Le storie dietro i profughi che arrivano in Europa

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Le storie dietro i profughi che arrivano in Europa

"Se sei della famiglia non vieni lasciato indietro, che tu sia un gatto o una persona," dice il 43enne Bashar con un sorriso: abbiamo raccolto le storie dei profughi arrivati a Vienna da Afghanistan, Siria e Iraq.

Quest'anno, gli ingressi in Europa di profughi provenienti—tra gli altri—da paesi come Siria, Iraq, Afghanistan sono stati quasi mezzo milione. Secondo le previsioni, nel 2016 la cifra dovrebbe raddoppiare.

Dietro le statistiche, però, ci sono le storie di tragitti incredibili che coprono più continenti e si sviluppano attraverso migliaia di chilometri. VICE News ne ha raccolte alcune tra quelle dei profughi arrivati negli ultimi giorni alla stazione di Vienna.

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Tutte le foto di Harriet Salem.

"Se sei della famiglia non vieni lasciato indietro, che tu sia un gatto o una persona," dice il 43enne Bashar con un sorriso. L'ingegnere civile di Damasco spiega di avere tre figli—due figlie e un gatto. La famiglia ha adottato Jack quando aveva appena tre giorni, dopo averlo trovato per strada. Nel viaggio che li ha portati da Damasco a Vienna, Jack è stato portato al guinzaglio o in braccio. Bashar spiega che ha aiutato i famigliari a mantenere la calma nei momenti più difficili, come il tragitto via mare dalla Turchia alla Grecia. "È orfano, quindi dipende da noi, siamo noi che dobbiamo fargli da genitori," racconta Bashar a VICE News. "Lui è il nostro profugo! Volevamo dargli una vita migliore, e adesso speriamo di trovarla per tutti."

In Afghanistan Amin Kostani (28 anni, a destra) era un ufficiale dell'Esercito; ha combattuto fianco a fianco coi militari americani, ma due mesi fa ha deciso di lasciare il paese perché stanco di sperare in un miglioramento della situazione. La sua famiglia è originaria di Wardak, una zona a ovest di Kabul con una forte presenza di talebani, e Kostani temeva che il suo lavoro avrebbe esposto la figlia a ritorsioni da parte di questi ultimi. "Nessun genitore farebbe correre rischi simili al proprio figlio, se ci fossero alternative valide," dice a proposito del suo viaggio, che l'ha portato ad attraversare nove paesi nel corso di due mesi. Con lui viaggiavano anche i genitori, di 50 e 53 anni. La famiglia ha versato 8000 dollari ai trafficanti al confine tra Iran e Turchia, ma ha rischiato di non poter proseguire dopo che l'esercito iraniano ha aperto il fuoco sulla comitiva di cui facevano parte.

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Nel panico generale, il fratello di Kostani, di sette anni, è caduto dall'asino e si è fratturato un braccio. "[In Iran] abbiamo camminato dieci ore per notte, per cinque notti. La parte più difficile," spiega l'uomo, "è stata vedere i bambini piangere e tremare dal freddo."

In Iraq, Ahmed Ali era uno dei capi locali della sua tribù. Si è lasciato tutto alle spalle dopo che i quattro fratelli sono stati uccisi da una milizia sciita, e prima di scappare in Europa ha vissuto a Dora, una zona di Baghdad che l'esercito americano definisce "una delle più pericolose dell'Iraq." Nella vita di tutti i giorni il 43enne si copriva il capo con la kefia tradizionale, oggi rimpiazzata da un cappellino Burberry abbinato a un paio di occhiali da sole a goccia. "Devi sempre avere un bell'aspetto," dice sorridente. Ali ha intenzione di rimanere in Austria; vorrebbe trovare lavoro come elettricista, e spera che un giorno potranno raggiungerlo in Europa anche la moglie e la figlia.

Questi due cugini di Zarang, una città nella provincia occidentale di Nimruz, in Afghanistan, sono scappati dai talebani. Il 26enne Faraidun Akbang (a sinistra) ha lavorato per otto anni per le ONG straniere attive nel paese. In passato aveva subito intimidazioni e minacce, ma ha deciso di andarsene solo dopo che il consiglio dei leader talebani della sua zona gli ha dato notizia ufficiale della condanna a morte che pendeva sulla sua testa. Fyaz Mohammed, di 17 anni, racconta di essere stato torturato dai talebani poiché il padre è titolare di una ditta di trasporti che aiuta l'esercito americano nei rifornimenti tra le città principali. È stato ferito a entrambe le cosce con un coltello, ma è riuscito a scappare saltando da una finestra. "Dicono che chi lavora con gli stranieri o coi cristiani non è un vero musulmano," spiega Akbang. "Spero che la mia famiglia possa raggiungermi, perché sono in pericolo. Lì è pieno di talebani."

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Milkah Salah ha un anno e tre mesi. È nata a Herat, in Afghanistan, e il suo viaggio verso l'Europa è iniziato due mesi fa. I genitori l'hanno portata in braccio per tutti e 5000 i chilometri. Dopo aver dormito sulle montagne o per strada, la famiglia è passata per diversi campi profughi, dovendo spesso fare a meno dei generi di prima necessità per la cura della figlia. Ciononostante, i genitori di Milkah spiegano che se la figlia potrà crescere in un luogo sicuro e avere accesso all'istruzione, ne sarà valsa la pena. Secondo l'UNICEF, tra i profughi arrivati in Europa ci sono anche decine di migliaia di bambini. Molte famiglie viaggiano coi figli, spesso di età inferiore ai cinque anni. La famiglia di Milkah si è spostata a piedi, in treno, in autobus e in barca. "Non si ricorderà niente del paese in cui è nata, per lei è una vita che comincia," racconta il padre. "Ma dentro di sé porterà sempre l'Afghanistan."

Eran Jafari fa avanti e indietro per la stazione di Vienna con le cuffiette. Ascolta gli Abba. Tra i suoi musicisti preferiti ci sono gli Eagles, George Michael e i Guns N' Roses. "Con le loro canzoni sono felice… la musica mi ha dato la forza di andare avanti," dice con un sorriso. Nel corso delle ultime due settimane, insieme al fratello, ha percorso più di 3000 km. I due sono partiti da Jaba, una città a maggioranza drusa sulle alture del Golan, in Siria. Nella zona sono in corso scontri tra le truppe governative e diverse milizie, Jabhat al Nusra inclusa. "[Tutte le forze in gioco in Siria] sono nel torto. Io vado per la mia strada, in mezzo; non guardo né da una parte né dall'altra e non sto dalla parte di nessuno." Pur avendo l'età giusta, il fratello di Eran dice di non voler combattere né da un lato né dall'altro di "quella guerra senza senso." I fratelli hanno appena comprato i biglietti per quella che sperano sarà l'ultima tappa del loro viaggio, la Germania. "Voglio poter ascoltare la musica che mi pare e vestirmi come mi pare," dice Eran. "E per poterlo fare ho dovuto lasciare il mio Paese."

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Nazir Hussein (a destra) ha perso il cugino in un attacco talebano. È stato allora che i genitori hanno deciso che lui e suo fratello se ne sarebbero dovuti andare dall'Afghanistan. Così, a soli 17 e 16 anni, i due sono arrivati in Iran e da lì sono entrati illegalmente in Turchia. "Camminavano per tutta la notte, in montagna, e quelli che non erano abbastanza veloci venivano presi a bastonate [dai trafficanti]." Lungo il tragitto Hussein ha incontrato molti altri giovani che viaggiavano da soli e ha deciso di prenderli sotto la sua ala. Il più giovane, Ali, ha otto anni. Hussein è il più grande. Molto spesso si sono ritrovati a dormire per strada o nei campi. "Al confine con l'Ungheria ho perso di vista Ali e mio fratello. Ero nel panico, perché erano senza soldi e senza cellulare."

"Ci dicono che non siamo veri profughi, ma nessuno abbandona la propria famiglia, i propri genitori, a meno che non sia costretto a farlo. No?" Il gruppo è diretto in Svizzera, dove Hussein spera di poter contattare un vecchio vicino di casa. I minori non accompagnati arrivati in Europa sarebbero diverse migliaia; molti vengono mandati avanti da soli perché i genitori dispongono del denaro per un solo viaggio.

La sessantenne Farida è partita da Kobane, in Siria, insieme ai tre figli e a una nipote. Farida è curda, ma dice che nonostante i successi militari dei curdi nella regione lei e la sua famiglia non si sentivano più al sicuro. "Siamo sotto attacco su tutti i fronti: da Assad, Daesh [Stato Islamico] e Turchia… quindi è difficile credere che le cose miglioreranno a breve," spiega il figlio. Farida è una fumatrice accanita, anche se la famiglia vorrebbe smettesse perché soffre di diabete e ha avuto problemi cardiaci. Spera che l'Europa le dia qualche nuovo nipote, perché "il sorriso di ogni bambino è un dono."

Suriya al-Boush arriva da Homs, in Siria, da cui è partita col marito e due figli di sei e dieci anni. La famiglia era già sfollata e la loro casa era stata distrutta. "In Siria non abbiamo più niente," spiega. Le due settimane di viaggio sono state pesanti, soprattutto per i bambini, ma ora la famiglia ha comprato un biglietto per la Germania, dove i genitori di Suriya vivono da tre mesi. Alla domanda "Qual è la parte più bella del poter arrivare a destinazione?" risponde immediatamente: "Vedere mia madre e mio padre."

Segui Harriet Salem su Twitter: @HarrietSalem