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Italia

Un pomeriggio di osservazione dei superfan di Vasco al suo concerto

I cinquantenni oltranzisti e i ventenni neofiti visti da un fan venticinquenne medio di Vasco Rossi.
Niccolò Carradori
Florence, IT
Foto di Silvia Gelli.

Dopo aver pubblicato le foto dei fan alla fine del concerto di Vasco Rossi a Modena, abbiamo raccolto la testimonianza di Giulio, un venticinquenne che sabato era al Modena Park. Questo è ciò che ci ha detto:

I fan di Vasco Rossi si suddividono bene o male in tre macrocategorie:

- gli oltranzisti storici: cinquantenni, soprattutto uomini, che hanno vissuto tutta la sua epoca migliore e che nutrono una vera e propria venerazione per lui;
- i neofiti: quelli, piuttosto giovani, che al contrario hanno dovuto ricostruirne la carriera a ritroso, ma sono altrettanto ossessionati (per motivi difficili da comprendere)
- e i fan medi: persone che spaziano in tutto le spettro delle differenze sociali e anagrafiche, e che magari non sospetteresti mai essere fan di Vasco, ma che comunque conoscono tutta la sua discografia.

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Io appartengo all'ultima categoria, e sabato scorso ero al Modena Park. Per le persone che seguono Vasco il concerto si presentava come una specie di messa celebrativa: il culto che ruota attorno al cantante modenese è l'unico in Italia a poter generare l'afflusso di 220.000 paganti, e col passare del tempo la sensazione è diventata quella di partecipare a un evento che difficilmente si ripeterà. Non solo per Vasco, ma in generale per la musica italiana.

A dispetto del clima piuttosto ansiogeno creatosi intorno all'evento—con un acceso dibattito sulle misure di sicurezza da adottare per il pericolo di attacchi terroristici, il piano di viabilità studiato dal comune di Modena e un traffico quasi paralizzato a causa delle transenne e dei divieti di transito temporanei—il mio arrivo a Modena è stato tranquillissimo.

Non facendo parte della prima categoria di fan di Vasco avevo già messo in conto di non passare sul posto tutta la giornata o un mese, ma alle 12 ero già al Modena Park.

L'area era suddivisa in tre settori in base alla categoria del biglietto, e i membri del servizio d'ordine non avevano quell'attitudine da Gestapo che mi ero immaginato. Fuori dal parco c'erano molte volanti e agenti, e per tutta la giornata e la durata del concerto due elicotteri hanno incessantemente sorvolato l'intera zona, ma a parte questo la selezione si è rivelata tranquilla. Ispezioni di routine agli zaini e alle borse, controllo al metal detector, e basta. Teoricamente tutti i liquidi imbottigliati non erano permessi, ma ci hanno comunque lasciato tenere le creme solari. L'unico inconveniente è stato dover cambiare i soldi, per prendere i token con cui fare acquisti.

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Nonostante ci fossero già almeno 40.000 persone, i prati circostanti sembravano quasi vuoti. Anche i campetti da calcetto o da beach volley allestiti per far passare il tempo erano inutilizzati: faceva troppo caldo, e quindi tutti si limitavano a cospargersi di crema e distendersi al sole a leggere, parlare e fare parole crociate. Le poche zone all'ombra era assediate, e ci si dava il turno per evitare le scottature. Gli unici che gironzolavano ininterrottamente erano i fan stoici di lunga data, che riconoscevi subito.

Il fan militante di Vasco ha un'identità precisa e riconoscibile anche al di fuori di un evento di questo tipo. Sono quelli che affollano i locali della tua città, o del tuo paese, quando viene a suonare la Combriccola del Blasco: uomini—e una minoranza (dura) di donne—con quella propensione per un sentimentalismo semidisilluso che comunicano le canzoni di Rossi. Il fan clericale è il fattorino del mobilificio della tua città, che si è comprato lo scooterone per fare le gite sul lago, o la commessa della merceria sotto casa che su Facebook posta meme con frasi tipo "Sono buona e cara, ma se tradisci la mia fiducia non dimentico". Calati in quel contesto di esaltazione, sembravano i padroni del Modena Park: magari non avevano cartelli o striscioni con loro—come molti fan medi—ma ostentavano una serie di dettagli di appartenenza molto riconoscibili. Portavano bandane o cappelletti flosci che ricalcano quelli di Vasco, occhiali da sole con la montatura in plastica e la lenti colorate, e magliette smanicate da cui spuntavano tatuaggi. Hanno vissuto molti altri concerti del loro idolo, e passano il tempo a scambiarsi aneddoti divisi per gruppetti di appartenenza.

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Oltre a loro vedevi gironzolare sotto il sole solo i membri del servizio medico, che si affannavano a soccorrerli quando avevano bevuto troppe birre o si erano beccati un colpo di sole, portandoli a spalla nelle tende di pronto soccorso.

Per il resto il clima era estremamente tranquillo, e il tempo è passato velocemente, come una normale giornata in un parco riservato ai membri dei gruppi Facebook "Compro, scambio e vendo."

Il concerto è iniziato puntuale, alle nove, ed è stato esattamente come mi aspettavo: Vasco è stato accolto da un boato unisono, ed è iniziata una liturgia piuttosto serrata lunga quasi quattro ore. Una liturgia a cui tutti sapevano come partecipare. A un concerto di Rossi non arrivano spettatori curiosi: tutti, anche i ragazzi di 15 anni che non capisci come si siano fissati con un musicista di 65, conoscono le canzoni a memoria e giubilano quando sentono le note iniziali di un brano.

I più giovani fra gli spettatori sembravano fomentati quanto i veterani, ma a differenza di loro non avevano nessuna stimmate per identificarli: probabilmente hanno ereditato questa passione da un fratello più grande o da qualche zio, che gli ha fatto sentire "Alba Chiara" per prepararli alle delusioni sentimentali della pubertà. I tagli di capelli, i vestiti, il modo di fare non erano riconducibili ad alcuna sottotribù. Erano lì perché volevano assistere a un evento di cui hanno appreso la portata ascoltando i racconti dei fratelli o degli zii sopracitati.

La mia impressione da fan trentenne medio è che l'intero evento si sia basato proprio su questo, più che sulla musica in sé: creare una sorta di celebrazione di un popolo musicale che si è tramandato per un paio di generazioni. Può piacere, o fare schifo, ma è indubbio che Vasco sia l'unico musicista italiano a poter vantare questo tipo di sostrato di devozione.

Anche per questo motivo, il concerto ha seguito una specie di scaletta cronologica in crescendo, coi pezzi più famosi messi da parte per il finale. Nelle pause ci sono state le classiche interazioni con il pubblico: qualche battuta su Giovanardi, considerazioni generazionali e un discorso legato alla paura che suscita il terrorismo. Dal mio settore facevamo molta fatica a distinguerlo sul palco, vista la distanza, ma il clima generale faceva sì che nessuno ci si badasse troppo.

E questo clima era sostenuto proprio dalla parte più popolosa del pubblico: i pesi medi della fanbase di Vasco. La maggior parte degli appartenenti a questo grande gruppo sta esattamente a metà, a livello demografico, fra i veterani e i neofiti: ragazzi e ragazze dai 35 ai 25 anni, che hanno fatto in tempo ad assistere coscientemente all'uscita degli ultimi album—almeno da Buoni o Cattivi in poi—e che portano avanti questa passione insieme a molti altri interessi musicali.

Non sono ossessionati, ma hanno sentito comunque il richiamo per il gigantesco evento di un musicista che ha composto buona parte della gestalt musicale italiana di tutti i decenni della loro vita—tranne l'ultimo. Che molti si vergognino di ammetterlo, poi, è un'altra questione.