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La foto profilo arcobaleno non cambierà le cose in Italia

Personalmente, da omosessuale, sono felice del passo avanti rappresentato dalla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. Ma in quanto italiano, non posso che farmi delle domande.

La foto profilo di Zuckerberg.

È un pezzo che la bacheca di Facebook è diventata un luogo a forte rischio di ridicolo. L'ansia di prestazione da like, di condivisione di "contenuti" e di adesione al fenomeno virtuale del momento sta trasformando ogni occasione di dibattito in uno sciame di belati globali. L'occasione questa volta è la storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti) dello scorso 26 giugno che ha bocciato come incostituzionali quelle leggi statali che ancora vietavano in 13 stati su 50 di celebrare i matrimoni tra individui dello stesso sesso. Si tratta di un passo avanti definitivo verso il progresso, anche se poi ci sono Stati come il Texas che ancora non si arrendono sfidando la decisione della corte. Al di là dei colpi di coda reazionari, però, appare evidente a tutti come la decisione sia incontrovertibile e come sia stata celebrata dal presidente Obama, attraverso dichiarazioni pubbliche coordinate alla consueta comunicazione attraverso i social network ufficiali––riassumibili nell'account Twitter ufficiale della Casa Bianca e della sua iconica facciata con i colori della bandiera LGBT.

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America should be very proud. — The White House (@WhiteHouse)27 Giugno 2015

Inutile ripercorrere le varie evoluzioni delle posizioni di Obama rispetto ai matrimoni omosessuali. Che ci siano margini di opportunismo è il meno che ci si possa aspettare da un politico: ciò che conta è la realtà delle cose che vede ora nell'ordinamento giuridico statunitense colmata una lacuna, e personalmente, da omosessuale, sono felice che con questo ennesimo passo avanti i miei amici gay Ryan e Dane potranno finalmente sposarsi in Louisiana.

È però lecito chiedersi, visto che non scatta niente dal punto di vista che continuiamo a chiamare politico (ma che dovrebbe ancor prima essere culturale), perché nel nostro paese il massimo che possiamo permetterci ad oggi è cambiare la nostra immagine di profilo di Facebook con il tool Celebrate Pride. La "conversione" istantanea di migliaia di profili con i colori arcobaleno e magari accompagnata dall'hastag #lovewins è stata clamorosa, e va ad aggiungere un nuovo capitolo alle ondate mediatiche che abbiamo imparato a conoscere dopo gli attentati parigini e la strage nella redazione di Charlie Hebdo dello scorso 7 gennaio, allorché migliaia e forse milioni di utenti si risvegliarono "Charlie" senza probabilmente mai aver aperto una pagina della rivista satirica e, soprattutto in Italia, senza condividere magari le esplicite e durissime vignette anti-religiose, soprattutto anti-cattoliche. Così anche questa volta accanto a poche persone consapevoli del senso e della valenza culturale, storica e sociale di quei colori, la maggior parte ha seguito acriticamente e senza alcun approfondimento questo trend, risvegliandosi alfiere dei matrimoni gay, e perché no, magari anche delle adozioni da parte di famiglie omogenitoriali (temi che in Italia peraltro non trovano ancora pienamente d'accordo gli stessi cittadini omosessuali e associazioni LGBT).

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Nel caso mi sbagliassi, se invece tutto questo consenso non fosse il frutto di un atteggiamento superficiale ma di una vera e propria presa di posizione progressista, allora mi chiedo come mai, in tutti questi anni, in tutte le occasioni di voto, ma soprattutto nelle scelte individuali e collettive il cittadino italiano ha continuato ad essere un cittadino europeo di serie B, con un governo di centrosinistra che non riesce a far passare una semplice legge contro l'omofobia, e che continua ad abbozzare su riconoscimenti semplicissimi come coppie di fatto e unioni civili.

Non si può non notare quanto, ancora una volta, l'immaginario americano sia costantemente fonte d'ispirazione (distorta) per il nostro paese. Basta un account di un personaggio come Leonardo di Caprio per sentirsi liberal (poco importa poi se lo stesso attore poco prima re-gramma dei post di Bergoglio), quando invece il nostro mondo dello spettacolo e dei media è popolato da starlette nel closet, troppo collaborazionisti per esporsi.

L'account Instagram di DiCaprio.

L'America ha raggiunto questi obiettivi perché è stato il paese degli Harvey Milk e non dei Vendola, perché è stato il paese dei Sylvester James e non dei Lucio Dalla, e che peraltro ha capito una cosa semplicissima, non soltanto dal punto di vista politico ma soprattutto economico: come dimostra l'economista e sociologo Richard Florida nel suo fondamentale saggio The Rise of the Creative Class (2002), nei paesi occidentali a più alto indice di sviluppo economico corrisponde una più forte presenza di omosessuali; e proporzionata alla forza produttiva si è sviluppata un'offerta di intrattenimento culturale, con il conseguente innalzamento dell'apertura mentale degli abitanti di quelle zone.

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Allora non c'è da stupirsi se Tim Cook può permettersi di fare coming out mentre un dirigente di un'importante azienda come Guido Barilla con una sola dichiarazione riporta indietro le lancette dell'orologio al Medioevo.

Ci tengo a specificare che non c'è nulla di male nel festeggiare per la vittoria antioscurantista americana, ma non nego di sentire tutta l'amarezza nel rivedere ancora una volta questa sudditanza psicologica e la mitizzazione degli Stati Uniti come esempio di libertà, democrazia e progressismo e soprattutto sentirmi in dovere di gioire "per procura" per questa sentenza, che non cambia in nessun modo la mia condizione di cittadino gay in Italia.

Festeggiamenti in Irlanda. Foto di Sarah Meyler.

Già ce lo siamo dimenticati ma dopo lo schiacciante risultato che ha sancito la vittoria del sì (62,1 percento) al referendum sui matrimoni omosessuali in Irlanda, il dibattito sulle unioni gay sembrava essersi riacuito anche nel nostro paese.

Intendiamoci: non fu un vero e proprio dibattito e, come sempre accade in Italia quando si parla di diritti civili, tutto è sublimato in una parata di "opinioni". Che poi opinioni non sono, ma più semplicemente diversivi mediatici per distrarre l'attenzione da un'equazione che dovrebbe essere molto logica e condivisa all'interno di stati retti da costituzioni democratiche: pari doveri e pari diritti. E invece ci siamo scolati ore di talk con invitati i soliti preti, i vari Adinolfi e magari un qualche deputato o addirittura ministro del Partito Democratico lasciato nell'imbarazzo di non poter realmente esporsi e controbattere. Eppure, quella vittoria del "sì" in Irlanda non fu ugualmente celebrata quanto la sentenza americana, che se vogliamo era in sé estremamente più importante per l'Europa: uno stato "così cattolico" come l'Irlanda che attraverso l'azione della politica propone e ottiene attraverso lo strumento del referendum, e quindi di una reale partecipazione dei cittadini, un risultato così importante, entrando a far parte di quei 14 paesi europei che hanno regolato le unioni tra cittadini dello stesso sesso e lasciando l'Italia in compagnia di Bulgaria, Polonia, Romania, Cipro, Lituania e Lettonia.

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Il Family Day a Roma. Foto di Federico Tribbioli.

Ma l'Italia si sa, è un paese di servi: nel pubblico, nel privato, nei media, nella mentalità consociativista che preferisce di gran lunga tollerare corruzione, ladrerie, favoritismi, nepotismi piuttosto che protestare e opporsi ad ogni forma di ingerenza del potere economico, politico, religioso. In attesa di un tornaconto che per altro, nel 99 percento dei casi, non arriverà mai.

La nostra costituzione, che dovrebbe essere laica, è nella realtà quella di uno stato a sovranità limitata con i media letteralmente invasi dalla presenza del Vaticano, e con il ceto intellettuale più sedato e opportunista d'Europa, con autori che sulle pagine dei più importanti quotidiani tratteggiano gli omosessuali come creature soprannaturali e letterarie ma che non sottolineano la realtà di un paese profondamente analfabeta.

È un analfabetismo artatamente coltivato da secoli di pensiero magico-religioso che tuttavia permette a nuovi e vecchi analfabeti di muoversi sui social, senza però saper elaborare connessioni tra causa ed effetto, e di conseguenza senza capacità di leggere la realtà. Perciò se da un lato fanno sorridere (o più semplicemente, schifo), i vari meme nati in questi giorni come l'utente con l'immagine arcobaleno accompagnata dalla scritta "in campo a favore dell'omofobia", dall'altro è avvilente continuare a registrare il continuo misunderstanding dei cosiddetti "gay cattolici", di esponenti del mondo della moda che fabbricano veli per la Madonna o i surreali entusiasmi di associazioni gay per i loro "dialoghi" con esponenti del clero. Lo stesso clero che continua a parlare delle nozze gay come di una "sconfitta per l'umanità." Bisogna essere all'altezza di una bandiera per poterla sventolare. Non è necessario vedere Il vento che accarezza l'erba di Ken Loach per capire che nelle vene dello storico successo irlandese scorre il sangue di chi ha avuto il dono della rivolta e dell'indipendenza. Oppure, possiamo aspettare che dall'America, magari tra dieci anni arriverà anche qui, come McDonald's o Apple il franchising dei diritti civili. Nel frattempo però il rischio è di accontentarci di un jpeg colorato.

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