La ragazza che ha fatto scoprire il sintetizzatore all'America
Foto di Riva Freifeld, via THUMP.

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Musica

La ragazza che ha fatto scoprire il sintetizzatore all'America

Figura sottovalutata ma cruciale, Suzanne Ciani ha dato un contributo fondamentale alla ricerca nella musica elettronica (e fatto ridere mezza America facendo parlare David Letterman con il vocoder).
GC
London, GB

Quando pensiamo all’evoluzione esponenziale che l’elettronica ha avuto dagli anni Settanta in poi, nel tracciarne le tappe decisive ci vengono automaticamente in mente alcuni nomi e riferimenti. In un’ipotetica mappa che ci siamo creati man mano approfondendone il percorso, la Germania ha decisamente un ruolo centrale, seguita a stretto giro da Francia e Stati Uniti. Se siamo tutti d’accordo, per lo scopo di questo articolo prendiamo il sintetizzatore come oggetto cardine, da configurare certamente come simbolo della rivoluzione stilistica.

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Quando diciamo sintetizzatore non si può non menzionare Robert Moog, che lo portò al successo a livello commerciale, rendendolo accessibile anche a compositori che non avrebbero avuto effettivamente idea di come utilizzarlo. Ma quando si parla di questa storia, spesso ci si perde per strada una figura fondamentale: mentre in Germania la compagnia di Kraftwerk e folli sperimentalisti cosmici entravano nel tessuto del pop con prepotenza, scardinandone le certezze, oltreoceano una giovane musicista di origini italiane tentava fortuna come ingegnere del suono, quando non esisteva effettivamente una definizione reale del mestiere.

Suzanne Ciani può considerarsi la grande pioniera femminile che portò alla ribalta questo genere di avanguardia, quando tutto stava nascendo. L’ispirazione per dedicarsi a quella carriera così stravagante e così nuova in tutte le sue sfumature fu l’incontro, alla fine degli anni Sessanta, con Don Buchla, che realizzò uno dei primissimi synth modulari. Pur essendo un contemporaneo di Bob Moog, si dedicò a una visione differente dello strumento: mentre per Buchla la priorità era quella della ricerca e della modificazione del suono nella sua forma più pura, Moog si concentrò su una versione più accessibile della stessa tecnologia, integrando nel modulo una tastiera, come quella di un pianoforte, decisamente più familiare dell'enorme blocco pieno di circuiti, manopole e cavi prediletto dagli appassionati più intransigenti. Per Don Buchla, l’intento era quello di esplorare le capacità di strumenti da una fisicità non convenzionale, di una peculiare estetica che raccontasse istantaneamente, fin dalla prima occhiata, quanto complessi ed al contempo affascinanti fossero.

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Così, mentre i sintetizzatori Moog facevano il botto a livello commerciale, il Buchla rimase un oggetto di nicchia per fanatici della manipolazione sonora, proprio come la Ciani. Dalla California si trasferisce a New York, dove comincia a vivere di sound-design e concerti interamente pensati per il Buchla 200e, il suo compagno di viaggio fisso da lì in avanti. Oltre a entrare nelle grazie di Philip Glass e Steve Reich, incontrati nei circoli d’avanguardia a Soho, fonda una etichetta chiamata Ciani/Musica, specializzata in spot pubblicitari e colonne sonore: il famosissimo scroscio della Coca-Cola che viene versata fu creato proprio attraverso il suo benamato synth modulare, ed è sorprendente sapere come sia tutt’ora uno dei musical logo più riconoscibili nella cultura pop, a distanza di quarant’anni.

Un synth modulare era quanto di più nuovo e complesso si potesse trovare nel mondo della musica, tanto che organizzare un'esibizione dal vivo era problematico perché pareva di dover trasportare un'intera stazione spaziale. Suzanne Ciani l’ha sempre paragonato a una grande parete da dipingere, che si riempie di colori diversi mano a mano che i caratteristici cavetti si tendono tra un modulo e l'altro. Allo stesso modo, durante un’esibizione, il musicista improvvisa ogni volta una nuova coreografia con i suoi movimenti lungo la gigantesca parete elettronica.

Quando, nell’agosto del 1980, la NBC le propose di presentare il suo lavoro al David Letterman Show, Suzanne Ciani avvertì concretamente quanta distanza ci fosse ancora tra quegli strumenti del futuro e la tradizionale concezione di come la musica potesse essere creata. Nonostante la disco, l’house e l’incombente astro nascente della techno, quegli aggeggi pieni di manopole, cavi dai colori scintillanti e microfoni che cambiano la voce dovevano davvero sembrare così inverosimili da strappare un sorriso.

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Il Prophet 5 della Sequential Circuits che utilizzò durante la performance televisiva fu un altro pezzo di storia, essendo uno tra i primissimi sintetizzatori polifonici in grado di memorizzare un certo numero di comandi ed operazioni (il Buchla, all’epoca, non era stato programmato con una memoria interna, ad esempio). Nel buffo siparietto, Letterman è visibilmente divertito da quello che la Ciani riesce a fare premendo dei semplici quanto incomprensibili tasti, mentre un pubblico altrettanto incredulo è intrattenuto al limite tra lo stupore e l’ilarità da un microfono in grado di modificare istantaneamente una voce, replicandola in decine di versioni differenti.

Come ha spesso raccontato la compositrice, quello fu solo un piccolo scorcio della realtà che stava affrontando durante quegli anni. La sua caparbietà ha fatto sì che non abbandonasse mai la voglia di sperimentare, di realizzare ciò che non era ancora stato fatto, ma a lungo la sua sperimentazione ha incontrato una carenza di fiducia, risultata in una lunga serie di porte sbattute in faccia. Le chiedevano se cantasse, se non potesse pensare di fare qualcosa di più “normale”, dato che la musica le piaceva così tanto. Quello che accadde dopo, con una sfilza enorme di clienti pronti ad affidarle lavori per aziende importanti e rinomate (Atari, American Express), oltre che l’infinita epopea di live con il Buchla 200 – di cui divenne vera e propria madrina – premiarono la fiducia nella propria arte con il posto speciale che le è sempre spettato.

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Quella sana ossessione per la musica elettronica era per la Ciani un insieme di premonizione e di speranza: immaginava che quelle macchine ronzanti e lampeggianti ce l’avrebbero fatta, che sarebbero state dappertutto nel giro di qualche decade. Pensò persino di creare una serie d’arredamento futuristico, come poltrone dotate di manopola incorporata per il pitch, quasi kitsch pure per i più accaniti. Insomma, ha sempre viaggiato su un binario a parte.

Una figura femminile che ha sbaragliato la concorrenza nel suo campo, la prima a realizzare una colonna sonora da solista per Hollywood (The Incredible Shrinking Woman di Joel Schumacher, 1994) e con tutti e due i piedi nel futuro prima del futuro stesso. La sua carriera è proseguita con virate new-age (per cui si è conquistata nomination ai Grammy) e score per piano, ma, attraverso lecture ed esibizioni in tutto il mondo, ha conservato un posto nella storia che molto spesso ci dimentichiamo di rivalutare.

Al suo fianco, immancabilmente, quel Buchla 200 che suonò la sua prima nota ormai quasi cinquant’anni fa.

Giovanni scrive le cose difficili su Noisey. Seguilo su Twitter: @storiesonvenus.

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