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comicità

Louis C.K. può ancora far ridere?

Dopo le accuse di molestie e la lettera di pubbliche scuse, il ritorno alla stand up del comico americano ha già fatto incazzare tutti.
Giacomo Stefanini
Milan, IT
Louis CK al SNL
Screenshot via YouTube.

Era il 10 novembre 2017 quando Louis C.K. pubblicò una lettera aperta in cui ammetteva di aver molestato cinque donne masturbandosi di fronte a loro contro la loro volontà. Le voci dei suoi comportamenti si accavallavano nell’ambiente ormai da anni, ma soltanto dopo l’esplosione del #MeToo le sue vittime hanno trovato ascolto, costringendolo ad assumersi la responsabilità dei fatti. Immediatamente Netflix, FX e Universal hanno interrotto i rapporti con lui, bloccando la distribuzione del suo film I Love You, Daddy. Al tramonto di quel giorno, la carriera del comico più famoso del mondo sembrava finita.

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Nove mesi dopo, il 26 agosto 2018, Louis C.K. è tornato davanti al mitico muro di mattoni del Comedy Cellar, il comedy club culto di New York City, reso famoso perlopiù proprio dalla serie Louie da lui creata. C’era da aspettarsi che non sarebbe stata una passeggiata.

A dir la verità, nel circuito della stand up, qualcuno aveva iniziato fin da subito a fregarsi le mani. “Voglio proprio vedere che cosa tira fuori,” gongolavano nei microfoni dei podcast alcuni suoi colleghi.

Dal momento in cui è tornato sul palco, voci sull’argomento dei suoi set hanno inondato Internet. Ne parla ogni giornale: si tratterebbe di una comicità aggressiva, di cattivo gusto e dalle tinte alt-right. A dicembre è emerso su TMZ il leak di un suo set al Governors Club, un piccolo comedy club di New York. In 50 minuti, Louie inizia parlando dell’anno passato (“Ho perso milioni e milioni di dollari in un giorno, non vi dirò quanti. Però sono milioni e milioni, quindi sapete che sono almeno quattro, perché altrimenti avrei detto milioni e milione. Fanculo, chissenefrega: ho perso 35 milioni in un giorno”), ma quando finisce il materiale sulla sua vita privata, la situazione si complica.

A un certo punto si arriva a un embrione di routine, un testo che C.K. ha evidentemente appena iniziato a scrivere: prima si fa beffe in maniera goffa delle identity politics, buttando lì invettive che nei suoi piani sarebbero dovute andare in una direzione divertente, ma invece non sono tanto più che insulti. Poi è il turno di una battuta che inizia autoironica (“io alla loro età ero un completo idiota”) e si gonfia in una valanga di parossistica aggressività contro gli adolescenti di oggi, culminando in “non sei interessante solo perché sei andato a una scuola dove hanno sparato a della gente, non hanno mica sparato a te, perché dovrei ascoltarti?”—un riferimento al movimento #NeverAgain nato dai sopravvissuti della strage di Parkland.

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È questa battuta che per gran parte delle pubblicazioni online rivela un C.K. instabile, arrabbiato e pronto a corteggiare il pubblico più destrorso. Ma giudicare le posizioni politiche di un comico sulla base delle battute che fa sul palco è un errore. C’è un’altra interpretazione possibile, che ha a che fare con l’arte della stand up comedy: si dice che Louie faccia comicità “scioccante”, ma prima bisogna capire che cosa si intende per “scioccare il pubblico”.

Ogni giorno i comici professionisti devono cercare un pensiero che vada al di là dell’ordinario e permetta di creare pepite umoristiche. Per questo devono prendere la strada dell'inaccettabile o dell'assurdo. Portare una metafora all’estremo, applicare una logica ferrea a un ragionamento che richiede un approccio empatico o prendere una posizione diametralmente opposta a quella dell’interlocutore sono mezzi perfetti per trovare l’effetto comico. Il loro lavoro, in sintesi, è far intraprendere alla tua ragione una strada imprevista o controintuitiva, così che sia tu a trovare l’ilarità.

È un lungo lavoro, una ricerca in gran parte squisitamente retorica. Che cosa significa che è retorica? Varie cose. Numero uno: significa che le opinioni della persona che fa il comico hanno un’influenza limitata su quello che dice sul palco. L’argomento della battuta importa solo nella misura in cui serve a provocare un investimento emotivo nel pubblico. Numero due: significa che quello che stai ascoltando, quando vai a uno spettacolo comico, è musica, poesia, un componimento astratto. Se ti fa ridere vuol dire che ti piace, altrimenti vuol dire che non ti piace. Se non sei d’accordo con le opinioni espresse e ti fa ridere, vuol dire che il comico è bravo. Numero tre: significa che la scelta, l’ordine e il ritmo delle parole sono fondamentali ed è da queste, più che dal concetto o dall’idea, che dipende il successo di una battuta. Significa anche, numero quattro, che no, non sono le battute sulle stragi o sullo stupro a fare o non fare ridere. È la destrezza retorica e linguistica che si applica al tema che fa la differenza (e l’intento: il privilegio del comico è che una sua battuta è solo una battuta; non vale lo stesso per un politico).

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Cosa succede dopo una battuta come quella su Parkland in un comedy club, per un comico normale? Che torna a casa, riascolta il suo set, si rende conto che in quel momento c’era un problema e ripensa l’approccio. La battuta di C.K. ha bisogno di più elementi paradossali, credo. Forse potrebbe lamentarsi ancora di più di quanto “i giovani d’oggi” siano più maturi e responsabili, in modo da creare un effetto grottesco—per esempio.

Quello che nello special sembra un discorso spontaneo, buttato lì, è frutto di centinaia di rimaneggiamenti e riordinamenti, tentativi ed errori avvenuti non nel comfort del proprio studio, ma su un palco di fronte al pubblico, l’unico luogo in cui la stand up comedy esiste. A differenza di un musicista, infatti, un comico non ha una sala prove: deve uscire allo scoperto e ascoltare la reazione alle sue parole. In un qualunque comedy club (anche qui in Italia) ogni sera si trovano dalle superstar ai novellini, tutti ad attendere il proprio quarto d'ora al microfono per cercare di dare forma alle idee abbozzate in qualche nota sul cellulare o qualche foglietto sparso.

Dopo alcuni mesi così, e dopo altri mesi di tour, di solito il comico professionista si trova in mano circa un’ora di materiale scritto e testato davanti a diversi tipi di pubblico. Ogni parola è al suo posto, ogni pausa è calcolata, sa che a un certo punto ce n’è una che fa scattare l’applauso e lì potrà bere un sorso d’acqua. A quel punto registra la cosa che magari vediamo su Netflix. Ma prima di allora c’è un sacco di gente che si alza e se ne va o urla insulti.

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Per questo, più che per motivi di copyright o spoiler, registrare di nascosto e diffondere un set di un comedy club è vietatissimo, una delle cose peggiori che si possano fare a un comico. Indipendentemente dalla sua condizione di “osservato speciale”.

Alla luce di questo, cosa succede ora che Louis C.K. è tornato a fare il comico? I grandi appassionati di stand up pronosticano un ritorno difficile, amaro e a suo modo geniale, come Live on the Sunset Strip di Richard Pryor, in cui il più grande comico della sua generazione raccontava (in maniera esilarante) la sua caduta nell’abisso del crack e di come un giorno, dopo settimane passate a drogarsi, si diede letteralmente fuoco. Altre parti della società americana, meno ferrate sulle dinamiche dell’arte comica, vedono solo un molestatore reo confesso che parla di argomenti violenti e di cattivo gusto e riceve in cambio applausi.

In ogni caso, dubito fortemente che Louis C.K. si ritirerà dalle scene nel 2019. La sua influenza, al di là di tutto—e stante la gravità della sua condotta passata—è ancora fortissima e sa che potrebbe riempire un altro Madison Square Garden se volesse. Mi auguro solo che ad ascoltarlo ci sia un pubblico informato e dotato di senso critico.

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