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Perché odio amare Far Cry 3

Un videogioco la cui magia sta nel trascinare un uomo adulto a Singapore, dove può ordinare esclusivamente shot di sambuca.

Non sono un fanatico degli sparatutto in prima persona, ma un tempo lo ero.

Agli albori della mia carriera di video-nerd ci giocavo sempre, da solo o con i miei amichetti del vicinato, e così ho continuato per tutti gli anni dell'adolescenza. Con l'arrivo della Xbox Live finalmente potevo giocare connesso con il resto dell’umanità. Con la Xbox Live sono entrato in un mondo di cazzoni. Lo odiavo. Sono passato dall'essere il meglio del peggio—il migliore e numero uno dei videogiochi, il pesce grosso nella nostra piccola città—all'essere il peggio del peggio, l’imbranato perdente, quello che cola a picco negli spawn point.

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Il mondo, da allora, è cambiato. Anche se un paio di sparatutto sono riusciti a far progredire il genere in termini di costruzione della storia e di ambientazione, sembra che le proposte si siano livellate e Call of Duty e altri si sono lentamente trasformati in uscite annuali—cosa che finora erano riusciti a fare, passandola liscia, solo i videogiochi di sport.

Lo “sparatutto” nel frattempo—soprattutto quello in prima persona—è diventato il genere che fa il maggior fatturato.

Chi non vorrebbe farsi uno shot di sambuca con questi campioni?

Per quanto riguarda Far Cry 3, non potevo essere più prevenuto verso un videogioco, sentendone le premesse. Giochi nei panni di Jason Brody, un ricco studentello  membro di una confraternita, che viene da Santa Monica o da qualche altro posto in cui si portano ancora i pantaloni al ginocchio e i ragazzi bianchi non tolgono le etichette dai cappellini. Brody ha reagito alla morte di suo padre decidendo di andare a spassarsela nel sud dell’Asia, dove dedicarsi a imprese fini a se stesse e sport estremi insieme ai suoi fratelli, che pare comprendano sia i confratelli che i fratelli di sangue.

Ora, la magia dei videogiochi sta nella capacità di trasportarti in un altro mondo. Molte volte è un mondo di fantasia—diventiamo cowboy o space marines, quello che vogliamo, quello che in qualche modo rappresenta il nostro superego. La magia di Far Cry 3 sta nel trasportare il giocatore in un mondo in cui un uomo adulto può andare a Singapore e ordinare esclusivamente shot di sambuca. Inutile dirlo, i videogiochi richiedono una profonda sospensione dell’incredulità.

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Comunque, i ragazzi vengono rapiti da alcuni trafficanti di schiavi bianchi e portati su un'isola immaginaria. È una caricatura politicamente scorretta di varie culture del Pacifico, e Jason Brody deve abbandonare il suo bagaglio emotivo per diventare l’uomo che il destino e le circostanze richiedono che sia. Ovviamente, questo comporta l'inveramento di antiche profezie tribali, il recupero di artefatti dalla giungla, un abbondate uso di allucinogeni, l'ottenimento di tatuaggi tribali che apportano nuove abilità e scuoiare animali in via d’estinzione per farne portafogli e custodie per le munizioni. Oh, e uccidere centinaia di persone.

Se la PETA è contro i Pokémon, tremo nel pensare cosa faranno quando vedranno la custodia per le munizioni che potevo fare soltanto con la pelliccia di tigre.

Questo è un gioco a cui avevo tutta l’intenzione di non giocare mai. Se solo mi aveste detto una di queste cose in anticipo, non avrei mai fatto il primo passo.

Eppure funziona. Dopo aver letto l’eccellente resoconto di Far Cry 2 di Tom Bissell, ero intrigato all’idea di vedere che cosa avesse fatto la Ubisoft di quella che una volta era proprietà della Crytek. Quello che non mi aspettavo era che Far Cry 3 diventasse uno dei miei giochi preferiti.

Lasciate che lo ribadisca: in linea di principio odio tutto, di questo gioco. Odio l’idea di Jason Brody. Odio i suoi amici. Odio che ci siano solo due modelli di PNG (personaggi non giocanti) per le donne native: o giovani e sexy o vecchie e rugose. Odio dover credere che leopardi, tigri, casuari, orsi e draghi di Komodo vivano tutti insieme su un’isola con le tartarughe delle Galapagos. Odio il fatto di essere stato costretto a perquisire e derubare ogni nemico che uccidevo. Odio di essere stato incoraggiato a uccidere e scuoiare animali rari per farne degli accessori alla moda. Odio le continue allusioni ad Alice nel Paese delle meraviglie e l'angosciante carattere senza grazie che si usa per comunicare con loro. Odio il fatto di poter disintegrare dei laptop con un colpo di machete. Odio poter tirare pietre ai coccodrilli da un paio di metri di distanza senza che loro facciano una piega, ma che poi mi trascinino brutalmente sott’acqua se entro in un determinato raggio da loro.

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E comunque squittisco di piacere per il mondo in cui vengo acciuffato dal coccodrillo.

Alcuni di questi fatti possono essere attribuiti ai giochi di prestigio tecnologici necessari per fare videogiochi. Questi li accetto. Altri sono scelte creative che io non avrei mai fatto. In qualche maniera, però, la Ubisoft è stata capace di installarmi letteralmente dentro Jason Brody; di renderlo il mio avatar malgrado mi sia antipatico, per accompagnarlo mentre si trasforma da codardo superficiale ed egoista in un vero duro. Non nel senso machista alla Stallone, ma perché Brody deve abbandonare il suo ambiente, il suo personaggio, il suo intero essere per sopravvivere.

Siete dentro i bulbi oculari di Brody, ed è la scelta più rischiosa che uno sviluppatori di videogiochi abbia fatto di recente. Ogni azione che fa Brody, voi siete lì. Brody guida su una strada accidentata? Avete la nausea. Brody dà fuoco a un campo di marijuana con molotov e lanciafiamme? Non riuscite ad andare dritti. Brody non ha notato lo squalo nell’acqua bassa? Siete scioccati e terrorizzati dal sangue e dai denti. Brody viene gettato in una fossa comune? Strisciate tra i cadaveri in una scena vertiginosa e raccapricciante.

Brody parla, si muove e interagisce con finezza autoriale. Inoltre, le performance del cast e della squadra per il motion capture sono superbe. La visione è concettualmente legata ai bulbi oculari di Brody, e per questo elogio i creatori con le lacrime agli occhi perché posso immaginare quanto orribile possa essere stato lavorarci. Funziona così bene. Le voci narranti e i personaggi più perfidi sono ben scritti e ben realizzati.

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Vaas, uno psicopatico sviluppato molto bene e il principale antagonista nel gioco.

Quello che voglio dire è: i videogiochi sono al meglio quando creano empatia, quando ci facciamo coinvolgere perché siamo del tutto immersi in quel mondo. E malgrado avessi ogni intenzione di odiare Jason Brody, anche io mi sono perso nelle travolgenti circostanze del suo viaggio.

Ho abbandonato il mio disprezzo nei suoi confronti e l’ho guardato sgretolarsi, lasciando il posto a un mostro capace di ogni atrocità. Vedo Far Cry 3 come uno sparatutto in prima persona, ma soprattutto come una parodia di uno sparatutto in prima persona. Far Cry 3 è unico nella sua duplice natura.

È una conquista tecnica per la narrativa cinematografica dei videogiochi. Ed è soprattutto un violento passo indietro rispetto ai videogiochi più socialmente accettabili amati dalle masse. È la parodia del genere che rappresenta—un idiot savant che rappresenta perfettamente quello che odio e quello che amo dei videogiochi oggi. In un’epoca in cui la società ci violenta con le sue inquisizioni, le sue informazioni continue, la sua brutalità legalizzata, io starò mano nella mano con questo splendido mostro, riparandolo coraggiosamente dai colpi delle torce e dai forconi in avvicinamento, anche solo perché vedo attraverso la sua mostruosità. È violento perché l'abbiamo prodotto noi. È soltanto un calice di cristallo riempito del denso liquido della nostra società.

È degno dello status di culto, se non per le conquiste tecniche, almeno in quanto unico videogioco che genera quest’oscura forma di empatia. Il fatto che io possa odiare così tanto qualcosa ma esserne così completamente assorbito non fa che stimolare le mie aspettative per la futura messa in atto del potenziale narrativo del videogame, che sarà una delle grandi forme d'arte del nostro secolo.