Ho fatto l'esame di maturità in un 'diplomificio' di Napoli
Non la scuola oggetto di questo pezzo. Foto via Flickr

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Scuola

Ho fatto l'esame di maturità in un 'diplomificio' di Napoli

Gli istituti privati con esami facilitati in cambio di denaro sono un fenomeno che si sta cercando di arginare da tempo. Io ne ho frequentato uno.
Niccolò Carradori
Florence, IT

Nel giugno 2017 si è parlato molto di maturità e istituti scolastici paritari dopo che in una scuola in provincia di Napoli si erano registrate 250 iscrizioni da privatisti provenienti da tutta Italia per sostenere gli esami. La procura aveva aperto un'indagine, visto che l'istituto in questione era già stato diffidato dalle autorità competenti del Miur: il sospetto è che potesse far parte di quella rete di scuole che, facilitando le procedure, consentono agli studenti di ottenere il diploma senza sforzo. Negli ultimi anni sono stati diversi gli istituti di tutta Italia che hanno perso la parità per aver commesso irregolarità. Le scuole superiori che offrono esami facilitati in cambio di denaro sono un fenomeno che si sta cercando di arginare da tempo: vengono definiti "diplomifici", e a quanto sembrerebbe da alcune ricostruzioni al loro interno i docenti sono obbligati a promuovere gli studenti anche quando non sono preparati.

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Per capire se è effettivamente possibile "comprarsi il diploma," ho contattato Matteo*, di 19 anni, che ha frequentato un istituto con dinamiche molto simili ai diplomifici di cui sopra. Questo è ciò che mi ha raccontato.

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In realtà "frequentare" è un verbo esagerato. All'inizio del secondo quadrimestre dell'ultimo anno, il preside dell'istituto paritario che frequentavo nella mia regione mi disse che iscrivendomi per i mesi finali in un'altra scuola avrei potuto affrontare l'esame in tutta tranquillità. Per farlo sarei dovuto scendere a Napoli, dove aveva sede questa scuola, al massimo cinque o sei volte. L'alternativa, così come si configurava nella mia mente, era dare l'esame nella mia regione, con il rischio di dover studiare qualcosa, e magari—considerato che negli ultimi quattro anni non avevo assimilato molte nozioni—venire bocciato. Visto che lavoravo già da tempo, e il diploma mi serviva, ho accettato.

Il preside si è occupato dei contatti—come se in qualche modo le scuole fossero collegate, e non fosse un semplice scambio di studenti—e quando è stato tutto pronto per la mia iscrizione, sono partito con mio padre per Napoli. L'istituto sembrava più un ufficio che una scuola: al di fuori del personale, non c'era quasi nessuno. Le aule erano tutte vuote nonostante fosse un normale mercoledì mattina, e i pochi studenti presenti erano lì per ritirare qualche documento. L'operazione è durata solo cinque minuti: avevano già preparato loro i fogli per il cambio di residenza necessario per iscrivermi. Non ho mai capito come sia stato possibile questo meccanismo, se ci sono persone che mettono a disposizione il proprio indirizzo in cambio di soldi, o se è una cosa interna alle scuole [nelle fonti consultate per la realizzazione di questo pezzo non è stato possibile reperire maggiori informazioni sul tema, pertanto queste restano supposizioni della fonte]. Questo ipotetico domicilio in provincia di Napoli, comunque, io non l'ho mai visto.

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Una volta compilati i fogli e versato il denaro, la segretaria mi ha spiegato il meccanismo che mi avrebbe permesso di risultare come frequentante pur continuando la mia vita di tutti i giorni nella mia regione. Avrei dovuto andare una volta al mese a Napoli, ricopiare tutti i "compiti in classe" delle materie presenti nel mio programma scolastico, e tornare a casa. "Quando arriveremo in prossimità dell'esame, ti spiegheremo come fare."

Così nei mesi successivi ho di fatto abbandonato la scuola, e verso la fine di ogni mese arrivavo la mattina in treno a Napoli, sistemavo la questione dei compiti di matematica, italiano, e inglese compilati da qualche professore con errori strategicamente voluti e ripartivo nel tardo pomeriggio. Facevo anche le brutte copie, per dare un'impressione il più completa possibile. I professori che assistevano alla scena avevano un'aria distaccata e vagamente triste: dopo aver distribuito i compiti ai vari studenti si mettevano a leggere il giornale o a giocare col telefono.

A proposito degli altri studenti, quelli con cui espletavo questa formalità erano quasi sempre diversi, provenienti da tutta Italia. C'erano ragazzi che dopo essere stati bocciati tre volte di fila avevano fatto il recupero degli anni di studio privatamente e poi non erano più stati in grado di tornare in pari con la scuola pubblica; ragazzi palesemente ricchi e svogliati che non volevano perdere tempo con percorsi di studio che tanto non gli sarebbero stati necessari, e una ginnasta che seguendo un programma di allenamento staliniano aveva scelto di conciliare così la vita sportiva e lo studio. Ogni tanto mi capitava anche di incontrare gli studenti della zona che teoricamente frequentavano davvero: li ho sempre visti fuori dall'entrata dell'istituto o nel giardinetto del chiostro centrale, a fumare o chiacchierare. Nelle classi non ho mai visto una vera lezione.

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Rispetto al mio istituto paritario insomma, dove almeno formalmente si fingeva un normale percorso di studi—con giovani professori schiacciati dalle liste del provveditorato che tentavano di spiegare qualcosa e fare il loro mestiere—lì nessuno faceva finta che non si stesse, di fatto, acquistando un diploma.

Un mese prima dell'esame di stato, la segretaria è entrata in classe e ci ha chiesto di ascoltarla. "A ognuno di voi verrà data una breve tesina da imparare a memoria, già preparata, per l'esame orale. I professori interni sanno già cosa chiedervi, ripetetegli quello che vedete scritto lì sopra. Con quelli esterni, invece, potete fare scena muta. Per gli scritti non dovete preoccuparvi: su Whatsapp vi invieremo direttamente le risposte della terza prova, mentre per le prime due dovrete semplicemente aspettare di avere i compiti da copiare." Dopodiché è passata fra i banchi, e ha distribuito le tesine in base ai vari studenti e ai programmi di studio. La mia era lunga appena venti pagine: conteneva un breve riassunto della prima Guerra Mondiale, un'analisi di un testo di Italo Svevo e delle frasi di teoria economica.

La mattina della prima prova sono arrivato in ritardo di dieci minuti. Nessuno ha fatto caso a me, o mi ha chiesto di consegnare il documento o il cellulare, perché in classe c'erano solo gli studenti. I professori, mi ha detto un compagno, stavano preparando i temi. Il meccanismo insomma era questo: una volta avute le lettere del Ministero con le tracce, il corpo docente dell'istituto si è chiuso da qualche parte per scrivere personalmente i temi da dare agli studenti. Qualcuno sosteneva che avessero anche ingaggiato una squadra di neolaureati squattrinati per aiutarli, visto che erano pochi per produrre in poco tempo così tanti scritti. "Ci hanno detto di far finta di scrivere qualcosa e farci vedere impegnati mentre aspettiamo, perché i membri esterni delle commissioni girano per le classi." Non ho idea di quanto effettivamente fosse rischiosa la situazione: l'unica volta che un membro esterno si è affacciato nella nostra aula, aveva un'espressione così disinteressata che sinceramente ho faticato a pensare che non sapesse benissimo cosa stava succedendo.

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Dopo due ore di attesa e di scarabocchi su un foglio di brutta, una professoressa che non avevo mai visto è entrata in classe e ci ha distribuito i temi da ricopiare. Ce li ha quasi lanciati: quello che ti toccava, facevi. A me è capitata l'analisi del testo, e sinceramente fatico anche a ricordarmi l'autore. Dalla calligrafia si vedeva che era stata scritta in tutta fretta, e c'erano delle frasi cancellate e sostituite da costruzioni più semplici adatte a uno studente come il sottoscritto.

L'impressione anche in questo caso era che si trattasse di un sistema rodato: i professori si muovevano fra i banchi e spiegavano come copiare i testi, mentre altri stavano sull'uscio della porta e ticchettavano su un'anta quando vedevano arrivare un membro esterno, per avvertire.

Questa pantomima si è ripetuta anche per la seconda prova, ma è stata la terza quella più semplice. Un'ora prima dell'inizio del compito, a ognuno è arrivata una foto sul cellulare con tutte le risposte a crocette. Siamo entrati, ognuno ha copiato direttamente dal cellulare, e in 20 minuti ce ne siamo andati. Fra di noi ridevamo, perché ormai quella falsa impostazione da operazione segreta era completamente caduta: ognuno aveva il cellulare accanto al foglio, durante un esame di stato, e i membri esterni delle commissioni non si scomodavano nemmeno più a controllare nelle classi.

Gli orali, invece, sono stati un po' imbarazzanti. L'andamento degli scritti mi aveva convinto che non fosse necessario imparare tutto quello che mi avevano messo nella tesina, quindi non sono stato in grado di rispondere a tutte le domande che mi facevano i membri interni. Con i loro sguardi innervositi, mi comunicavano che almeno quel piccolo sforzo avrei potuto farlo, per serbare l'apparenza. Alle domande degli esterni, ovviamente, ho fatto scena muta—ma ogni volta che capitava i professori interni cercavano di distrarli con discorsi di circostanza. "Sa professore, questo ragazzo è un po' emotivo, si è bloccato. Io durante l'anno ho provato a parlarci più volte per convincerlo ad aprirsi un po' di più, ad avere più coraggio. Perché comunque è sveglio…" Non li avevo praticamente mai vista in vita mia, ma facevano talmente bene questa parte dei professori apprensivi che quasi quasi ci ho creduto anche io.

Alla fine mi sono diplomato con 70, al costo di un'utilitaria economica, senza sapere niente. Almeno una cosa però la so: coi soldi puoi arrivare praticamente dappertutto.

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