Non puoi dire di mangiare tanto se non provi a farlo come i parigini del 1800
Una caricatura del Diciannovesimo secolo intitolata 'Gargantua and the great banquet.' Fonte: DeAgostini/Getty Image

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Cibo

Non puoi dire di mangiare tanto se non provi a farlo come i parigini del 1800

Provate voi a scofanarvi 25 diversi antipasti, 15 arrosti e non meno di 28 tipi diversi di pesce.

Se pensate che quella per il cibo su Instagram sia un’ossessione di portata immane, allora, probabilmente, non siete mai incappati nella ghiottoneria irrefrenabile dei parigini del Diciannovesimo secolo.

Partiamo subito con un esempio più che calzante. Uno dei club più famosi dell’epoca era “Club des grands estomacs", "Il club dei grandi stomaci", che si riuniva ogni sabato e iniziava le danze alle 6 del pomeriggio con un piatto a base di zuppa, rombo con salsa di capperi, filetto di manzo, agnello brasato, gallina, lingua di vitello, sorbetto, pollo arrosto, cremine varie, torte e pasticcini (ovviamente accompagnando il tutto con sei bottiglie di Borgogna a persona), per poi riprendere a mezzanotte con tè, zuppa di tartaruga, pollo, salmone con cipollotti, costolette di cervo con peperoncino, sogliola su letto di coulis al tartufo, carciofi con peperoncino di Giava, sorbetto al rum, Grouse Scotch e budino al rum (in questo caso accompagnando con 3 bottiglie di Borgogna e 3 di Bordeaux a persona). Il club si congedava quindi alle 6 del mattino dopo con una “zuppa alle cipolle estremamente piccante,” servita con pasticcini salati e 4 bottiglie di Champagne a persona, caffè e gli immancabili digestivi.

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C’è chi ha “incolpato” la Rivoluzione Francese per quell’attacco di voracità e, dopotutto, anche vantando conoscenze minime sulla Rivoluzione Francese, chi non ha citato almeno una volta la celebre “Che mangino brioche!” della Regina Maria Antonietta? La realtà dei fatti, tuttavia, è un po’ più complicata.

Sebbene la carestia giunse effettivamente alle porte di Parigi nel 1788, dando una grande spinta alla Rivoluzione, è molto plausibile simili parole non siano mai uscite dalla bocca della Regina. Anche perché la citazione, già nel 1767, era già stata attribuita da Jean-Jacques Rousseau a un’altra persona, quando Maria Antonietta aveva solo 12 anni. E poi, cosa ancora più importante da tenere a mente, Parigi era l’epicentro della cultura del cibo ben prima dell’inizio della Rivoluzione Francese.

Illustrazione dei primi del Diciannovesimo secolo raffigurante uomini a un banchetto. Foto: Universal History Archive/UIG via Getty

“Pasti epocali e menu infiniti esistevano già nel Diciassettesimo e Diciottesimo secolo,” mi spiega Patrick Rambourg, storico specializzato in cucina e gastronomia. “non è una novità.”

È però durante il Diciannovesimo secolo, però, che è stata inaugurata una sorta di ghiottoneria senza precedenti in seguito a 3 importanti cambiamenti nel mondo della gastronomia, tutti concomitanti, sebbene non necessariamente legati, al periodo post-Rivoluzione.

Per secoli il regime alimentare dei francesi aveva seguito i dettami del service à la française, che lasciava coesistere cibi salati e dolci sullo stesso tavolo e in enormi quantità (pensate a Re Enrico VIII d’Inghilterra). Giunto però il “servizio alla russa,” service à la russe, con l’inizio del Diciannovesimo secolo, le abitudini iniziarono a cambiare. Il nuovo stile, tutt’oggi d’uso comune in Francia, favoriva invece la successione di piatti uno dopo l’altro.

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Il service à la russe presentava notevoli benefici: il servizio alla francese, nonostante a tavola portasse fino a 30-40 piatti, permetteva al commensale di assaporare solo quelli che si ritrovava davanti. Per non parlare poi del fatto che, stando al libro Fin de Siècle Gourmande di Claire Banquart, la maggior parte dei piatti si raffreddava prima di finire sotto il naso del commensale di turno.

Il nuovo stile preoccupava però alcuni chef francesi.

“Alcuni chef francesi temevano che, adottando il servizio alla russa, il lato artistico della gastronomia sarebbe andato perduto,” continua Rambourg.

L'arte culinaria del Diciannovesimo secolo era un misto di impiattamenti elaborati e presentazioni artistiche sul tavolo e, sempre fino ad allora, il collegamento fra arte e cucina era quasi conseguente e sicuramente ancora in voga. Marie-Antoine Carême, uno dei cuochi nonché pasticceri più importanti e famosi dell’epoca, descriveva la pasticceria come “il ramo principale” dell’architettura, ritenendola uno degli elementi principe delle arti figurative al pari della scultura, la pittura, la musica e la poesia. Carême è passato alla storia anche per aver dato vita a una delle creazioni più eccentriche del periodo, una torre di profiterole tenuta insieme da zucchero filato che i francesi avevano soprannominato croquembouche.

Una Maria Antonietta pre-Rivoluzione nel film di Sofia Coppola (2001).

Molti chef francesi del Diciannovesimo secolo temevano che la cucina francese sarebbe potuta uscire sconfitta da un simile cambiamento, perché poneva davanti ai commensali un tavolo vuoto, privo di tutti i piatti di porcellana ripieni di ogni bontà che, fino ad allora, erano stati la norma.

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Questo tipo di reticenza, secondo Rambourg, aveva condotto a diverse decadi di servizio misto, “con i piatti tutti sul tavolo alla francese, di decorazione, e quelli caldi portati in un secondo momenti alla russa.”

Ovviamente, questo tipo di caos aveva generato menù immensi, infiniti e non necessariamente consumati.

“Quando si leggono i menu dell’epoca è meglio sempre tenere a mente che, nonostante il numero di piatti, questo non significasse che tutti mangiassero tutto,” enfatizza Rambourg.

C’era però chi aveva accettato la sfida: i borghesi. Sebbene nel nostro immaginario la Rivoluzione Francese coincida con la carestia e le scene di un popolo in lotta contro la nobiltà, alcuni teorici ritengono che a rovesciare i privilegi dei reali siano stati principalmente i mercanti ricchi e gli abitanti più abbienti della città. Spodestati i nobili e con loro i sinonimi di nobiltà (quindi principalmente i vantaggi dati dall’essere nati nobili), il patrimonio monetario posseduto divenne la chiave del successo dei borghesi. E come si poteva mostrare al mondo, con un certo vanto, quante fossero le ricchezze possedute? Beh, sicuramente mangiando. Mangiando un sacco.

Prendete il romanziere Honoré de Balzac. L’autore, noto principalmente per le 100 tazze di caffè ingurgitate al giorno, fu anche uno dei primi a includere i pasti eccentrici e infiniti nelle proprie opere.

“Chi possedeva disponibilità economiche ingenti, mostrava il proprio status di ricchezza con l’abbondanza. Più eri bravo a intrattenere il pubblico, più ti mostravi buongustaio, e più le persone ti percepivano come un individuo di successo,” continua Rambourg. E questo non significava solo potersi permettere di servire agli ospiti enormi menù, ma anche che tu stesso eri in grado di mangiarteli tutti.

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“Non a caso, durante quell’epoca, sfoggiare una pancia pasciuta era sicuramente segno di ricchezza. Guardate l’iconografia del periodo, siano caricature o altro: i borghesi di successo avevano tutti la pancia bella pena. Da qui ne consegue il ragionamento logico che chi aveva accesso alla buona cucina francese fosse conseguentemente un uomo di successo.”

Un'acquaforte parigina del Diciannovesimo secolo intitolata "Réunion gastronomique ou les gourmands à table." Fonte: Art Images.fr.

Ma facciamo un altro esempio, prendete il romanziere Honoré de Balzac. L’autore, noto principalmente per le 100 tazze di caffè ingurgitate al giorno, fu anche uno dei primi a includere i pasti eccentrici e infiniti nelle proprie opere. Nel suo corpus letterario vengono menzionati più di 40 ristoranti, incluso il Chez Véry che era famoro per il suo menù da 9 zuppe, 9 pâtés, 25 diversi antipasti, 15 arrosti e non meno di 28 tipi diversi di pesce. Ed è sempre in quel ristorante che l’autore, accompagnato dal suo editore Edmond Werdet, si era scofanato un pasto di 100 ostriche, una sogliola intera, un’oca con rape e un paio di pernici arrosto (che Werdet non aveva aiutato a finire, perché quel giorno aveva mal di pancia).

Ed è con la popolarità di locali come Chez Véry che finalmente disponiamo dell’ultimo pezzo del puzzle di questa storia, anche perché i ristoranti erano un’invenzione abbastanza recente per l’epoca.

Secondo varie leggende metropolitane, il primo ristorante era stato aperto post-Rivoluzione dallo chef di un aristocratico che, dopo aver seguito la breve fuga del suo datore di lavoro in Inghilterra (cosa non si fa per non perdere la testa), era giunto al centro di Parigi inventandosi il nome di ristorante perché vendeva principalmente zuppe “ristorative.”

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In realtà il primo ristorante è da rintracciarsi prima della Rivoluzione Francese, ma è comunque solo al periodo post-rivoluzionario che si può datare l’esplosione dei ristoranti. Secondo la Cuisine à la Française, i 100 ristoranti presenti pre-Rivoluzione si moltiplicarono in 600 post-Rivoluzione, arrivando a 3000 all’inizio del Diciannovesimo secoli. Fu allora che gli chef, incluso Carême, iniziarono a portare in tavola creazioni rare e ricchissime, e che “il mangiare fuori” divenne estremamente popolare.

“Parigi, già dalla fine del Diciottesimo secolo, era tappezzata di ristoranti,” conclude Rambourg, “ed è stato lì che Parigi è diventata la capitale par excellence della gastronomia francese.”

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Quest'articolo è originariamente apparso su Munchies US.