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Cosa cazzo sta succedendo con Virginia Raggi a Roma?

Come si è arrivati a questo punto? E cosa è stato fatto, di concreto, in questi sei mesi a Roma?
Leonardo Bianchi
Rome, IT

Da qualche mese la politica italiana si è arricchita di una nuova regola non scritta: quando il sindaco di Parma Federico Pizzarotti fa un tweet in cui dice di essere seduto in riva al fiume, allora il Movimento 5 Stelle sta passando guai piuttosto seri.

Era successo lo scorso settembre, alla prima crisi di giunta a Roma, e si è ripetuto in questo weekend, che per qualsiasi oppositore del M5S è stato—di fatto—un sogno ad occhi aperti.

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Tra dimissioni, arresti e feroci faide interne l'esperienza di governo di Virginia Raggi sembra scricchiolare. Mai come ora, infatti, la giunta ormai si regge su un equilibrio molto precario; e mai come ora addossare la responsabilità a non identificati Poteri Forti è un trucchetto retorico a cui possono credere solo gli attivisti più fomentati.

Ma come si è arrivati a questo punto? Perché la situazione è stata sul punto di sfuggire del tutto? Cosa è stato fatto, di concreto, in questi sei mesi? Per cercare di rispondere a queste domande, ho provato a tracciare un bilancio dell'esperienza della giunta a Cinque Stelle.

COSA HA FATTO DI CONCRETO LA GIUNTA A CINQUE STELLE

Abitando a Roma, e condividendo le stesse sorti di milioni di persone, penso che lo si possa dire chiaramente: in sei mesi di governo a Cinque Stelle non c'è stato alcun cambiamento tangibile nella vita di tutti i giorni—neanche un minimo segno. Per certi versi è come se la città andasse avanti con il pilota automatico, o come se il commissario Tronca non avesse mai lasciato veramente il Campidoglio.

Certo, ereditando le macerie lasciate dalla amministrazioni Alemanno e Marino, non era facile districarsi nel caos di debiti delle partecipate (oltre 800 milioni) e nelle incrostazioni burocratiche, e dunque lasciare immediatamente un'impronta. Ma viste le promesse e le aspettative di riscatto che avevano contrassegnato la campagna elettorale di Virginia Raggi, un minimo cambiamento se lo aspettavano un po' tutti.

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Per ora, la decisione più visibile è stata una non-decisione—ossia il No alle Olimpiadi. Come avevo scritto tempo fa, il rifiuto in astratto poteva anche starci, se solo non fosse arrivato con modalità confuse e contraddittorie, compreso il tradimento della promessa elettorale di fare un referendum sul tema per far esprimere i cittadini.

Poi c'è il capitolo trasporti, indubbiamente uno dei più delicati e di non facile risoluzione. La municipalizzata Atac è un buco nero di oltre 400 milioni di debiti, i mezzi regolarmente vanno in fiamme, e prendere un autobus a Roma continua a essere un'esperienza mistica. In tutto ciò, Virginia Raggi ha battezzato l'arrivo di 150 nuovi autobus (l'iter è stato però avviato dall'ex sindaco Marino), avviato la sperimentazione dei controllori fissi a bordo di cinque linee periferiche, e stanziato circa 20 milioni di euro per la manutenzione dei bus.

A livello economico, poi, la giunta ha sbloccato il salario accessorio per oltre 23mila dipendenti comunali (una vicenda che si trascinava avanti da tre anni), annunciato nuove assunzioni, e approvato il bilancio previsionale 2017-2019 che a breve dovrà passare al vaglio del consiglio comunale. Nel darne notizia, Virginia Raggi ha pubblicato uno dei suoi video più avanguardisti—quello in cui taglia una carta di credito per "inaugurare la stagione della lotta agli sprechi."

Altre misure più o meno simboliche sono state l'apertura dell'area archeologica del Circo Massimo, la creazione di una rubrica informativa ("La sindaca informa") sul sito del comune, l'annuncio della creazione di dieci "isole ecologiche" (cioè i centri di raccolta per lo smaltimento dei rifiuti pesanti) e il potenziamento della raccolta differenziata.

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Infine, Virginia Raggi ha incassato le critiche per l'albero di Natale in piazza Venezia—che la stampa estera ha descritto come "il più brutto del mondo"—e promesso di abbellirlo.

LO #SPAZZATOUR E LA FINE DEL CASO MURARO

Ma è proprio sulla spazzatura, una delle piaghe storiche della Capitale, che la giunta si è trovata—ancora una volta—in enorme difficoltà. Tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre è stato lanciato lo "#SpazzaTour," un giro per le strade di Roma per indagare sullo stato di salute della raccolta dei rifiuti.

I blitz sono stati compiuti personalmente da Virginia Raggi e dall'assessore all'Ambiente Paola Muraro. In uno di questi, a Torpignattara, ci sono state scene degne—a dire dei residenti—"della coppia Totò e Peppino." Iniziando ad "aprire i sacchetti a caccia di indizi," a un certo punto la sindaca ha sentito "rumore di vetro ed è scattata: c'era un ragazzo che stava buttando delle bottiglie nel cassonetto sbagliato."

Rivolgendosi a un ispettore dell'Ama (l'azienda che si occupa della raccolta), Raggi ha chiesto di far scattare la multa; il cittadino, però, ha detto che "qui non abbiamo la raccolta del vetro," e quindi la sanzione è sfumata. Nel commentare l'accaduto, il ragazzo si è rivolto così alla sindaca e a Muraro: "Ma si può sbucare così, all'improvviso, da dietro ai cassonetti di notte? Mi avete messo paura."

Purtroppo, scene del genere non si ripeteranno mai più. Nella notte tra il 12 e il dicembre, infatti, Paola Muraro si è dimessa dopo aver

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ricevuto un avviso di garanzia, ponendo fine a un caso che andava avanti dal giorno della sua nomina e aveva fatto pericolosamente traballare la poltrona di Virginia Raggi. Quest'ultima—che ha sempre difeso Muraro—ha infine accettato le sue dimissioni, e in piena notte l'ha comunicato con un video girato nella Loggia nera di Twin Peaks.

Le dimissioni di Muraro, tuttavia, sono solo l'antipasto di una slavina ben peggiore che poco dopo si è abbattuta sul Campidoglio.

L'ARRESTO DELLO "SPERMATOZOO CHE HA FECONDATO L'OVULO DEL M5S"

Il 15 dicembre, come riportano i quotidiani, "un gruppo di agenti in borghese" si è presentato a Palazzo Senatorio "per acquisire tutti i documenti […] relativi alle assunzioni effettuate dalla sindaca di Roma." L'inchiesta sarebbe stata aperta dopo l'esposto presentato dall'ex capo di gabinetto Carla Raineri, che qualche mese fa si è dimessa dall'incarico in aperta polemica con Raggi. Per il blog di Beppe Grillo, l'acquisizione degli atti è l'ennesima riprova che "il Movimento 5 Stelle è sotto attacco e [che] presto, mano a mano che ci avvicineremo alle politiche, sarà molto peggio."

Il giorno dopo, però, succede qualcosa di molto più grosso: il capo del personale Raffaele Marra, autodefinitosi "lo spermatozoo che ha fecondato l'ovulo del Movimento," è stato arrestato insieme all'"immobiliarista della casta" Sergio Scarpellini. Anche se la vicenda giudiziaria si riferisce a fatti di alcuni anni fa, e dunque non coinvolge direttamente la giunta a Cinque Stelle, politicamente il colpo è durissimo: il capo del personale, il cui allontamento era stato richiesto a gran voce da deputati come Roberta Lombardi (che l'aveva definito "il virus che ha infettato il Movimento") e da Beppe Grillo in persona, era stato strenuamente difeso da Raggi anche dopo le inchieste dell'Espresso.

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A novembre, secondo alcuni retroscena (ovviamente smentiti), la sindaca avrebbe addirittura legato la sua permanenza al Campidoglio al destino di Marra. In un'intervista a Repubblica, Raineri sostiene senza troppi giri di parole che Marra era "il braccio destro" della sindaca: "Lo sapevano tutti. In Campidoglio non si muoveva foglia senza l'avallo suo e di Salvatore Romeo [capo della segreteria politica]."

Presentandosi in una "conferenza stampa"—in cui non è stato possibile fare domande—subito dopo l'arresto, Virginia Raggi ha detto di essersi sbagliata, e ha chiesto scusa ai cittadini romani, al Movimento 5 Stelle e a Grillo, "che aveva sollevato perplessità." Marra è stato quindi scaricato senza troppa pietà: "è uno dei 23mila dipendenti e non un esponente politico. Il mio braccio destro sono i romani […]: l'amministrazione va avanti."

Ma non tutti sono convinti che si debba andare avanti—e non parlo delle opposizioni, che ovviamente si sgolano per chiedere le dimissioni. All'interno dello stesso M5S una nutrita fronda chiede più o meno velatamente le dimissioni di Virginia Raggi, e la deputata Roberta Lombardi usa addirittura una citazione di Martin Luther King.

Tra venerdì e sabato lo psicodramma grillino ha raggiunto l'apice, e tutte le tensioni accumulatesi a livello locale e nazionale si sono scaricate in una ridda di riunioni, retroscena, indiscrezioni e silenzi di peso—come quelli di Luigi Di Maio, considerato il maggior sponsor politico di Virginia Raggi, e Alessandro Di Battista, che hanno parlato solo dopo due giorni.

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Alla fine, la posizione ufficiale del Movimento 5 Stelle è stata comunicata sul blog di Grillo: " Roma va avanti con Virginia Raggi sindaco del MoVimento 5 Stelle. Sono stati fatti degli errori che Virginia ha riconosciuto: si è fidata delle persone più sbagliate del mondo. Da oggi si cambia marcia."

La risoluzione della crisi è stata però condizionata allo smantellamento di quello che la stampa ha definito "Raggio magico." In particolare, Daniele Frongia —fedelissimo di Virginia Raggi—è stato rimosso dall'incarico di vicesindaco; e Salvatore Romeo, un altro nome contestatissimo, è stato fatto dimettere da capo delle segreteria.

QUANTO ANCORA PUÒ RESISTERE LA GIUNTA RAGGI?

Esattamente com'era successo a settembre, sia la giunta Raggi che il Movimento 5 Stelle hanno riconosciuto i propri errori e cercato un'altra purificazione. Ma i nodi centrali che hanno reso questa esperienza di governo un percorso a ostacoli restano tutti, ed è perfettamente lecito chiedersi: quando può durare ancora questa giunta?

Virginia Raggi, non arretrando di un millimetro su alcuni nomi, è andata direttamente contro la volontà del leader —una cosa che mai nessuno prima d'ora aveva fatto senza che gli venisse negato l'utilizzo del simbolo del M5S. D'altro canto, in un momento in cui ci si prepara alle prossime elezioni, il partito non può certamente permettersi di perdere Roma in questa maniera. Ed è unicamente per questo motivo che la sindaca è ancora al suo posto—anche se di fatto è stata commissariata in tutto e per tutto, e politicamente non ha più alcun margine di manovra.

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Il punto è che potrebbe non essere finita qui. Nelle ultime ore si è apertamente parlato della possibilità di un avviso di garanzia per Virginia Raggi, e proprio stamattina la stessa ha detto che "valuterà" in caso dovesse arrivare sul serio. Solo che, a quel punto, la questione non sarà più ricomponibile; e non solo crollerebbe la giunta, ma si aprirebbe una crisi in grado di travolgere i candidati premier in pectore fino a Beppe Grillo.

In effetti il caso romano non riguarda semplicemente l'amministrazione della Capitale, ma il cuore politico del M5S —ossia il suo modello organizzativo. Come scrive il professore Aldo Giannuli, le cui simpatie per il M5S sono note, "l'assenza di una una struttura organizzativa pur minima, l'eccessivo affidamento fatto sulla rete, la scelta di candidati improvvisati e di nessuna affidabilità sono formidabili punti di debolezza."

Un modello del genere, insomma, non solo "rende troppo fragile e scalabile il movimento," ma crea inevitabilmente delle correnti, che non avendo una struttura di compensazione lottano tra loro senza esclusione di colpi—con tanto di messaggi trasversali, utilizzo strumentale dell'odiata stampa, e quant'altro—dando l'impressione di una perenna guerra tra bande.

Per un partito che si candida a essere la guida del paese—mentre il PD sta appresso a Giachetti che dice a Speranza di avere "la faccia come il culo" e l'autosospensione di Sala a Milano—forse sarebbe il caso di iniziare a pensare seriamente a questi problemi, invece di evocare complotti e far finta di essere un "corpo solo" con un'"anima sola."

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