Il Giappone: uno dei sogni della mia vita. Mi immagino già mangiare 24/7 senza assaggiare mai la stessa cosa. Grazie al cielo in Italia iniziamo a trovare ormai dell'ottimo cibo nipponico, anche autentico (penso ad esempio alla Gastronomia Yamamoto a Milano o a Yuzuya a Bologna), ma probabilmente un punto di domanda si formerà sulla vostra testa quando parlerò di pasticceria giapponese. In pochi conoscono i dolci nipponici e anche io, ammetto, non avevo grandi nozioni sull'argomento.
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Dopo aver conosciuto Hiromi e aver passato un po’ di tempo con lei, ho capito che vale la pena approfondirne le caratteristiche e le peculiarità - la pasticceria giapponese ha qualche capo saldo, come il riso glutinoso e poco zucchero - e che i dolci del Sol Levante sono un confine che sono felice di avere varcato.
Sono a Prati, quartiere romano che dal punto di vista gastronomico offre alcuni spunti interessanti. Entrando da Hiromi Cake noto subito un team tutto al femminile: quattro donne in cucina e due al banco. Partiamo molto bene.
Hiromi è la pastry chef, ma non parla troppo bene l’italiano, quindi mi faccio aiutare dalla sua seconda, Mizuko, che lavora nel locale insieme a Tomoko e Asako. Hiromi mi racconta di come un tempo facesse l'insegnante di giapponese a Osaka e che, fino all'età adulta, non aveva mai varcato i confini del suo paese. Ci ha messo un anno e mezzo per convincere se stessa che una nuova vita in Italia fosse possibile. Hiromi ha 60 anni ed è autodidatta; ha lavorato in diverse pasticcerie proponendo i dolci della tradizione, ma sempre con qualcosa di diverso rispetto alle ricette originali.
Dopo sei mesi passati in un ristorante giapponese della capitale, dove ovviamente preparava i dessert, si è convinta ad aprire un locale tutto suo. Aperto da un mese circa, Hiromi Cake vende già in media 150 pezzi al giorno; i clienti sono fidelizzati e tornano per provare le nuove creazioni. Da Hiromi, oltre alla pasticceria wagashi - dorayaki e mochi - e a quella yogashi - dessert rivisitati d'ispirazione americana o francese (come cheesecake e dacquoise) - inventano anche i propri dolci, le Hiromi Cake, monoporzioni coloratissime e curate nei minimi dettagli: crostatine ripiene di cioccolato bianco, fagioli bianchi (italiani) e rossi (azuki), soufflé su base di frolla alla mela e cioccolato, mousse di tofu e mirtillo, mille crêpes al matcha, tutti decorati alla perfezione. I prezzi vanno, per le monoporzioni, dai 2,80 ai 4,80 euro.
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Una delle cose che mi colpisce di più è il Melonpan, un pane giapponese fresco, a base di burro e farina, farcito in quattro modi differenti: classico, con gocce di cioccolato, matcha e al cioccolato fondente.
Disponibile solo al Venerdì dalle 14 come usanza vuole. Il Melonpan si accompagna meravigliosamente al tè matcha. Io penso che ci starebbe benissimo un buon sake, e infatti presto saranno disponibili diverse etichette, mi dicono. Questo non vuol dire che si smetterà di servire caffè, irrinunciabile per i romani.
Io e Hiromi parliamo lingue diverse, nel senso della parola stretto che più stretto non si può, ma nonostante questo riusciamo a fare conversazione nel retro della pasticceria. Lei fatica a fermarsi perché il lavoro incalza, ma in qualche modo riusciamo a dialogare. Mi racconta che ha un laboratorio poco lontano, sempre nel quartiere, dove vengono fatte le preparazioni base, mentre in negozio avviene solo la finitura, dato che lo spazio è troppo piccolo per lavorare e muoversi in quattro.
Subito le chiedo come si trova con i prodotti italiani: “Tutto quello che riesco a recuperare dal Giappone me lo faccio spedire da un fornitore di fiducia, come il riso e gli azuki, fondamentali per la marmellata anko. Però la frutta italiana è buona, non è trattata come da noi; in Giappone se il cibo non è visivamente perfetto nessuno lo compra”.
In questa affermazione colgo una particolare sensibilità di Hiromi relativa al tema della spreco. Infatti, mi racconta, proprio questa è stata la molla che le ha fatto ideare il suo dolce più famoso a base di mango.
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“Il mango è sempre stato uno dei miei frutti preferiti; nell'isola Okayama, vicino alle Hawaii, c'è quello più buono del mondo. I frutti troppo maturi, che cadono a terra, o quelli troppo acerbi, non vengono venduti, così ho pensato che sarebbe stato interessante fare un dolce con questi ingredienti inutilizzati. Qui purtroppo non riesco a recuperarne di buoni, ma vorrei trovare un degno sostituto!”. La stessa passione Hiromi l’ha messa nella lavorazione anche della zucchina giapponese che, negli ultimi anni, è stata spesso snobbata sul mercato per la sua forma irregolare.
Tra gli ingredienti che le mancano di più cita i fiori e le foglie di ciliegio (che non riesce a ottenere per questioni di freschezza e tempi di spedizione troppo lunghi) e lo yuzu (agrume mix tra mandarino e papeda), che però è riuscita a sostituire con gli agrumi del Sud Italia.Mi confessa che ha penato molto con la panna: “La panna fresca in Italia per legge deve contenere massimo 35% di grassi, mentre in Giappone utilizziamo una panna al 40%, quindi più facile da lavorare perché tiene meglio la struttura”. Guardando i dolci in vetrina non colgo però il minimo segno di difficoltà.
Mi chiedo cosa l'avrà colpita della pasticceria italiana, se si è innamorata di qualche dolce tipico come i cannoli o il panettone… “Il gelato! Strepitoso, non ho mai provato qualcosa di simile. Il tiramisù è molto amato in Oriente e già lo conoscevo, ma qui ho capito il vero gusto del caffè che armonizza con il dolce del mascarpone”.
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A questo punto ci provo, le chiedo se c'è qualche pastry chef che ammira particolarmente. Lei con sicurezza mi dice: “Palmieri”. Tra tutti mai avrei pensato ad Armando Palmieri, napoletano giovanissimo che si è formato da Igles Corelli e ha proseguito con i Santini. “Mi piace perché adora il cioccolato come me e rispetta la tradizione”.
Saluto Hiromi che è impaziente di tornare dai suoi Aka (pan di spagna, cuore di mousse di fragola e cioccolato bianco) e mi intrattengo ancora un po’ con Mizuko che, oltre ad avermi fatto da interprete, si occupa quotidianamente della preparazione di tutti i dolci wagashi.Le farciture dei dorayaki sono insolite: crema di cioccolato e noci, mascarpone e mela cotta… invece i mochi, per ora di 5 varietà, sono i 'classici', per esempio fagioli bianchi e miso, oppure piselli endo. Ma Mizuko è sicura che arriverà presto a 10 gusti diversi: “Mi sto divertendo a pensare a nuove farciture come cioccolato bianco e marroni, cheesecake e amarena, ma voglio che siano vegani e gluten free come da tradizione”, afferma convinta.
Buona notizia per i romani pigri: presto faranno delivery, ma non si affideranno alle note piattaforme. Stanno studiando un’app interna, capace di gestire in autonomia ordini, consegne, tutto.Da vere giapponesi, le ragazze di Hiromi Cake hanno studiato anche dei packaging ad hoc per mochi, dorayaki e torte, che possono essere richieste su ordinazione.
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“Per Natale abbiamo realizzato dei dorayaki giganti come proposta alternativa al Panettone per dei ragazzi dell'Eur fissati con il Giappone, che sono già diventati nostri amici”, mi raccontano le ragazze al banco.In attesa di prenotare un costoso volo per Tokyo e Osaka, mi consolo con i mochi di Hiromi e Mizuko. E penso che, se Roma sta diventando un bel posto, è anche per progetti come questi.Hiromi Cake dopo il successo romano ha aperto una seconda sede anche a Milano, in via Coni Zugna 52.Ultimo aggiornamento Gennaio 2020Segui Paola Buzzini (@soup_opera) su Facebook e InstagramSegui MUNCHIES su Facebook e Instagram