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Politică

La campagna contro il sindaco di Riace è un attacco a chi crede ancora nella solidarietà

Sul caso di Domenico Lucano, arrestato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Il sindaco di Riace Domenico Lucano. Foto di Soledad Amarilla (CC BY-SA 2.0).

Sull’arresto del sindaco di Riace Domenico Lucano penso sia necessario partire da un dato di fatto, ossia questo: il 90 percento dell’impianto accusatorio della procura di Locri è stato sostanzialmente fatto a pezzi dal Gip.

I magistrati—che indagano su Lucano dal 2017, e quindi ben prima dell’avvento di Matteo Salvini al Viminale—contestavano infatti al sindaco una ventina di reati, i più pesanti dei quali erano truffa, associazione per delinquere, falso in atto pubblico, concussione, concorso in corruzione, malversazione, e così via. Una sfilza di accuse da far impallidire un boss della ‘ndrangheta.

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Domenico Di Croce, questo il nome del gip, ha parlato di “congetture, errori procedurali e inesattezze,” criticando in più parti l’operato di pm e Guardia di Finanza con frasi come: “gran parte delle conclusioni a cui giungono gli inquirenti appaiono o indimostrabili,” o sono “presuntive e congetturali,” o ancora risultano “sfornite di precisi riscontri estrinseci.”

Per quanto riguarda l’accusa di truffa aggravata—legata cioè ai fondi destinati all’accoglienza, uno dei capisaldi contro Lucano—il Gip afferma che gli inquirenti “sembrano essere incorsi in un errore tanto grossolano da pregiudicare irrimediabilmente la validità dell’assunto assunto accusatorio.” Stesso discorso per l’accusa di concorso in corruzione: sebbene sia il reato più grave contestato, i pm “non hanno approfondito con la dovuta ed opportuna attenzione l’ipotesi investigativa.”

Non solo Lucano non ha intascato un centesimo, dunque; ma il “modello Riace” pare non aver fatto arricchire proprio nessuno. Il Gip ha comunque accolto la richiesta dei pm in merito a due accuse: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e “turbata libertà degli incanti” (l’affidamento diretto a due cooperative per la raccolta dei rifiuti). E questo, almeno in base a quanto si legge finora, riguarda eccome il modello di accoglienza sperimentato da Lucano.

Le forzature amministrative, chiamiamole così, servivano da un lato a far lavorare insieme stranieri e riacesi; e dall’altro a superare il sistema Sprar e Cas facendo rimanere sul territorio i richiedenti asilo attraverso “matrimoni combinati.” Non c’è nulla di torbido in tutto ciò: il sindaco ha sempre rivendicato questo modus operandi, avendo ben in mente che giustizia non sempre è sinonimo di legalità—in una conversazione intercettata dice che “per disattendere queste leggi balorde [ sull’immigrazione] vado contro la legge.”

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In un’intervista a Il Dubbio del 2017, Lucano aveva spiegato che “quello che facciamo non segue effettivamente le linee guida dello Sprar, perché queste ci dicono che dopo sei mesi i migranti devono andare via. Ma questo non è compatibile con una dimensione umana dell’accoglienza, le persone non hanno una scadenza.”

A MicroMega, il sindaco di Riace aveva poi dichiarato di rifarsi all’idea di una “cittadinanza attiva che deve avere consapevolezza di ciò che accade nella società e nel mondo.” Per lui, il ruolo di primo cittadino va allargato oltre i confini delle questioni ordinarie ed amministrative: “Ho compiuto dei percorsi più ampi costruendo una nuova comunità. Ho pensato globale, per agire localmente.”

È proprio questo il cuore della questione: l’arresto di Lucano va ad intaccare direttamente l’idea di costruire una “nuova comunità,” dal basso e contro tutto quello che a livello politico sembra andare per la maggiore: “i muri, i campi di internamento, i lager libici, gli odi superficiali, la regressione delle coscienze,” come dice ancora il sindaco.

A tal proposito, la vicenda di Riace è perfettamente sovrapponibile alla campagna contro le Ong sia a livello temporale che sul piano della modalità. Nell’arco di appena un anno—a forza di teorie del complotto, iniziative giudiziarie (quasi tutte naufragate nel nulla) e speculazioni politiche—i soccorritori hanno progressivamente assunto le sembianze di “vice-scafisti” in combutta con i trafficanti.

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Di più: come ha sostenuto Luigi Manconi, “le insinuazioni e la diffidenza che ne consegue” hanno sì “sfregiato le Ong e deturpato il loro prestigio”; ma hanno pure eroso i valori cui si ispirano. Il bersaglio grosso, infatti, era l’accantonamento delle obbligazioni internazionali in nome di un superiore “interesse nazionale,” e quindi il concetto stesso di soccorso in mare.

E questo obiettivo è stato perseguito con zelo dal governo precedente (ricordate il “codice di condotta” di Minniti, tra le varie cose?) e da quello attuale. Il risultato ce l’abbiamo sotto gli occhi: nel Mediterraneo centrale non ci sono più imbarcazioni delle Ong e il tasso di mortalità è ripreso a salire vertiginosamente, come ha documentato il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa.

Quella campagna, inoltre, è stata anche uno dei più visibili banchi di prova della convergenza tra Lega e Cinque Stelle sull’immigrazione. Entrambe hanno elevato il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro a “eroe” dell’Italia che avevano in mente; entrambe hanno usato lo stesso linguaggio (i famigerati “taxi del mare”); ed entrambe hanno proposto soluzioni drastiche ed escludenti all’insegna del “prima gli italiani.”

La stessa cosa la stiamo vedendo in queste ore. Se Salvini non ha perso tempo a sfottere Lucano e i suoi “nemici,” sul Blog Delle Stelle il sottosegretario all’interno Carlo Sibilia (quello che non crede allo sbarco sulla Luna) è andato anche oltre: ha accostato il “modello Riace” a Mafia Capitale—legandolo così alla criminalità mafiosa—e ridotto il tutto ad una questione di “speculazione” ed “economia drogata.” Siamo sempre dalle parti del “business dell’immigrazione,” che “con noi finisce” perché “nessuno vuole scappare da un paese in cui non si trova bene.”

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Insomma, anche in questo caso le finalità mi paiono evidenti: insozzare figure simboliche, demolire fino in fondo ogni forma di solidarietà, ed eliminare alla radice la possibilità di una società diversa da quella attuale.

La posta in gioco è esattamente questa, ed è altissima. Fortunatamente, sono in molti ad averlo capito; e ieri è stato importante che ci sia stata una forte risposta in piazza e sui social, dove migliaia e migliaia di persone si sono strette intorno al sindaco di Riace.

Non si può negare, tuttavia, che l’arresto di Mimmo Lucano e l’attacco al suo modello sia l’ennesima apertura di una falla nella società italiana. E quando si apre una falla, scrive Ida Dominijanni, “l’acqua dilaga ovunque. Sta già dilagando: sulle case occupate dai senza tetto, sui centri sociali, sui centri delle donne, sul libero associazionismo che tiene ancora in vita un paese cadaverico.”

In tutto ciò, infine, c’è una circostanza altamente significativa. L’atto giudiziario arriva un giorno prima del quinto anniversario della strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, in cui morirono più di 360 migranti. All’epoca, la politica istituzionale promise che “nulla dovrà essere più come prima.” Oggi, cinque anni dopo, nessun rappresentante del governo si è presentato sull’isola per la Giornata della memoria e dell’accoglienza.

Del resto, uno di loro—uno di peso—ieri sera ha tirato fino a tardi per gustarsi Temptation Island Vip e godersi un po’ di meritato “tele-relax.”

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