllo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA), la diminuzione delle coltivazioni in Grecia ha contribuito all'aumento della produzione in Albania.

Alla fine dell'estate, Lazarat e le colline che la circondano sono coperte di piante di marijuana. Questa foto risale alla scorsa stagione della semina, in cui sono state prodotte in totale circa 900 tonnellate di cannabis. Foto: Telnis Skuqi. 

Nella stagione del raccolto, che inizia a metà agosto, il grande carico di lavoro fa sì che vengano assunti molti lavoratori stagionali. Ogni mattina, al limitare della città, si formano dei gruppi di persone in attesa che un camioncino o un trattore li porti ai campi.

Sono entrato in contatto con due donne che hanno lavorato molte volte nei campi di Lazarat. Non hanno voluto dirmi i loro nomi, ma mi hanno raccontato di essere state pagate 20 o 30 euro al giorno per otto ore di lavoro. È uno stipendio decente, se si considera che in Albania lo stipendio medio di questo livello è inferiore ai 400 euro.

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Una di queste donne aveva 41 anni; l'ho incontrata mentre stava lavorando nel giardino di un albergo a Argirocastro, la città vicina a Lazarat. Quello era il suo lavoro principale, ma col figlio era andata a raccogliere cannabis a Lazarat molte volte. "È un lavoro duro. La scorsa estate a furia di maneggiare tutta quella cannabis mi è venuto un forte mal di testa," mi ha raccontato. "L'odore era molto forte, e la sensazione era simile a quella che si prova fumandola."

L'altra donna, una tessitrice di 32 anni, mi ha detto che la polizia aveva visitato varie volte le piantagioni nel periodo in cui lei ci aveva lavorato. "Davano un'occhiata ma poi non facevano niente. Non gli importava, e anche se gli fosse importato, difficilmente avrebbero potuto farci qualcosa," mi ha detto. "Se quest'estate non troverò un altro lavoro, probabilmente tornerò a Lazarat."

Fatmir Bilbili, rappresentante municipaledi Lazarat. Foto: Axel Kronholm.

Nel bar sul terrazzo del municipio di Lazarat, Fatmir Bilbili beveva caffè e fumava sigarette con i suoi amici. Indossava una giacca nera su una camicia gialla. Dopo un po' sono riuscito a parlargli e a convincerlo ad accettare un'intervista. Si è alzato con un sospiro e ci ha accompagnati nel suo ufficio—una stanza piccola e disordinata con muri color azzurro. Sulla sua scrivania c'erano un calendario su cui non era segnato alcun appuntamento e la pagina sportiva di un quotidiano.

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"Da tempo il governo si è dimenticato di Lazarat. Non ci danno nulla e non ci aspettiamo che ci diano nulla," ha detto, spiegando che gli abitanti della città si sono dati alla coltivazione di droga per mantenere loro stessi e le loro famiglie.

Ma, ha dichiarato, quest'anno a Lazarat non ci sarà cannabis. "Già, non abbiamo più quel problema. Oggi la gente coltiva verdure," ha aggiunto. Eppure, in piedi sui gradini del palazzo, solo a pochi passi dal suo ufficio, vedevo altri campi arati di fresco e punteggiati dai cilindri blu pieni di semi.

Per contrabbandare il prodotto, la criminalità organizzata usa ogni metodo disponibile: in passato sono state impiegate automobili, barche e aeroplani. A volte anche i muli. Foto: Telnis Skuqi. 

In un rapporto dell'anno scorso realizzato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti sul traffico internazionale di droga, l'Albania è descritta come una nazione di passaggio per il narcotraffico europeo. Secondo l'EMCDDA, la destinazione principale per la cannabis prodotta in questa parte dell'Albania è l'Italia. Nel suo rapporto del 2012, l'Albania è descritta come una "fonte significativa, anche se spesso sovrastimata, della cannabis venduta sui mercati europei."

L'Albania è uno dei paesi più poveri e corrotti d'Europa. E non è difficile capire quanto sia forte la tentazione di avviare un raccolto conveniente come quello della cannabis per gli abitanti delle zone rurali. Di recente nel Paese si è dibattuto di una possibile legalizzazione. Il problema è finito al centro dell'attenzione a marzo, quando Mark Crawford, presidente della camera di commercio americana in Albania, ha dichiarato in un'intervista televisiva che secondo lui il paese dovrebbe legalizzare e tassare la marijuana. In questo modo, ha spiegato Crawford, si otterrebbero ricavi importanti per le casse dello Stato e si riuscirebbe a sconfiggere la criminalità organizzata. Ma l'Albania non sembra ancora pronta per una riforma di questo tipo: non ci sono partiti politici a favore della legalizzazione, e secondo i sondaggi la vasta maggioranza della popolazione è contraria.

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Fatmir Bilbili è tornato dai suoi amici al bar. Io sono salito in macchina, in cerca di altre persone con cui parlare. Quando siamo entrati in città, dietro di noi è comparsa una Mercedes scura che ha iniziato a seguirci. "Problemi," ha detto il mio contatto, gettando sguardi ansiosi nello specchietto retrovisore. Poi è comparsa un'altra Mercedes, stavolta bianca, che ci ha subito raggiunti. L'uomo al volante sembrava arrabbiato. Gesticolando vistosamente attraverso il finestrino aperto, ci ha costretti ad accostare.

"Chi cazzo sei? Che ci fai qui?" ha urlato appena si è affiancato alla nostra macchina. Ha detto che mi aveva visto fare delle foto. Gli ho spiegato che ero un giornalista, ma che non avevo fatto alcuna foto. Abbiamo discusso animatamente per circa un minuto, e poi ci ha lasciati andare, insistendo perché fossimo scortati fuori da Lazarat e non tornassimo indietro.

Più tardi quello stesso giorno ho incontrato in una tavola calda Gentian Mullai, il capo della polizia di Argirocastro. Ho colto al volo l'opportunità per fargli qualche domanda sulla situazione a Lazarat.

"Che situazione?" ha risposto.

"La produzione di erba," ho detto.

"Quale produzione? Stato stato lì oggi con due miei colleghi. Era tutto sotto controllo, non abbiamo visto nulla di strano," ha detto con un largo sorriso prima di alzare i tacchi e andarsene.

In Albania non passa giorno senza che i partiti politici si accusino a vicenda di essere corrotti e collusi con il narcotraffico. Nessuno dei governi che il paese ha avuto finora è stato in grado di combatterlo o ha voluto farlo. È già successo che le autorità lanciassero offensive contro Lazarat, ma non hanno mai ottenuto particolari cambiamenti. Forse quello di ieri è il segno di un cambio di direzione, ma è troppo presto per dirlo.

Segui Axel su Twitter: @aaxl