Il dramma di vivere in una delle città più belle del mondo sta nel fatto che è una delle città più belle del mondo. E tutti se ne accorgono. Da quando Gregory Peck e Audrey Hepburn si sono fatti quel bel giro in Vespa per le strade di Roma, è iniziata una corsa inarrestabile di turisti pronti a vedere una città antica come il mondo e di pellegrini felici di fare code chilometriche per entrare a San Pietro.Per questo mestiere uso la tecnica dell’ambient marketing: praticamente mi immedesimo nel cliente nel suo stesso spazio, con le stesse mosse e attacco.
Il rapporto che si instaura tra persona del posto e buttadentro è faticoso, odiato. Sono quei tre secondi in cui vieni aggredito da un perfetto sconosciuto che ti osanna le doti di un piatto di pasta, mentre tu vorresti solo scappare il più in fretta possibile e fare acquisti in via del Corso. Che poi è quello che si fa quando si passeggia in Centro, non esistono altre motivazioni per andarci.“Buongiorno, good morning, bonjour, hola…pasta pizza tiramisù?”Hai sette secondi prima di perdere l’attenzione, per cui con le mie 5 lingue faccio complimenti, chiedo della famiglia, del posto da cui vengono. Ma mai e poi mai parlo di cibo
“Bella signorina, tavolo per due? Table per two?”Tu li guardi e gli rispondi, a seconda di quanto ti girano.
“No, grazie”, o “No guarda lasciami perdere, se voglio un piatto di pasta me lo posso fare a casa. E sono italiano, comunque”.Il problema è che si pongono male: alcuni sembrano dei disperati con la camicia mezza sporca che devono a tutti i costi farti entrare nel locale.Così mi sono detto: mettiamo da parte un attimo lo scazzo irrazionale di quando interrompono la tua corsa a slalom tra gruppi di asiatici e cerchiamo di capire che persone ci sono dietro a questi uomini, donne, ragazzi e ragazze che stanno fuori tutti i giorni a cercare di convincere la gente.
Prossima tappa qualche metro più in là, dove c’è il retro del Quirinale, fruttaroli e un ristorante ad angolo bello grande. È una sorta di istituzione, ma quasi tutti lo sono: con i pesci freschi in vetrina, è un ottimo punto dove i turisti si fermano per un pranzo o una cena. Qui di buttadentro ce ne sono tre, tutti navigati.Ho parlato con Carlo per qualche minuto tra un “Prego, pasta, pizza” e l’altro. “Faccio questo lavoro da quasi dieci anni. Vengo da Napoli. Mi piace, però è un po' stressante perché la gente è tutta diversa e ogni volta devi cercare di capirla. Al giorno posso portarne dentro anche 200 nei periodi estivi, il problema è l’inverno. E considera che per esempio mi pagano a provvigione quindi non guadagno affatto male”.Al giorno posso portarne dentro anche 200 nei periodi estivi, il problema è l’inverno.
“Guarda io sono partito come cameriere e lo faccio ancora. Mi hanno messo alla porta da poco, ma non sono molto bravo, sono timido. A me piace quando la gente entra da sola, non mi va di convincerli.”Qui era interessante capire la questione dello stipendio: guadagna più un cameriere o un acchiappino?“Un cameriere”, mi dice il ragazzo. “Per portare le persone dentro mi prendo 35 euro, da cameriere 50. Non so nemmeno parlare le lingue, faccio a gesti e italiano. E poi se becchi il testa di cazzo può anche essere che ti manda a quel paese, non è proprio il massimo”.Comincio un po' a capire la pesantezza di un lavoro del genere, fatto di frasi fatte, rifiuti, caldo torrido e paga sudata.
Di Fontana di Trevi ne avevo abbastanza, perciò sono andato verso via dei Pastini, in un ristorante noto per essere sempre su Porta Portese con gli annunci di lavoro. Nel frattempo comincio un po' a capire la pesantezza di un lavoro del genere, fatto di frasi fatte, rifiuti, caldo torrido e paga sudata."Perché ti piace fare l'acchiappino?"
“A te piace fare sesso? È la stessa cosa
Dopo aver litigato con degli acchiappini di un locale, ho incontrato tre ragazzi vestiti a puntino ben felici di dirmi la loro. Giuseppe, Gianfranco e Giulio sono i nomi italianizzati di questi tre ragazzi che vengono tra Albania e Macedonia.Ma a chi piace fare un lavoro del genere? È una cosa di passaggio, fa schifo. Con gli italiani che si arrabbiano tutte le volte perché parliamo in inglese e sottolineano come siano italiani, che palle!
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