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Canada

Nelle prigioni artiche del Canada, dove le condizioni di detenzione sono “deprecabili”

“L’indagine ha rivelato che nel Nunavik vengono tollerate condizioni di detenzione ‘deprecabili’, al di sotto anche degli standard più bassi e che rappresentano gravi violazioni dei diritti, compreso il diritto alla dignità.”
L'area di Nunavik, in Québec. (Graham Hughes/The Canadian Press)

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Sovraffollamento, scarsa disponibilità di acqua e reclusione 24 ore al giorno. Sono queste le condizioni "deplorevoli" che i detenuti nelle prigioni del Quebéc settentrionale sono costretti a sopportare.

A rivelarlo è una nuova relazione sul sistema penitenziario del Nunavik, realizzata da Raymond Saint-Germain, il 'difensore civico' provinciale. Il report mette in luce l'apparato "scadente" con cui la popolazione della regione a maggioranza indigena deve fare i conti.

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Lo studio critica l'assenza di misure per la prevenzione della criminalità, e il fatto che il sistema non prenda in considerazione le peculiarità del territorio a nord della provincia, dove vivono circa 11.000 persone.

"L'indagine ha rivelato che nel Nunavik vengono tollerate condizioni di detenzione 'deprecabili', condizioni al di sotto anche degli standard più bassi e che rappresentano gravi violazioni dei diritti, compreso il diritto alla dignità," ha dichiarato Saint-Germain nel corso di una conferenza stampa tenuta giovedì scorso.

Ad aprile Saint-Germain visitò tre paesi del Nunavik, zona che ospita la popolazione Inuit del Quebec.

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Siccome non esiste un singolo penitenziario nel Nunavik, i prigionieri vengono trattenuti nella stazione di polizia di Kativik - gestita dal governo regionale - o in una cella provvisoria, dove rimangono finché non vengono lasciati andare o trasferiti in una prigione nel sud del Quebéc.

Saint-Germain ha scoperto che nel Nunavik, e in particolare a Puvirnituq, i diritti dei detenuti venivano violati in diversi modi: la presenza di strutture carenti e non igieniche; attrezzatura scarsa e obsoleta; situazioni di promiscuità causate dal sovraffollamento; prigionieri con "profili incompatibili" che venivano tenuti insieme (in alcuni casi, degli ubriachi condividevano la cella con persone che stavano per andare in tribunale); la reclusione 24 ore al giorno.

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A detta del report, chiunque finisce per essere trasferito nelle strutture del sud viene allontanato dalla propria famiglia e dal supporto della comunità. Saint-Germain ha inoltre riscontrato che la presenza di una barriera linguistica rende difficile la difesa dei propri diritti ai detenuti del Nunavik.

Non si tratta del primo caso in cui le condizioni preoccupanti delle prigioni del nord del Canada vengono denunciate. Il Penitenziario Bafflin di Iqaluit nel territorio di Nunavut è finito per l'ennesima volta sotto i riflettori quando i detenuti hanno rivelato di non essere usciti dalla struttura per due mesi e mezzo - una presunta punizione per l'aumento del contrabbando. Il Nunavut è una delle due giurisdizioni in Canada dove manca un organismo indipendente che vigili sulle condizioni delle prigioni.

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"Il report odierno dal Quebec è molto preoccupante," ha detto Howard Sapers, il watchdog delle prigioni federali canadesi, facendo notare che questo studio corrobora i suoi risultati secondo i quali le condizioni detentive nel nord del paese spesso non raggiungono gli standard minimi. "A dover affrontare queste condizioni scadenti sono perlopiù le popolazioni indigene presenti in posti remoti. Oggi gli indigeni rappresentano il 25 per cento di tutti i detenuti federali e molti sono finiti in prigione dopo essere stati prima incarcerati in condizioni deprecabili e debilitanti."

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Saint-Germain ha inviato 19 raccomandazioni al governo del Quebec, tra cui: ridurre il tasso abitativo di una singola cella; evitare di associare detenuti con profili incompatibili; fornire ai detenuti uno spazio sicuro per passare del tempo all'aperto; assicurarsi che le telecamere di sicurezza siano montate in modo che i bagni non siano nell'inquadratura; tenere strumenti per la prevenzione dei suicidi a portata di mano e assicurarsi che gli agenti sappiano usarli; superare la barriera linguistica.

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