Perché non riusciamo ancora a liberarci di Silvio Berlusconi
Foto via Facebook/Silvio Berlusconi

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Berlusconi

Perché non riusciamo ancora a liberarci di Silvio Berlusconi

Tra le foto da divo, le solite battutine e la campagna elettorale, l'ex premier è tornato in pista e sembra essere di nuovo fondamentale per la politica italiana.

Sicuramente non è successo solo a me, ma questo fine settimana Silvio Berlusconi era di nuovo ovunque nella mia vita.

Nell'arco di sole 48 ore, i social prima si sono riempiti con un suo primo piano sorridente e il volto iperreale, tiratissimo, quasi da simulacro di sé stesso; poi con l'ennesimo aneddoto "choc" dove racconta di aver insegnato agli "scopatori africani" i preliminari portando il bidet nella Libia dell'amico Gheddafi. Ieri, infine, è uscita la notizia secondo cui il nome di Silvio Berlusconi—incandidabile per gli effetti della Legge Severino—comparirà sul logo di Forza Italia nelle prossime elezioni perché "2.5 milioni di voti vengono ancora spostati da quel cognome."

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Potrei andare avanti ancora a lungo, dalla noce di prosciutto al pepe agli sgabelli comprati di notte su Amazon, ma non credo sia necessario. È del tutto evidente, infatti, che Berlusconi non abbia alcuna intenzione di abbandonare il campo, nonostante sia interdetto dai pubblici uffici e abbia ormai 81 anni. I motivi possono essere tanti, ma la realtà è esclusivamente una: ogni volta che abbiamo abbassato la guardia, che lo abbiamo sottovalutato, dato per morto, sconfitto, lui non è mai uscito dalla scena, dimostrando di essere il vero "Immortale" della politica italiana.

Non so voi, ma a me sembra uno di quei racconti distopici che tanto vanno adesso. Un politico alla fine della vita, che fa di tutto per andare oltre i limiti stessi della biologia—con cure speciali e chirurgia plastica che ne trasfigura totalmente l'aspetto—e si prepara all'ultima battaglia finale, forse definitiva, in un mondo ormai forgiato a sua immagine e somiglianza.

Un aspetto particolarmente grottesco di questa faccenda è che Berlusconi, e questo già da un po', sostiene di essere "l'unico argine ai populismi." Un'affermazione non credibile, in quanto Berlusconi è il primo esempio di riuscito populismo postmoderno (analizzato, tra gli altri, da Umberto Eco in A passo di gambero e da Maurizio Ferraris in Ricostruire la decostruzione). Ossia il laboratorio corporale di una nuova società— "la fabbrica degli uomini nuovi," si raccontava dei suoi provini in Publitalia per selezionare il nuovo personale parlamentare nel 1994—fondata sul completo rovesciamento di una rivoluzione libertaria che, attesa da sinistra, è infine arrivata da destra.

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Siamo anche di fronte al primo populista che, vivendo nel mondo creato da sé stesso, si ritrova a svolgere il ruolo di padre costituente perché la politica ha fatto talmente tanto il giro da aver generato solo leader più populisti di lui. Da Matteo Renzi a Beppe Grillo, da Luigi Di Maio a Matteo Salvini: sotto certi aspetti, il "berlusconismo" come sistema culturale è l'unica egemonia che ancora funziona alla grande.

A ciò si aggiunge una pericolosa rivalutazione ironica che sta prendendo piede pure nella "bolla" dei trentenni di sinistra. Cresciuti a pane e Bim Bum Bam, anche noi abbiamo abbassato le difese e consideriamo inoffensivo quel nonno un po' guascone. Ridiamo delle sue smargiassate, mentre quella che ho definito "Berluscuteness" agisce a livello profondo, facendoci vivere in un presente permanente in cui conta solo la risata di quello che succede oggi, eliminando cosa è stato ieri e cosa potrà essere domani.

Per l'appunto: cosa succederà domani?

Chiaramente, la capacità di Berlusconi di monopolizzare la scena pubblica non è nulla di nuovo, ma nel 2017 comporta una serie di domande stringenti, soprattutto in chiave elettorale. Perché continua a essere fondamentale? Quanto vale ancora? Come mai, anche da incandidabile, è l'ago della bilancia? Esiste una destra senza Berlusconi?

Partiamo dal dato raccolto dal sondaggista Nicola Piepoli, quello per cui Berlusconi sposterebbe—da solo—2.5 milioni di voti. È una cifra impressionante, se si considera che circa un milione di elettori decide cosa votare nel momento stesso in cui si reca alle urne.

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Sempre secondo sondaggi recenti, Forza Italia e Lega Nord stanno lottando per contendersi la leadership—politica e culturale—della destra. Ad oggi, la loro coalizione avrebbe la maggioranza relativa (il 34 percento). Il nome di Silvio Berlusconi è sicuramente forte, evocativo, capace di coagulare attorno a sé tutte le varie sigle e siglette della galassia di destra oltre i due grandi partiti.

Non bisogna poi dimenticarsi che ci sono anche Fratelli d'Italia e l'arcipelago dei conservatori (tipo Direzione Italia di Raffaele Fitto); non escluderei nemmeno che, al momento del voto, Angelino Alfano torni a casa in nome della sopravvivenza, come del resto segnalato in un retroscena di Libero. Questa ipotetica alleanza, che vede in Alfano la sua gamba "sinistra" e nell'asse Salvini-Meloni la sua gamba destra, ha solo Silvio Berlusconi come collante.

È lui, inutile nasconderselo, il possibile mazziere del centrodestra. È un profeta autodeterminato, che fa leva su una strategia comunicativa elementare (riassumibile nella frase "sono l'unica alternativa possibile, perché sono l'unico per cui sapete benissimo cosa comprate"), e che esercita una attrattiva ancora fortissima per l'unico ceto veramente determinante per l'esito elettorale: quello medio impoverito, la fascia d'età degli over 50, i piccoli imprenditori che si sentono minacciati dai grandi colossi della globalizzazione (favoriti dalle burocrazie europee contro cui Berlusconi periodicamente si scaglia).

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In questo senso, l'intervista pubblicata il 17 ottobre sul Corriere della Sera è perfetta. L'ex cavaliere si definisce "centrale," il ponte obbligato tra moderati e estremisti. Si considera l'uomo della provvidenza e del sacrificio, vittima di complotti, che torna in campo dalla vita privata per senso di responsabilità "verso la sua famiglia" (soprattutto per quanto riguarda il suo ramo aziendale) e verso gli italiani che hanno bisogno di votare chi, come lui, conosce le virtù del lavoro.

Poi esclude qualsiasi larga intesa con il Partito Democratico—incapace, a suo dire, di offrire risposte e alternative—perché sicuro di vincere le elezioni, e si vede come padre nobile di una destra larga, plurale, popolare, dove pure Matteo Salvini ("irruente all'esterno […] ma quando ci sediamo intorno a un tavolo è un interlocutore serio e ragionevole") diventa un ragazzo qualsiasi della Primavera del Milan che ha solo bisogno di essere ben guidato dall'unico allenatore capace di vincere sempre. E indovinate un po' chi è, quell'allenatore.

Questa retorica da statista, da uomo costituente e ideologo di una nuova grande tradizione popolare e conservatrice (non a caso il suo uomo di punta a Bruxelles è Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo, da molti indicato come possibile futuro premier) è chiaramente una strategia fantastica. Uno storytelling purissimo, eseguito alla perfezione dal maestro assoluto dell'affabulazione.

Ma non va mai dimenticato chi è Silvio Berlusconi, cos'è, cosa rappresenta per l'Italia, e come sono stati lunghi questi 23 anni dalla sua discesa in campo. Allattare un agnellino per supportare una studiatissima svolta animalista non riabilita una persona la cui unica ambizione è garantire un futuro alla stirpe e alla gens.

Infine, c'è che da dire che la destra senza Berlusconi è chiaramente un soggetto debole, schiavo di ambizioni personali e dilaniato in una lotta senza quartiere per la leadership. Per questo, l'unico modo per venir meno alle divisioni—e non imitare la sinistra—è riproporre colui che può effettivamente prendere tutti i voti di chi il giorno delle elezioni si alza dal letto e va alle urne senza avere un'idea troppo chiara.

Tutto il contorno, tipo le foto da rettiliano o quelle da divo sul motoscafo, è uno sfizioso argomento per tabloid e gossip—la solita persuasione occulta che dovremmo essere abituati a disinnescare, se solo non ne fossimo così perversamente affascinati e se solo smettessimo di riderci sopra.

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