Gli anni dieci sono la golden age dell'hip-hop?

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

Gli anni dieci sono la golden age dell'hip-hop?

Stiamo vivendo l'era d'oro del rap e non ce ne stiamo accorgendo?

La nostalgia è uno dei temi principali grazie a cui, ormai da anni, produciamo e leggiamo cultura e intrattenimento. È più o meno dalla fine dell'era Obama che il mondo viene raccontato con toni apocalittici e terroristici, aumentando la percezione della gravità dei (reali) problemi dei tempi che stiamo vivendo. Il presente ha cominciato a fare paura, e più o meno tutte le discipline creative hanno cominciato a guardarsi indietro scoprendosi più belle di quelle che erano diventate. È più o meno in quegli anni che abbiamo cominciato, per esempio, a vestirci con i vestiti dei nostri padri e delle nostre madri creando lo stereotipo dell'hipster fissato col vintage.

Pubblicità

Negli ultimi dieci anni, ispirata da questa fresca aria da fine dell'impero, anche l'industria dei media si è adeguata e ha cominciato ad agire evocando nello spettatore/ascoltatore il caldo senso di conforto dei bei tempi che furono. È il motivo, semplificando enormemente, per cui esistono brani come "Che ne sanno i 2000", o per cui il programma di Italia Uno sugli anni Novanta riesce a spaccare l'audience.

Già nel 2010, nel suo seminale libro Retromania, Simon Reynolds analizzava questo processo in ambito musicale. Il critico britannico si poneva una domanda piuttosto semplice: "È proprio vero che la musica ha smesso di evolversi?" La risposta, sosteneva, era affermativa. La musica aveva cominciato ormai da decenni a guardarsi indietro, affascinata da quello che era stata e poco interessata a rompere con il suo passato, in una serie di corsi e ricorsi da far impazzire Giambattista Vico. Un esempio pratico e recente di questo fenomeno è stata la vaporwave, riciclo intellettuale ed estetico di materiale audiovisivo corporate prodotto lungo il corso degli anni Novanta, leggibile sia come giocoso gesto artistico d'evasione che come lacerante presagio di un opprimente futuro meccanizzato. Oppure, più semplicemente, basta guardare all'orda di band che suonano vecchie pur essendo formate da millennials duri e puri—il glam polveroso dei Lemon Twigs, per esempio.

La discussione sulla nostalgia in musica è cominciata più o meno in concomitanza con l'inizio della scalata che avrebbe portato il rap sulla cima dei generi musicali ascoltati a livello mondiale. La musica con le chitarre, oggi, cerca di sopravvivere al suo momento di crisi tuffandosi nella riscoperta delle forme che aveva preso nei suoi momenti di maggior splendore. L'elettronica e il pop, sebbene siano ancora territori fervidi per la sperimentazione, hanno goduto dell'enorme successo di fenomeni retromaniaci—pensiamo ai Daft Punk di Random Access Memories, al lavoro di Mark Ronson e Bruno Mars. Il rap, invece, si sta comportando in modo diverso. Per un MC contemporaneo, guardare al passato non è necessariamente un valore aggiunto.

Pubblicità

Retromania veniva pubblicato mentre l'ondata di fascino commerciale cominciata dal G-Funk e dall'R&B dei primi anni Zero raggiungeva il suo apice e figure leggendarie come Eminem, 50 Cent e gli OutKast cominciavano a entrare nella fase di declino creativo delle loro carriere. Contemporaneamente, una nuova generazione di MC e produttori pubblicava album che sarebbero stati fondamentali per definire il suono del rap negli anni a venire. Nel 2008 uscirono infatti Tha Carter III di Lil Wayne e 808s & Heartbreak di Kanye West, due album che marcarono un cambiamento fondamentale nella percezione del rap da parte del pubblico statunitense prima, e mondiale poi.

Il primo segnò l'ingresso del gangsta rap nella conversazione culturale internettiana grazie all'operato di un individuo che riusciva sia a gasare il pubblico facendo brutto, sia a stuzzicare il cervello degli intellettuali a forza di eccentricità ed errori ragionati. Il secondo sdoganò definitivamente l'uso dell'autotune come strumento creativo in contesto hip-hop, oltre che l'adozione di uno stile a metà tra rap e cantato (tre anni dopo Drake avrebbe portato al culmine questo processo con il suo capolavoro Take Care) e un approccio radicale che lo avrebbe portato, con il tempo, alla decostruzione che anima Yeezus e The Life of Pablo. L'opera di Kanye, inoltre, era narrata da una voce rivoluzionaria per l'epoca: il rapper non doveva più essere un duro per avere successo, ma poteva anche parlare liberamente delle proprie fragilità e della propria depressione. Mettiamoci l'uscita di Trap House di Gucci Mane tre anni prima, nel 2005, e abbiamo delineato le fondamenta di buona parte del rap contemporaneo: gelido e ripetitivo, emotivo ed esagerato, melodico e grezzo, creativamente e formalmente sregolato.

Pubblicità

Metto in chiaro che è impossibile esaurire il concetto di "rap contemporaneo" usando questi aggettivi. Esistono rapper di successo sono riusciti a mantenere chiaro il legame tra ciò che fanno e la grande tradizione del genere a cui sono stati affiliati, a confermare la teoria di Reynolds sulla retromania: penso, per citare i più ovvi, a Kendrick Lamar e ai rapper su Top Dawg Entertainment, a YG, a J. Cole, a Tyler, The Creator e alla Odd Future, a Open Mike Eagle e a milo, ai Run the Jewels. Ma mentre loro si sono affermati come continuatori e innovatori di una grande tradizione, rapper di nuova generazione sono arrivati a dichiararsi diversi da tutto ciò che li aveva preceduti. Non facevano le rime. Cantavano in playback. Ripetevano ossessivamente le stesse frasi. Si tatuavano la faccia per puro gusto estetico. Dicevano di fare musica, non rap, e di non conoscere neanche due canzoni in croce di 2Pac e Biggie—entrambi, comunque, morti prima della loro data di nascita. E hanno cominciato ad avere un successo clamoroso.

È difficile, se non impossibile, stabilire quale sia l'era d'oro di un determinato movimento artistico o genere musicale. I dati di vendita sono gelido riflesso di un successo commerciale, e al contempo il valore o meno di ogni album da un punto di vista artistico è sempre soggettivo. Ma per ogni Kendrick che guarda al G-Funk e sente il fuoco nel cuore nasce un Lil Yachty che, a sentire certe sue cose, probabilmente sente lo stesso ardore per i My Chemical Romance. Il che è normale: la musica che ascoltiamo da ragazzini diventa inevitabilmente parte fondamentale della nostra sensibilità, a discapito di tutto ciò che è venuto prima.

Pubblicità

In questo momento il rap sta sperimentando gli effetti del più grande gap generazionale creatosi, a livello percettivo, nella sua storia. L'attuale generazione di rapper sta infatti, forse inconsapevolmente, agendo in maniera radicale, e può quindi risultare per molti versi incomprensibile a chi è cresciuto, pur all'interno della stessa cultura, con riferimenti diversi e meno variegati. Mentre il rock ha vissuto decenni di ibridazioni, esaurendo apparentemente la sua forza evocativa, il rap è invece nella parte più interessante del suo processo evolutivo—quella in cui chi lo fa è cresciuto ascoltando musica fuori da compartimenti stagni e non si sente necessariamente in dovere di portare rispetto verso le grandi figure del passato. E così facendo innova, affascinando e facendo incazzare in egual misura.

Nella dispensa che i rapper usano per preparare i propri metaforici piatti sono arrivati ingredienti, fino a qualche anno fa, inconcepibili. Come dicevamo prima, Wayne ha portato il dadaismo vocale in chiave gangsta. Kanye l'autotune, la fragilità emotiva e il postmoderno a livello compositivo. Drake il cantato-rappato. Kendrick una nuova concezione del G-Funk, oltre che un gusto per il jazz e l'afrofuturismo. Ma usciamo dagli Stati Uniti: il grime ha presentato al mondo la storia musicale delle comunità africane e caraibiche che lo ha generato. Popcaan e Beenie Man hanno introdotto il mondo alla dancehall giamaicana. Non è più assurdo pensare al rap latino, francese, tedesco, coreano, giapponese, cinese, spagnolo, italiano o di qualsiasi altra parte del mondo come di un potenziale successo commerciale. E poi sono arrivate le nuove generazioni: i SoundCloud rapper con un approccio lo-fi e disordinato. Lil Yachty con la dolcezza della melodia a tutti i costi. XXXTentacion con un illeggibile e rischioso eclettismo. JPEGMAFIA con una reale sperimentazione a livello di produzione.

Pubblicità

La musica, oltre che per retromania, agisce per riflesso della società da cui è prodotta e per reazione alle generazioni precedenti. Per esempio, il black metal norvegese è il prodotto di una lunga evoluzione che ha lavorato per estremizzazioni a partire dai Black Sabbath; a loro volta risultato di un processo di esagerazioni riconducibile al beat, e così via. E quindi, se ci piace definire "era d'oro" il momento di maggior potenziale creativo di un genere, non sarebbe assurdo affermare che potremmo essere noi, oggi, a vivere quella del rap.

Certo, non che il rap contemporaneo non sia potenzialmente problematico. Sono anni che se ne parla: la perdita dell'elemento live nelle performance può portare a risultati in egual misura esilaranti e deprimenti, il rifiuto di una ricerca testuale può portare a obbrobri, l'imperante espressione lagnosa riflette i problemi della società capitalista in cui viviamo, la tendenza all'iper-produzione di brani è una risposta alle logiche oppressive dell'industria musicale contemporanea, il fascino per forme non-occidentali porta con sé casi di appropriazione culturale (che non è per forza un male), la scena—come tutta la società, in fondo—non è ancora riuscita a sviluppare una sensibilità etica condivisa che ritenga gli artisti responsabili dei loro gesti. In tutto questo, però, il rap sembra essere diventata una musica totale, capace sia di imparare dal suo passato che di rompere drasticamente con la sua tradizione.

Il risultato di tutto questo potrebbe essere peggiore di quello che possiamo immaginare oggi, maè interessante pensare che l'era d'oro non sia stata solo quella di 2Pac e di Biggie, degli N.W.A. e dei Run-DMC. Magari tra decenni ci renderemo conto che non è mai finita e che quella che stiamo vivendo ne è solo una continuazione. O addirittura che sia in realtà questa che stiamo vivendo, l'era di maggior prolificità artistica di quel movimento musicale sviluppato dalla comunità afroamericana ormai più di quarant'anni fa. Che prima o poi, come tutto, esaurirà la sua forza e comincerà a ritirarsi, forse a spegnersi, lasciando spazio a una nuova esplosione libera di riempire il nulla creativo con la sua materia.

Elia è su Instagram: @lvslei

Segui Noisey su Instagram e Facebook.