Cultura

Ho visto 'La Caserma' con chi è stato per davvero nell'esercito

Abbiamo chiesto a un ex militare quanto è distante il programma di Rai2 dalla realtà.
Niccolò Carradori
Florence, IT
lacaserma-rai2
Una scena della prima puntata de La Caserma. Grab via Raiplay.
dietro le quinte serie tv
Cosa succede davanti e dietro la tv, spiegato da chi la fa.

Dal 19 gennaio su Rai 2 va in onda La Caserma, un reality ripreso dal format inglese Lads’ Army, in cui ragazzi e ragazze della Generazione Z—alcuni di loro influencer—si sottopongono ai rigori della vita militare. Niente smartphone, sì addestramento fisico e notti passate a piantonare i corridoi. È un po’ l’upgrade de Il Collegio, insomma.

E proprio come Il Collegio, anche La Caserma presenta tutto il pietismo e l’avversione che la comunicazione televisiva italiana sembra nutrire per “i giovani.” Quelli con il telefono sempre in mano, ignoranti fino al vuoto pneumatico, senza alcun tipo di nerbo e che si emozionano solo per le sneaker da 1500 euro. Perfetti, insomma, per testare il sogno proibito di parte del conservatorismo italiano: riportare in auge la leva militare obbligatoria

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Qualcuno addirittura ha parlato di una sorta di pubblicità retorica per l’esercito, altri invece (come me) ci vedono un’operazione trash per far parlare di sé su Twitch e YouTube (dove le reaction abbondano) e rinfrescare un po’ l’immagine dei dirigenti televisivi che guardano i giovani solo attraverso i finestrini fumè dell’auto. La vera domanda, che ci eravamo fatti anche anni fa con Il Collegio, è: come vede il programma chi ha fatto quell’esperienza?

Per saperlo ho chiesto ad Aldo Londero—studente di scienze motorie e modello, che ha passato due anni nell’esercito—di guardare le prime due puntate insieme, e di commentarle.

VICE: Ciao Aldo, puoi raccontarmi brevemente la tua esperienza nell’esercito?
Aldo Londero:
Mi sono arruolato a 18 anni, subito dopo il liceo. Mi aveva sempre affascinato la vita militare, e il mio sogno era quello di entrare all’accademia ufficiali.

A Verona ho fatto la prima parte dell’addestramento, poi a Pisa nei paracadutisti, e infine ad Aosta per l’addestramento alpino. L’ultima parte l’ho passata a Brunico, per gli ultimi mesi di servizio. Sono stato nell’esercito due anni, poi non sono riuscito ad entrare in accademia e ho deciso di uscire.

Visti con gli occhi della tua esperienza, il tono e l’atteggiamento degli istruttori de La Caserma ti sono sembrati credibili?
No, assolutamente. Nel programma hanno un atteggiamento morbido, anche accogliente. A loro modo scherzano, prendono confidenza. Nella realtà sono molto più aspri e autoritari, e non esiste alcun tipo di familiarità. Al massimo, l’ultimo giorno, ti danno una stretta di mano.

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Quella che mi è sembrata più credibile, alla lontana, è l’istruttrice donna. Il comandante invece è quanto di più lontano dalla realtà: parla con le reclute singolarmente, le incoraggia, le rassicura.

Nell’esercito è l’autorità massima della caserma, si rivolge alle reclute unicamente quando sono in plotone, per comunicazioni importanti, o se hai combinato qualcosa di grave, per cui necessiti di un rimprovero nel suo ufficio.

Sì, molti aspetti sono molto smussati. Anche il fatto che maschi e femmine abbiano questa libertà di stare insieme e scherzare, come in gita al liceo, mi è sembrato strano…
Fra colleghi uomini e donne nell’esercito i rapporti sono molto limitati. Vivono in due palazzine separate, e non entrano mai in quella che non è di competenza.

Ma ti dirò di più: per la mia esperienza, nella prima parte dell’addestramento è considerato poco professionale anche avere piccoli contatti fisici “camerateschi” fra compagni maschi. Una pacca sulla spalla, un gesto amichevole, sono visti come una mancanza di disciplina. 

Una delle prime mansioni da caserma che sono state illustrate è il cosiddetto “cubo”, ovvero la tecnica per rifare il letto al mattino. È davvero così importante?
È più importante di come è stato mostrato. Nell’addestramento reale ti insegnano a realizzare un vero e proprio cubo con le coperte—per questo si chiama così—e deve essere fatto con rigore estremo. Se non lo esegui come ti è stato insegnato lo disfano e devi ricominciare, anche decine di volte. Ovviamente è un metodo per comunicarti chi comanda, non è questione solo di precisione.

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Quali sono altre grandi differenze che hai notato?
Tante. Le prove fisiche che hanno affrontato, ad esempio, sono ovviamente molto limitate e diverse. Nella corsa zavorrata hanno percorso quattro chilometri con sette chili di peso. Nella realtà ne corri prima dieci con dieci chili, e poi 20 con 20 chili. Anche i servizi di piantone sono diversi, perché durano otto ore. 

La cosa più alienante comunque è l’atteggiamento delle reclute. Nell’esercito, anche quelli meno rispettosi, hanno un altro rigore. Le “trasgressioni” sono tutte legate all’addestramento: ti gratti la testa mentre sei sull’attenti? Punizione. Sei un secondo in ritardo rispetto all’orario della routine mattiniera? Punizione.

Ci sono dei momenti di svago paragonabili a quelli del reality?
Sì e no. Nella prima parte dell’addestramento, che dura un mese e mezzo, teoricamente dovrebbero lasciarti libero dopo le 18, ma non accade. Non hai mai un minuto per te stesso. Man mano che vai avanti, invece, tendono a dare più libertà. Dopo cena si sta in camera, si chiacchiera, si studia. Oppure ci si allena. 


Guarda anche il nostro video “Sono stato nella Legione straniera”:


Le frasi sull’onore e sul non mollare si sentono anche dai veri istruttori?
Sì, quella parte è abbastanza veritiera. Anche a noi sono stati fatti molti discorsi motivazionali del genere. Sono più autoritari, più distaccati. A me ne hanno fatti sulla paura della morte, sull’arrendersi, sul fallimento. 

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Secondo te ha senso far vedere la vita militare in questo modo? C’è anche chi ha parlato di propaganda per l’esercito...
Secondo me ne ha poco. Credo che appunto il programma sia stato fatto, in un certo senso, anche per “pubblicizzare” le forza armate. E secondo me di base non c’è niente di male. Ma farlo sembrare così morbido, così “ludico”, è fuorviante. Quasi una mancanza di rispetto verso i veri professionisti. 

Alla vita militare rinunciano già moltissimi di coloro che sanno quello a cui vanno incontro, figuriamoci chi ha deciso di farlo perché ha visto La Caserma.

Quali sono le cose che il programma non fa vedere?
È complesso dirlo in breve, perché sono troppe. In generale non si riesce a comunicare in maniera reale il senso di disciplina che si respira nell’esercito.

La scena del taglio dei capelli è quasi una barzelletta: un dramma infinito. Nella realtà appena arrivi ti rasano a zero, punto. Le donne devono avere un piccolo chignon ben stretto. Ogni giorno devi raderti la barba, pelo e contropelo, controllato minuziosamente. Nelle mattinate d’inverno ci sono reclute con gli sfoghi per l’irritazione. Ma non si lamenta nessuno, non è pensabile.

A te cosa è rimasto dell’esperienza nell’esercito, adesso che fai altro? E in caso, lo rifaresti?
Lo rifarei, sì. Dell’esperienza mi sono rimaste l’amicizia con i compagni, persone a cui sarò legato per sempre, e una serie di nozioni. Nell’organizzazione della giornata, nei rapporti di rispetto con gli altri, nel modo in cui affronto le mie responsabilità e scelgo gli obiettivi.