Salute

Che cos’è il ‘liking gap’, e perché si ha paura di stare segretamente antipatici a tutti

Ti capita di chiacchierare piacevolmente con una persona, ma ripensarci giorni dopo e convincerti di esserle odioso? Questa teoria spiega perché.
Hannah Smothers
Brooklyn, US
paura di essere antipatici
AJ_Watt via Getty.

Immagina questo scenario: tu e una nuova conoscenza (o magari una vecchia conoscenza che non vedi da un sacco) state chiacchierando normalmente, saltando da un argomento all’altro, con leggerezza. La conversazione ha un tono cordiale. Me la sto cavando alla grande, pensi tra un sorriso di assenso e l’altro. Vi salutate, felici. Ore o giorni dopo, un pensiero si insinua nel tuo cervello. Oddio, non avrei dovuto dire quella cosa. Non riesci a smettere di ripercorrere la conversazione, concentrandoti sui momenti in cui hai incespicato. Alla fine, arrivi alla conclusione che l’altra persona ti reputi un idiota totale. 

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Questo processo ha un nome: è il “liking gap”, o “divario di gradimento”—una teoria che spiega come le persone sottovalutino spesso quanto siano apprezzate dagli altri, dopo un’interazione sociale. Il primo studio sul liking gap è stato pubblicato sulla rivista Psychological Science nel 2018. Gus Cooney, uno degli autori dello studio e istruttore alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, spiega a VICE che, secondo lui, il liking gap potrebbe essere una specie di comportamento funzionale. “Se tu e io parliamo, e io faccio una battuta brutta, ha probabilmente senso che dopo io possa pensare, Ho offeso Anna con quella battuta?,” dice Cooney. “Credo che il problema sia quando la reazione è sproporzionata.”

O, come spiega lo studio, il liking gap esiste perché non sappiamo chiedere a una persona quanto le piacciamo a conversazione finita. Non ci resta che indovinarlo, ripercorrendo le cose dette e rivalutando ogni dettaglio, chiedendoci che impressione abbiano avuto su una persona di cui non conosciamo a fondo la personalità e i valori. E quei tentativi di indovinare sono spesso condizionati da un monologo interiore che è “particolarmente autocritico e negativo, specialmente quando si aggiunge l’incertezza di essersi confrontati con qualcuno di nuovo.”

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In termini basilari, il liking gap svela che sono tante le persone che si chiedono se qualcuno le odia dopo una conversazione assolutamente normale. Come hanno scoperto i ricercatori, le persone sottovalutano di continuo quanto piacciono agli altri, anche in situazioni in cui l’altra persona sta esprimendo con segnali chiari (risate, sorrisi, gesti con le mani) il suo coinvolgimento nella conversazione. Poiché siamo troppo concentrati nel pensare a cosa stiamo dicendo e a come suona, non ci accorgiamo di quei segnali e il liking gap persiste.

La cosa ancora più interessante però è che, come sottolineano gli autori dello studio, le persone tendono a sopravvalutarsi in qualsiasi altro senso: la capacità di guidare, le relazioni sentimentali, etc. In altre parole, pensiamo di essere persone fantastiche finché non parliamo con qualcun altro e a quel punto ci convinciamo di fare schifo.

Per determinare e dimostrare il liking gap, i ricercatori hanno osservato diversi scenari in cui diverse persone si sono conosciute per la prima volta: sconosciuti che si presentano perché lavorano nello stesso laboratorio, matricole all’università che diventano coinquiline, e sconosciuti generici chesi sono conosciuti durante un workshop. In ogni scenario, i ricercatori hanno chiesto a ognuno dei partecipanti quanto apprezzasse la persona con cui aveva parlato, e viceversa. In media, le persone associavano un valore alla propria “apprezzabilità percepita” molto più basso rispetto a quello attribuitogli dal loro interlocutore.

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Come spiega Cooney, ha in parte senso: quella vocina autocritica serve a impedirci di dire cose inappropriate. Ma come dimostra la teoria del liking gap, quella voce non è in realtà piccola come sembra e tendiamo a essere iper critici verso noi stessi, fino al punto che diamo per scontato che le persone che dicono di apprezzarci mentano. Le uniche persone che sembrano non incappare in questo problema, suggerisce lo studio, sono quelle che non si considerano timide. Che sia questa la spiegazione della sicurezza di sé? Forse o forse no, ma di certo spiega perché certe persone sembrano in grado di navigare il mondo con facilità, senza mai inciampare nell’idea che siano in realtà odiate da chiunque abbiano mai incontrato nella vita.

Cooney ha citato uno studio successivo, pubblicato su Psychological Science ad aprile 2021, che ha esplorato il liking gap nei bambini con più di cinque anni. Nello studio si sottolinea che non esiste un “divario di gradimento” nei bambini molto piccoli, ma compare durante l’infanzia e si espande in parallelo con il momento in cui un bambino inizia a percepire e dare importanza alla sua reputazione. “I bambini molto piccoli non pensano se una persona li apprezza o no, non sono interessati ad avere una reputazione,” dice Cooney. “Ma appena diventano abbastanza grandi per sentire la vocina che dà importanza alla reputazione, compare anche il liking gap.”

Tutti gli studi esistenti sul liking gap si concentrato sulle conversazioni tra lontani conoscenti o persone appena sconosciute, ma Cooney spiega che il liking gap può manifestarsi anche tra persone che non interagiscono da molto tempo. Con la pandemia di COVID-19, emergere da oltre un anno di relativo isolamento—e dover capire come parlare con altre persone di nuovo—porterà sicuramente a dei liking gap anche tra cari amici che non si vedono o non sono riusciti a parlarsi in modo significativo dal 2019.

Una buona notizia è che, nel caso dei coinquilini universitari, i ricercatori hanno scoperto che il liking gap diminuisce con il tempo. Se ti senti antipatico e stupido in compagnia di nuove persone—o che non vedi da un anni—è scientificamente dimostrato che quei sentimenti non dureranno per sempre. Man mano che conosci meglio una certa persona e ti senti più a tuo agio a interagirci, il divario si assottiglia e non senti più il bisogno di mettere in dubbio ogni commento che hai fatto. Bello, eh? È un po’ come funzionano le amicizie in generale, no?