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Cosa sta succedendo agli account social della Polizia di Stato?

Dopo il video sul pestaggio di Manduria, adesso anche le polemiche sul tweet per Saviano.
Niccolò Carradori
Florence, IT
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Negli ultimi giorni, le scelte comunicative dei social media manager della Polizia di Stato hanno suscitato diverse polemiche. Ieri sera, ad esempio, si è molto parlato di un tweet che l'account della PdS ha postato in risposta a Roberto Saviano.

Nel suo tweet Saviano aveva incolpato la Polizia di Stato di fungere da "da servizio d'ordine" per la Lega, dopo le recenti vicende in cui le forze dell'ordine hanno sequestrato uno striscione polemico nei confronti del ministro dell'interno, e il cellulare a una giovane contestatrice.

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L'account Twitter della PdS ha risposto poco dopo: "La Polizia di Stato serve il Paese e non è piegata ad alcun interesse di parte. Chi sbaglia paga nelle forme prescritte dalla legge. Che pena leggere commenti affrettati e ingenerosi per dispute politiche o per regolare conti personali." A colpire sono stati soprattutto i toni utilizzati dal gestore della pagina ufficiale.

Lo scorso 30 aprile era stato invece pubblicato su Facebook il video esplicito del pestaggio di Antonio Stano a Manduria, un cittadino anziano e disabile vittima di un gruppo di otto giovani che lo hanno pestato a morte. Questa volta le perplessità, sollevate in primo luogo da Valigia Blu, si erano incentrate proprio sull'opportunità di proporre il contenuto stesso, e di non aver in nessun modo moderato i commenti sotto al post. Che si sono presto trasformati in una palude di fango senza alcun freno.

Le due vicende sono molto diverse fra loro, ma spingono entrambe a farsi domande sulla gestione social della Polizia di Stato—ma in generale, dopo il caso INPS, di tutti gli organi statali.

La pubblicazione del video sul pestaggio di Manduria solleva molti interrogativi oggettivi. È giusto e normale che la PdS utilizzi i social per fornire informazioni sulle proprie operazioni e i successivi dati sugli interventi. Ma il video di Manduria non aveva apparentemente nessuna funzione informativa: non forniva nessun riscontro ulteriore sulle indagini, e per ammissione degli stessi responsabili, serviva a "creare attraverso la crudezza delle immagini, senza alcun ulteriore commento, riprovazione […] e indignazione." Indignazione che effettivamente si è concretizzata nei commenti, non moderati, fra minacce di morte e messaggi di odio per gli indagati.

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Come nota Giovanni Ziccardi, ad aprile c'è stata un'ascesa di post con questo tenore sulla pagina Facebook della PdS. Ha senso difendere questa scelta?

E sempre allo stesso modo si è portati a chiedersi che tipo di valore aggiunto, e di immagine riflessa, rappresenti la risposta a Roberto Saviano su Twitter. A cosa serve questo genere di iniziative?

Perché al di là delle opinioni politiche, e della guerriglia social che lo circonda in questo momento, Saviano rimane di fatto un privato cittadino (per di più un cittadino sotto scorta): è giusto o legittimo che la pagina ufficiale di un'istituzione vada sotto i suoi post a commentare usando le espressioni "che pena", e tirando in mezzo "le dispute politiche" e il regolamento di "conti personali", come se fosse anch'essa la pagina di un privato? È giusto che anche le pagine ufficiali di organi statali competano nel Monopoli di internet con post o tweet piccati? Non era meglio un comunicato ufficiale?

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