Uovo in Raviolo San Domenico ai tartufi bianchi
Tutte le immagini per gentile concessione del Ristorante San Domenico di Imola

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Cibo

Il ristorante che ha registrato il marchio del suo piatto più famoso per evitare plagi

Il piatto, nato nel ristorante due stelle Michelin San Domenico, è diventato così iconico da dover essere protetto dalle imitazioni.
Giorgia Cannarella
Bologna, IT

I Tortelli di zucca di Nadia Santin. Oops! Mi è caduta la crostatina al limone di Massimo Bottura. Il Riso oro e zafferano di Gualtiero Marchesi.

Se dovessimo stilare una lista dei piatti più iconici della ristorazione italiana - quelli che hanno fatto la storia dell'alta cucina nel nostro paese, le ricette che negli anni, o addirittura nei decenni, sono state assurte a simbolo del genio gastronomico, della folgorazione culinaria che dura il tempo di una forchettata ma si fa ricordare per sempre - l'Uovo in raviolo entrerebbe a pieno titolo. C'è qualcosa, però, che differenzia il piatto del Ristorante San Domenico di Imola da tutti gli altri: è un marchio registrato. Nel menu del due stelle Michelin romagnolo è segnato proprio così, con un ® di fianco al nome - e prima del prezzo, 50 euro alla carta.

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Cosa porta un piatto a dover essere protetto a livello legale - e a costare più di quanto la maggior parte delle persone sia disposta a spendere per un pranzo di tre portate? Questo famoso tuorlo liquido è instagrammabile come sembra? Per rispondere a questa e ad altre domande, sono andata a pranzo al San Domenico.

San-Domenico-interni

Gli interni del ristorante San Domenico

È necessario un bignamino di storia. Il ristorante apre a Imola il 7 marzo 1970. Sette anni dopo conquista due stelle Michelin, da allora sempre mantenute (esclusa una parentesi dal 1990 al 1998). Fondatore è Gianluigi Morini, classe 1935, che al San Domenico ha voluto portare la cucina nobiliare italiana, ma soprattutto un "lusso confortevole", un concept di ospitalità che faccia sentire il cliente a casa e lo trasformi in ospite, lanciando un modello di ristorazione del tutto nuovo in Italia. In cucina c'è il leggendario Nino Bergese, "il cuoco dei re e il re dei cuochi."

Difficile capire fino in fondo, in quest'epoca di iper-mediaticità dell'alta cucina - e, soprattutto, dei cuochi - quale significato potesse avere allora una cena al San Domenico. Difficile cogliere del tutto il fascino mitologico del ristorante, alimentato dallo scintillio dell'argenteria Buccellati e dalle dorature dei piatti Richard Ginori. Per tacere della cantina, un tesoretto con pochi eguali in Italia, che comprende migliaia di bottiglie italiane e francesi, annate di inizio Novecento, distillati rarissimi. Insomma entrare qui se ti piace l'alta cucina è un dovere.

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La forchetta affonda un po' alla cieca, un rivolo arancione inizia a sgorgare fuori. Apro ancora di più le due metà del disco ed ecco il famoso tuorlo liquido invadere il piatto, uno #yolkporn ante litteram

A fine anni Settanta Bergese ha passato il testimone a Valentino Marcattilii, che a sua volta, pochi anni fa, l'ha passato al nipote Max Mascia. È proprio Max a servirmi a tavola il raviolo, in tutta la sua burrosa maestosità. Il disco di sfoglia è così nascosto dalle scaglie di tartufo, dal Parmigiano e dal burro - un sacco di burro, per i canoni odierni - nocciolato, da risultare pressoché invisibile. La forchetta affonda un po' alla cieca, un rivolo arancione inizia a sgorgare fuori. Apro ancora di più le due metà del disco ed ecco il famoso tuorlo liquido invadere il piatto, uno #yolkporn ante litteram. In bocca il ripieno di ricotta e spinaci, bagnato dal tuorlo e unto dal burro, è pieno, opulento, godereccio come non siamo più abituati, il sapore di un'epoca di fasti e sregolatezze, un'epoca perduta di cui a noi è concessa solo un'altra forchettata.

Se lo definisci un "omaggio", e fai riferimento a noi, va bene; il problema è quando non lo fai. Sapessi quanti 'tortelli all'uovo' di altri chef abbiamo visto.. con i social smascheri abbastanza in fretta.

Max sorride, quell'espressione di beato ottundimento deve averla vista su decine di altri volti di ospiti. Lui in questo ristorante è cresciuto, ma per quanto prendersi tutti questi decenni di storia sulle spalle sia stato un processo "graduale, non certo semplice, però naturale," la sua espressione è sempre cauta, così come le sue parole, riflessive e ponderate. "Abbiamo registrato l'Uovo in raviolo una quindicina di anni," mi racconta. "Non era fondamentale: possiamo comunque dimostrare che l'uovo in raviolo sia nostro attraverso libri [il primo in cui figura è uno di Nino Bergese del 1974, NdR] e ricettari. È una sicurezza in più, diciamo, un disincentivo ulteriore a copiare. Sapessi quanti 'tortelli all'uovo' di altri chef abbiamo visto… con i social smascheri abbastanza in fretta. Se lo definisci un "omaggio", e fai riferimento a noi, va bene; il problema è quando non lo fai."

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Ma cosa si intende con "registrare un piatto"? "In Italia è registrato il nome, la dicitura 'Uovo in raviolo San Domenico con burro di malga, Parmigiano dolce e tartufo di bianco'. Registrare le ricette è impossibile, basta cambiare la grammatura e il nome non ha più senso. Idem per la tecnica: e se la pasta la tiri al mattarello? E se gli spinaci li cuoci in padella invece che al vapore? Ci vorrebbe un niente a rifare il tuo uovo in raviolo".

In Italia brevettare una ricetta è legalmente possibile solo nel caso in cui essa possegga i requisiti per un brevetto, ovvero "essere nuova, implicare un’attività inventiva ed avere un’applicazione industriale". Un semi-lavorato insomma, riproducibile in maniera sistematica ed estesa. Un esempio è la pizza al vapore dei fratelli Alajmo (tre stelle Michelin). La protezione delle ricette a livello legale è un tema molto dibattuto, in cui entrano in ballo diverse, complesse tematiche. Quand'è che una ricetta è davvero innovativa? Un piatto è da considerarsi un'opera d'arte, e quindi tutelabile con il diritto d'autore? Qual è la linea di confine tra un piatto ispirato a e un piatto copiato da?

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Max Mascia e Valentino Marcattilii

E pensare che all'inizio si chiamava in tutt'altro modo: Uovo alla fornaia.

A raccontarmi la storia del piatto è Valentino, un signore di gentilezza discreta e imprevedibile entusiasmo. "Ero un ragazzino appena maggiorenne quando ho iniziato, ma sono stato io a mostrare a Bergese la cultura romagnola, lui non era di qui. Facevamo i classici tortelli freschi, poi un giorno siamo incappati in una vecchia ricetta, degli anni Trenta o Quaranta, di un cartoccio di pasta fillo al forno con uova e spinaci. Ci siamo detti: perché non farlo alla romagnola? Ci abbiamo messo anni a perfezionarlo! C'era da capire se mettere tutto l'uovo, come cuocerlo, con che posate servirlo… pensa che abbiamo dovuto creare uno speciale cucchiaio da salsa per mancini. Erano altri tempi: gli artigiani ti stavano dietro, ti aiutavano a sviluppare le idee. E c'era una dimensione umana nel rapporto con fornitori e produttori. Potevamo permetterci di comprare uova e latte dai contadini."

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Marcattilii si ricorda ognuno dei passaggi, degli errori e delle prove che hanno portato l'uovo ad essere uno dei primi piatti 'simbolo' della grande cucina italiana: finalmente smarcata dai francesismi, non dimentica della tradizione ma nemmeno ad essa assoggettata. "È un piatto moderno," riassume efficacemente. "Racconta la storia e l'identità del territorio. E, dopo tutti questi anni, tiene botta. Negli anni ha cucinato l'Uovo in raviolo in giro per il mondo, arrabattandosi con qualsiasi attrezzatura avesse a disposizione - una volta lui e la brigata l'hanno addirittura preparato per 1000 persone.

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Marcattilii ha preparato l'uovo in raviolo perfino a Masterchef, rendendolo il piatto più replicato dagli aspiranti concorrenti non solo in Italia ma anche all'estero.

Niente male, per un umile piatto di pasta della provincia romagnola, eh?

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