Control di Remedy 505 games brutalismo
'Control' di Remedy e 505 Games. Immagine: screenshot dell'autore
Tecnologia

Perché l'architettura brutalista continua ad affascinarci e inquietarci così tanto

Il videogioco 'Control' è l'ultimo esempio di come uno stile nato più di mezzo secolo fa per favorire la socialità, abbia trovato un nuovo significato—molto più oscuro—grazie alla fantascienza pop.
Matteo Lupetti
Asciano, IT

Oggi l’architettura brutalista vive una seconda giovinezza su internet, dove appassionati si riuniscono in gruppi Facebook come The Brutalism Appreciation Society e seguono blog come Fuck Yeah Brutalism e i molti account Instagram dedicati a foto di grossi edifici in cemento. Parliamo di cucina “brutalista” e di scultura “brutalista,” esiste il web design “brutalista” (ispirato alla grezza bruttezza di internet degli anni Novanta) e giovani architetti recuperano le forme e i contenuti del Brutalismo. Non sorprende quindi che il Brutalismo sia arrivato anche nei videogiochi, ispirando gli spazi digitali di piccole opere indipendenti e di giochi più grandi e famosi come il recente Control di Remedy e 505 Games.

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La stagione principale del Brutalismo va dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta, e l’origine della parola è assai arzigogolata. Il termine è nato in Svezia come nybrutalism (“nuovo Brutalismo”), è poi arrivato nel Regno Unito e—come “New Brutalism”—è stato adottato dagli architetti Alison e Peter Smithson giocando sul soprannome di Peter, Brutus, e in polemica con lo stile architettonico modesto e anti-modernista che veniva proposto allora nel Regno Unito—uno stile pomposamente chiamato “Nuovo Umanesimo.” Secondo Reyner Banham—che ricostruisce la storia del movimento ne Il Nuovo Brutalismo: etica o estetica? (1966)—è stato però l’uso dell’espressione francese “béton brut” (“cemento grezzo”) da parte del celebre architetto Le Corbusier a dare all’assonante “Brutalismo” la necessaria autorevolezza internazionale.

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'Control' di Remedy e 505 Games. Immagine: screenshot dell'autore

Il collegamento con Le Corbusier non è casuale, perché facciamo solitamente iniziare la storia del Nuovo Brutalismo con l’Unité d’Habitation, opera con cui Le Corbusier nel 1952 rompe definitivamente con il suo stile leggero e candido degli anni Venti e Trenta e inaugura un’architettura primitiva e ciclopica, costruita appunto con béton brut. Agli abitanti la novità piace: in un’epoca in cui non è comune che le abitazioni abbiano bagni e riscaldamento, questa architettura del dopoguerra rappresenta l’arrivo della modernità. Ma soprattutto l’Unité d’Habitation stuzzica l’immaginazione dei giovani architetti.

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Il Nuovo Brutalismo ricostruisce dopo la guerra, ricostruisce adattandosi a usare come materiale ciò che trova e concentrandosi su case, chiese, università, sull’architettura civile. La rende enorme, la rende un monumento alla socialità dopo un’epoca di devastazione e separazione. Per esempio, in Italia il brutalista “villaggio Matteotti di de Carlo [è] uno dei primi esempi di architettura partecipata,” ci ha spiegato via email Anna Rita Emili—autrice di Puro e semplice. L’architettura del neo brutalismo—cioè è realizzato pensando spazi pubblici e privati insieme ai suoi abitanti. Il cemento è scelto perché è facile ed economico da reperire nell’Europa post-bellica, l’aspetto degli edifici può apparire grezzo ma è sincero, non nasconde i materiali e i loro difetti, non nasconde la funzione degli spazi interni. Il Nuovo Brutalismo è insomma almeno all’inizio un’etica, non un’estetica.

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'Control' di Remedy e 505 Games. Immagine: screenshot dell'autore

Oggi però il Nuovo Brutalismo è infilato in un disordinato mucchio di movimenti e tendenze più o meno a esso contemporanei, e “Brutalismo” indica solo un generico stile architettonico caratterizzato da enormità delle dimensioni e uso di cemento armato a vista. Quello che ci è rimasto della sfacciata onestà del Nuovo Brutalismo è l’uso che ne hanno fatto le istituzioni e i governi, il suo isolamento dal mondo esterno (parte del tentativo di costruire una nuova rete di relazioni interne agli edifici stessi), la sua oscurità tanto diversa dalla luminosità delle contemporanee costruzioni in vetro, l’espressionismo delle sue ombre, il richiamo ai bunker della Seconda Guerra Mondiale, la sua aggressività figlia di un tempo in cui gli architetti si stavano affermando come artisti e gli artisti non guardavano ancora con paternalistica accondiscendenza il pubblico come una massa di consumatori da soddisfare. Ma così—con il passare degli anni—il pubblico ha cominciato a pensare che il Nuovo Brutalismo fosse poco interessato alla vita reale di chi vive dentro i suoi edifici, rapidamente diventati fatiscenti anche a causa dell’incuria delle amministrazioni.

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'Brutalist Doom', di 1337 Doomer. Immagine: screenshot dell'autore

La mod Brutalist Doom di 1337 Doomer prende Doom del 1993 e sostituisce tutte le sue superfici con una monotona e grigia texture che imita il cemento armato. “Il Brutalismo è forse emblematico della ripetitività e della monotonia della società occidentale moderna,” scrive 1337 Doomer presentando il progetto.” [L]’espressione architettonica di una più grande filosofia totalitaria che enfatizza la mancanza di anima, il consumismo al servizio delle compagnie e il materialismo.” Un giudizio che può sorprendere se pensiamo che riguarda un movimento che ha cercato di lavorare sulla vita civile invece che concentrarsi su edifici per le aziende, ma che in realtà ripropone critiche che il Nuovo Brutalismo e Le Corbusier hanno ricevuto sin da subito: forse il Nuovo Brutalismo non ha lavorato per le aziende, ma la società che ha aiutato a costruire era comunque progettata al servizio del loro sistema capitalista.

“La casa è una macchina fatta per viverci dentro”—massima di Le Corbusier rubata da Tono-Bungay di HG Wells—suggerisce un’esistenza in cui l’uomo è solo un ingranaggio. Ora gli edifici brutalisti rischiano continuamente di essere demoliti, mentre nella fantasia diventano spunto per le architetture dell’oppressione e del potere. È brutalista l’architettura di Coruscant, capitale dell’Impero Galattico di Star Wars, e il Brutalismo—simbolo di distopia e controllo—appare in film come Arancia Meccanica, Gattaca, Blade Runner e La forma dell’acqua.

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Il più influente dei videogiochi che si sono ispirati al Brutalismo è NaissanceE di Limasse Five (Mavros Sedeño). In realtà, per Sedeño il Brutalismo è solo una tra molteplici, disordinate influenze che convergono in quest’opera unica e visionaria che rinchiude chi gioca in un’architettura che non sembra più pensata per la vita umana e prende vita propria. “L’idea era fare in modo che ci gioca fosse messo alla prova dal mondo stesso, come se il mondo fosse un’entità dotata di una sua coscienza che cerca in qualche modo di comunicare,” ci ha spiegato Sedeño via email.

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'NaissanceE', di Limasse Five. Immagine: screenshot dell'autore

NaissanceE ha a sua volta ispirato diversi sviluppatori, e tra questi il più interessante è Moshe Linke—autore prima di un seguito autorizzato all’opera di Sedenoz (VoyageE) e poi di una lunga serie di videogiochi esplorativi ambientati in architetture brutaliste. “Il mio amore per il Brutalismo è iniziato anni fa quando giocai a NaissanceE,” ha raccontato a Motherboard Linke in una email. “Questo gioco usava un sacco di architetture e megastrutture ‘brutali’. Ho iniziato a informarmi sull’argomento e ho scoperto presto che questo stile architettonico si combinava perfettamente con i miei progetti e le mie idee. Ha qualcosa di minimalista, ma misterioso. Essere all’interno di una struttura brutalista può richiamare ogni genere di emozione. La sensazione del peso di questa enorme struttura fa qualcosa al giocatore. Il Neo Brutalismo poi è come libero da ogni confine temporale e culturale e ha perciò un effetto alienante sul giocatore.”

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'Neo Brutalism of Tomorrow', di Moshe Linke. Immagine: screenshot dell'autore

Il Brutalismo è un’architettura che può insomma sembrare senza tempo, una rovina nata già come rovina. Guardate per esempio le architetture del videogioco (ancora in sviluppo) Singmetosleep di Acatalept—geometrie sacrali abbandonate nella desolazione. ”[Il Brutalismo è] un modo di vedere oltre la superficie e scorgere la struttura profonda, le forme principali, l’immagine complessiva,” ha scritto Acatalept a Motherboard via email. “Si fa da parte, non definisce ma suggerisce quell’interezza che di solito ci sfugge, superando limiti culturali o temporali. […] E il Brutalismo in molte delle sue forme ha questa distinta capacità di apparire disabitato, trascurato, abbandonato, quasi come se non avesse mai avuto uno scopo specifico, o forse come se questo scopo fosse aperto a interpretazioni. Un’inscrutabile reliquia di un futuro distante, un progettista inconoscibile, alla deriva nel tempo.”

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'Vane', di Friend and Foe. Immagine: screenshot dell'autore

Atemporale è anche il mondo del videogioco Vane di Friend & Foe—un deserto che si trasforma in una città di megastrutture ispirate al Brutalismo per poi tornare di nuovo deserto. “Visivamente, abbiamo sempre amato il Brutalismo per la sua abilità di evocare grandi dimensioni, ordine e un senso di fredda, spietata indifferenza verso chiunque abiti i suoi spazi,” ci ha scritto via email Rasmus Deguchi di Friend & Foe.

Il recente Control di Remedy e 505 Games è ambientato all’interno del misterioso Oldest House—un grattacielo brutalista newyorkese in cui la protagonista si avventura alla ricerca del fratello scomparso. “Verso la metà del secolo scorso, [il Brutalismo] è stato adottato dai governi, lasciandosi alle spalle l’edilizia abitativa sociale […] e iniziando ad associarsi con università e istituzioni governative,” ci ha scritto Stuart Macdonald—world design director di Control. “E questo collegamento con il governo è uno dei motivi per cui abbiamo scelto il Brutalismo.”

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'Control', di Remedy e 505 Games. Immagine: screenshot dell'autore

L’Oldest House è ispirata al Long Lines Building di Manhattan, un tardo edificio “in stile brutalista”. Un terrificante monolite, che Emili ha definito “una cosa allucinante, orribile,” parlando con noi al telefono. “C’è un’eccessiva figuratività che il Neo Brutalismo non ha, ma questo proviene da tutta un’architettura americana degli Anni Settanta che riprende il Brutalismo europeo in maniera errata, come una questione stilistica e non di contenuti, come spettacolarità opprimente.”

Per gli sviluppatori di videogiochi il Brutalismo è però anche l’occasione di superare una lunga tradizione nella costruzione dello spazio digitale. “Penso che la paura di avere pochi dettagli venisse dalle necessità del passato, quando i giochi dovevano avere molti dettagli su superfici e modelli in modo da controbilanciare un’illuminazione più semplice” ha spiegato Macdonald. “Quindi ora abbiamo questo strano concetto per cui più dettaglio vuol dire maggiore qualità. In architettura, invece, c’è di solito una ricerca di purezza della forma e di qualità della superficie.”

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'Control' di Remedy e 505 Games. Immagine: screenshot dell'autore

I videogiochi “brutalisti” abbracciano solo in parte l’etica del Nuovo Brutalismo: le superfici “oneste” nei materiali di Control fingono di essere di cemento armato, ma non mostrano realmente il materiale virtuale di cui sono composte, il lavoro di chi le ha modellate. Queste opere condividono però con il Brutalismo il desiderio di rendere lo spazio architettonico protagonista in quanto spazio. Niente orpelli, niente intermediazioni, niente necessità di fingersi altro.

“C’è [in questi videogiochi] una ripresa del concetto di Brutalismo, anche se più come aggettivo: sono spazi brutali, scarni di oggetti,” ha concluso Emili. “È spazio puro.”

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