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David Hurn fotografa il sublime della vita quotidiana

Abbiamo intervistato l'ottantenne David Hurn, che ci ha spiegato come il suo obiettivo sia "realizzare foto fondamentalmente noiose, foto in cui le uniche cose interessanti sono i piccoli dettagli e i gesti."

_Arizona, Stati Uniti. _1980. Pensionati del Sun City. 

Dopo essere entrato nel mondo del fotogiornalismo negli anni Cinquanta, David Hurn ha raggiunto la fama fotografando i Beatles e altre icone della cultura pop degli anni Sessanta. Ha anche realizzato gran parte degli artwork di Barbarella e dei film di James Bond, e servizi fotografici di moda pubblicati poi su riviste come Harper's Bazaar. Per lui, però, era solo un lavoro che gli permetteva di perseguire la sua vera passione—fotografare momenti sublimi della vita quotidiana.

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VICE: Rispetto a molti fotografi, il tipo di lavoro che hai fatto nel corso della tua carriera varia enormemente: sei passato dalla fotografia di guerra a fotografare le popstar e le icone della controcultura degli anni Sessanta ai documentari, fino alla street photography. Era tua intenzione andare sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo?
David Hurn: Quando ho iniziato, a metà degli anni Cinquanta, non c'erano gallerie o simili. Se eri nel mondo della fotografia, eri o un fotografo di matrimoni, o un fotografo scientifico, o avevi comunque a che fare col "giornalismo". È il percorso che abbiamo fatto tutti. Volevo diventare un veterinario, o un archeologo, ma non avevo nessuna qualifica. Quando ho preso in mano una macchina fotografica per la prima volta stavo facendo il servizio militare, e mi sono accorto che mi piaceva. Ero un tipo timido e la fotografia fa piuttosto bene alle persone timide; ti nascondi dietro un obiettivo e hai una scusa per essere in un certo posto. Se qualcuno ti chiede cosa stai facendo, invece di fare una smorfia e iniziare a farfugliare puoi rispondere: "Oh, sono un fotografo."

Quando è diventata una cosa seria? 
Ho avuto un'epifania, uno di quei momenti che ti cambiano la vita. Ho visto una foto in una copia di Picture Post. Nell'esercito tutti ci facevano credere che i russi si mangiassero i figli, e poi ho visto questa foto di un ufficiale dell'esercito russo immortalato mentre comprava alla moglie un cappello in un grande magazzino. E ho cominciato a piangere. Quella foto mi aveva commosso immensamente. Mio padre aveva fatto la guerra, e quando è tornato la prima cosa che ha fatto è stata portare mia madre da Howells [un grande magazzino], a Cardiff, e comprarle un cappello. Improvvisamente mi resi conto che credevo più a quella foto che a qualsiasi forma di propaganda. Ho capito che la fotografia può davvero commuovere le persone con la sua accuratezza.

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_Budapest, Ungheria. _1956. __

Come ha fatto quel momento a trasformarsi in una carriera? 
Ho deciso che era quello che volevo fare. Ho lasciato l'esercito. Era la metà degli anni Cinquanta, e stava iniziando la rivoluzione ungherese. Il mio istinto mi diceva che se fossi andato lì avrei avuto qualcosa da fotografare. L'ho fatto semplicemente perché mi sembrava un buon modo per entrare in un mondo che conoscevo ancora molto poco.

In realtà non mi piaceva molto. Beccarmi una pallottola non è mai stata la mia idea di vacanza. Sono stato fortunato, ho incontrato alcuni giornalisti di LIFE Magazine e li ho seguiti. Alcune delle mie foto sono state pubblicate su LIFE e poi cedute a Picture Post e all'Observer. Ho imparato molto presto che è meglio iniziare dall’alto che dal basso. Se cominci dall'alto, puoi sempre aggrapparti alla cima, ma partendo dal fondo ti aspetta una lunga salita.

Quindi hai iniziato con la fotografia di guerra, ma ti sei lasciato presto alle spalle quest'esperienza, giusto?
La verità è che già allora sapevo che non era quello che volevo fare. In parte perché intorno a me c’erano persone come Don McCullin, Philip Jones Griffiths, Ian Berry e tutti gli altri, e loro erano molto più interessati all'aspetto politico rispetto a me. Mi sono dovuto trovare la mia nicchia. Ho iniziato a lavorare soprattutto per riviste americane. Non facevo soldi, e poi per caso sono entrato in un giro di artisti e attori. Ho incontrato un attore di nome Richard Johnson, l’ho fotografato nel '68 o giù di lì, e la cosa mi ha portato a seguire la realizzazione del film, dove ho incontrato un addetto alle pubbliche relazioni… Tutta una rete di contatti di questo tipo. È tramite lui che ho iniziato a lavorare sul grande cinema, ma tutte queste cose avevano un'importanza marginale nella mia vita. Ho fatto le locandine dei film di James Bond e la maggior parte dei lavori grafici per Barbarella, così come per i film dei Beatles. Erano tutte cose che facevo per arrivare dove volevo, cioè ad osservare il mondo.

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Usk, Galles. 1994. 

Quindi i lavori commerciali sono stati un mezzo per arrivare a un fine?
Sì, esatto. Nel 1970, quando sono tornato in Galles, ho smesso di accettare incarichi di quel tipo e ho iniziato a lavorare sui miei progetti. Questo non vuol dire che se una rivista avesse voluto pagare per il lavoro che stavo facendo avrei detto di no. Ma c’è differenza tra le due cose.

Pensi che tanti fotografi non abbiano una mentalità così aperta? Che non siano disposti a fare un lavoro commerciale o che lo vedano in conflitto con i loro ideali?
Negli ambienti universitari chi insegna fotografia ha un'idea molto mistica del settore. Agli studenti non viene detto che la prima cosa da fare come fotografo è di cercare di non morire di fame. Se muori di fame, sicuramente non farai molte foto. Tutto sta nel trovare un equilibrio tra fare ciò che vuoi e guadagnarti da vivere. Se all'inizio della tua carriera ti offrono di fare foto ai matrimoni, dovresti accettare. Puoi imparare molto, lavorando a un matrimonio. Devi creare un copione, una storia. Hai bisogno di una foto della sposa e dello sposo. Non puoi limitarti a fare una foto al mazzo di fiori e dire, “Questi fiori sono stupendi, mi trasmettono una sensazione di primavera." È così che si impara, facendo bene qualsiasi cosa ti venga chiesta. Devi concentrarti su ciò che fai, così quando avrai la possibilità di realizzare ciò che vuoi sarai preparato. La fotografia è un lavoro. Come ogni lavoro, bisogna comprenderlo, capire il suo contesto e il suo pubblico.

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Porth Oer, Galles. 2004. 

Pensi ci sia un certo livello di pretenziosità nel mondo della fotografia? 
In certi tipi di fotografia ce n’è in abbondanza. Se vai a fotografare un matrimonio, devi fare delle belle foto. È un grande onore, molto più importante di qualcuno che scatta delle foto con le orecchie, senza osservare nulla. Fotografare vuol dire osservare. Il mondo è meraviglioso: andate e documentate questa meraviglia. Documentate tutto quello che pensate sia meraviglioso e sperate che a qualcun altro piaccia. E magari sperate che alla persona a cui piacerà piaccia tanto da volervi pagare.

La piscina del campeggio. Pwllheli, Galles. 1974.

Soffermandoci per un attimo su questo tema, l'osservazione della normalità e della vita… questa è l’altra parte del tuo lavoro, soprattutto nei piccoli paesi, tanto in Arizona come in Galles. Si tratta di osservare la normalità, forse persino la banalità?
Una volta ho scritto, "La vita, mentre si svolge davanti a un obiettivo, è così piena di complessità, di meraviglia e di sorprese, che trovo inutile creare nuove realtà." Ora, questa affermazione sembra piuttosto pomposa. Ma quello che volevo dire è che immortalare le cose come sono mi rende più felice. Ho sempre voluto documentare la vita per come la vedevo io. Quando sono tornato in Galles ero affascinato dalla parola "cultura". Non capivo bene cosa intendesse la gente con questa parola. Ma ho pensato che se fossi andato in giro per il Galles, e magari avessi pubblicato qualche libro (uno sui luoghi dove vivono le persone, uno sul modo in cui vivono queste persone, uno sul paesaggio che le circonda, e così via) forse sarei riuscito a capire cosa si intende. E questo è quello che faccio. Mi piace fotografare la quotidianità.

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È il lavoro che continui a fare anche oggi? 
Oggi ho 80 anni, e tendo ad essere molto determinato, così quando mi sono fermato un attimo e mi sono reso conto che stavo invecchiando, ho pensato: "Cosa posso fare per lavorare altri dieci anni?" Per fortuna stavo leggendo un libro di John Updike, che ho apprezzato molto, e ho trovato una citazione: "Dare alla quotidianità la bellezza che le spetta." Adoro questa frase.

Così ho deciso che uno dei miei grandi progetti sarebbe stato fotografare il mio paesino. È molto interessante, vai al Club del libro e ci trovi otto donne che parlano di un libro che hanno letto. Lo trovo estremamente interessante, ma anche difficile. È molto banale. E se non stai attento inizi a giocare con una nuova lente, o con Photoshop, o qualsiasi altra cosa, tutto nel tentativo di superare quella banalità. In realtà l'obiettivo è proprio realizzare delle foto fondamentalmente noiose, foto in cui le uniche cose interessanti sono i piccoli dettagli e i gesti.

Llandovery, Galles. 1996. 

Quindi è questo quello che ti interessa, la normalità?
Mi chiedi cosa mi interessa? A me di queste cose frega fino a un certo punto. Puoi essere un fotografo di matrimoni, un fotografo di guerra, o qualcuno che si definisce "artista"—anche se nulla mi sbalordisce di più del vedere una persona che, quando le chiedi cosa intenda con"artista", si sente attaccata.

Il punto è che, per me, una cosa—qualsiasi cosa—è interessante se fatta bene. Prendi le foto di Weegee, mi piacciono tantissimo. Io non voglio essere un fotoreporter, ma vedo quelle foto e mi meraviglio del fatto che qualcuno con una scatola con un buco davanti abbia potuto fare ciò che ha fatto lui.

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Vai alle pagine successive per vedere altre foto di David.

_Aberavon, Galles. _1971.__

California, Stati Uniti. 1992.

_Six Bells, Galles. _1975. 

Arizona, Stati Uniti. 1979. 

Sun Lakes, Arizona, Stati Uniti. 1997. 

Arizona, Stati Uniti. 1979. 

Barry, Galles. 1971. 

Per il suo ultimo progetto David ha iniziato a fotografare Tintern, il paese in cui vive.