Ieri, in occasione della Giornata internazionale della donna, le donne di oltre 40 paesi del mondo sono state chiamate a scioperare per 24 ore. Nel caso in cui non ve ne foste accorti, è successo anche in Italia: i cortei sono stati organizzati dalla rete Non una di meno per comunicare da Nord a Sud "il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia."
Mentre eravamo in diretta dalla manifestazione di Roma per indagare sulle motivazioni dei partecipanti, abbiamo cercato di fare lo stesso a Milano, dove alle 18 sarebbe partito il corteo serale da Stazione Centrale. Lì—oltre a molti uomini e musica non sempre bella—abbiamo parlato con alcune delle donne presenti. Ci siamo confrontati su quanti significati possa avere la parola "femminismo", su incomprensibili disparità salariali e sul perché queste manifestazioni riguardano tutti—anche quando qualcuna decide di mostrare la vulva.
Sarah, 32 anni, fa parte di Macao e ha partecipato alla performance collettiva #SuLeGonne.
VICE: Ti ritieni femminista?
Sara: Per ora del genere femminile, ma non saprei dirti che altro sono.
Che cos'è per te il femminismo, nel 2017? A cosa può servire ancora?
È un aggregante, qualcosa che continua ad avere un richiamo, continua a ritrovare una narrazione all'interno delle collettività. Se io dico a te "che cos'è il femminismo" ovviamente avremo due idee di femminismo completamente diverse ma più o meno sappiamo che ha a che fare con una liberazione di uno spazio, e una liberazione del linguaggio.
Per me oggi femminismo significa continuare a erodere quella barriera che ci impedisce di creare nuovi nomi, nuovi linguaggi, nuovi modi di fare le cose.
Puoi spiegarmi perché col tuo collettivo avete deciso di "alzare la gonna e mostrare la vulva"?
Si tratta di una pratica di piazza che si ispira al mito di Demetra—quando Baubò solleva la gonna, lei si mette a ridere e la terra rifiorisce. È una storia che ci ha affascinate tutte, e che racconta di un gesto che nasce da un desiderio individuale: ognuna di noi non lo sta facendo allo stesso modo, ma è un gesto che fatto assieme racconta tantissimo di che cosa significhi per noi la rivendicazione dei diritti della donna. Ognuna di noi porta dentro quello che vuole: c'è chi lo sta facendo contro la violenza sulle donne, chi lo sta facendo per l'aborto libero, chi lo sta facendo perché vaffanculo lo voglio fare.
Fabrizia, 60 anni, "ex regista dell'azienda culturale massima di questo paese" e Antonella, 53 anni, infermiera.
VICE: Avete scioperato oggi?
Fabrizia: In un certo senso sì, perché non sono stata in casa, non ho svolto lavori di cura, non mi sono preoccupata di nulla, e ho detto "ciao" alla routine.
Antonella: Io ho scioperato, perché ritengo che nelle strutture pubbliche non ci debbano essere obiettori di coscienza. Con il movimento "Non una di meno", noi donne chiediamo tra le altre cose l'abolizione dell'articolo 9 della legge 194, che è l'articolo sull'obiezione di coscienza—che è presente in altissime percentuali, e ostacola la libertà di una donna di autodeterminarsi nella scelta di un eventuale aborto. La libertà di pensiero è legittima, ma la 194 è una legge dello stato e in quanto tale in tutte le strutture pubbliche deve essere applicata.
Ci avete detto che vi ritenete femministe. Che cosa significa esserlo nel 2017?
Antonella: Essere femminista significa difendere i diritti delle donne che oggi più che mai sono calpestati. Le statistiche mostrano spesso che siamo agli ultimi posti degli Stati europei per quanto riguarda la libertà della donna.
Oggi avete scioperato. Da domani come continuerà la vostra lotta?
Antonella: Noi lottiamo da sempre, siamo due consigliere di un'associazione che si chiama "Donne in quota", che si occupa principalmente di due tematiche: una è il sessismo nella pubblicità, l'altra la rappresentanza delle donne nelle istituzioni.
Fabrizia: Lottiamo su questo versante, affinché il genere femminile non venga mai più rappresentato all'interno di uno stereotipo.
Gioia, 20 anni, studentessa e baby sitter.
VICE: Hai scioperato oggi?
Gioia: Sì, non sono andata a lezione. Ho preferito passare la giornata a organizzare l'azione che c'è stata davanti all'ospedale Niguarda—un'azione mirata sulla contrarietà all'obiezione di coscienza.
Mi spiegheresti il significato del tuo cartello?
Otto marzo tutti i giorni, perché spesso le varie tematiche da affrontare diventano una semplice ricorrenza: e questo non va bene, perché sono tematiche che in fondo riguardano tutti, sia femmine che maschi.
Guardando alla tua esperienza, pensi che il sessismo sia ancora radicato nella società?
Per fortuna, non dal punto di vista familiare, né lavorativo—anzi, ai miei bambini cerco di trasmettere subito i valori d'uguaglianza. Però, devo ammettere che nel quotidiano ancora possono succedermi piccoli episodi, dalle battutine o commenti fastidiosi all'ennesima potenza in giù.
Sumaya, 38 anni, consigliera comunale a Milano.
VICE: Sei andata a lavoro oggi?
Sumaya: Ho saltato tutte le mie attività, sono andata in giro a partecipare alle varie manifestazioni ed eventi che ci sono in città, e sono qui adesso a manifestare con tutte le altre donne la nostra volontà di essere davvero portatrici di pieni diritti.
Pensi ci sia ancora del sessismo, nel quotidiano, o credi che la situazione si stia lentamente evolvendo?
Sicuramente si è un po' evoluta, però c'è una parte di sessismo a volte anche inconscio, involontario, non pienamente consapevole. Ed è un problema, perché quello è il sessismo più difficile da sradicare.
Che cos'è il femminismo oggi? È una lotta singola o un insieme di lotte che convergono? E come continua dopo oggi?
Il femminismo è assolutamente un insieme di lotte che convergono, che devono essere trasversali fra tutte le donne, di tutte le origini. [Quanto all'ultima parte della domanda,] la mia lotta è tutti i giorni, sia come donna che come donna musulmana. I miei obiettivi puntano sul portare avanti delle lotte interne nella nostra comunità, per combattere tutti quelli che sono i retaggi culturali che al suo interno ancora persistono.
Valentina, 30 anni, insegnante.
VICE: Come mai sei qui?
Valentina: Perché—un po' parlando anche tra colleghe o amiche—ci si sente sempre di non fare abbastanza; quindi quando capita un'organizzazione così, partecipare è il minimo. Purtroppo non ho potuto scioperare perché avevo un meeting importante—mi vergogno un po' di questa cosa.
Ci hai detto che lavori coi bambini. Gli hai spiegato che cosa significa questa manifestazione?
Gli ho detto che sarei venuta qui alle 18. Stamattina alcuni bambini sono arrivati con le mimose, quindi abbiamo parlato del significato della festa della donna. La discussione è ripiegata subito sulla questione dell'uguaglianza. Abbiamo fatto anche una piccola simulazione su che cosa volesse dire, fino a poco tempo fa, l'esclusione al voto per la donna. Le bambine si sono incavolate tantissimo, e tutti i bambini hanno iniziato a intavolare una discussione su quanto sia sbagliata la disparità.
I tuoi alunni sembrano molto maturi. Tra "i grandi" noti ancora del sessismo in giro?
Sì, ma nelle piccole cose, nella considerazione che la gente ha di te come donna. Devi sempre e comunque dimostrare di essere capace di far qualcosa prima di iniziare a farla, mentre per gli uomini è sempre tutto più scontato.
Lucia, 29 anni, ottico.
VICE: Potresti dirci perché sei qui?
Lucia: Perché ritengo di fondamentale importanza questa manifestazione. È necessario far comprendere alle istituzioni che questo discorso della violenza sulle donne è un discorso sentito, reale, che è presente nel quotidiano di ognuno. E quando parlo di violenza non mi riferisco solo quella fisica, ma anche, e forse soprattutto, a quella psicologica—a partire ad esempio dai canoni estetici che molto spesso i media continuano a propinarci.
Secondo le ultime statistiche in Italia, se tutto va bene, la parità retributiva fra donne e uomo arriverà nel 2091. Cosa ne pensi?
Che si potrebbe far prima.
Guardando alla tua esperienza, pensi che il sessismo sia ancora radicato nella società?
Penso di sì, magari inconsapevolmente. Lo noto spesso durante i turni di lavoro. Lavoro in un negozio, dove ci sono due banchi, uno per me e uno per il mio collega. Se il mio collega non c'è magari la gente entra, mi guarda e chiede, "Ma non c'è nessuno?", perché storicamente nel negozio—che esiste da diversi anni—son sempre stati tutti uomini.
Giulia, 23 anni, studentessa di architettura.
VICE: Sei andata in università oggi?
Giulia: Non avevo lezione, ma non ci sarei andata comunque.
Mi spieghi perché indossi questo cartello?
Non ha alcun senso continuare a pensare che ci debbano essere disparità a causa di genere d'appartenenza, colore della pelle, appartenenze geografiche, religione. Sono qui per questo.
Nella tua esperienza, dove noti questa disparità?
Sono qui con mia madre e lei lavora in un consultorio—per cui di storie di violenza di genere o anche solo di differenze religiose ne sento parecchie. Lei non ha scioperato, ma perché siamo proprio qui a protestare per far sì che i consultori rimangano sempre aperti.
Oggi sei qui, domani come continuerà la tua lotta?
Questa è una domanda difficile. Sinceramente non so come aiutare questi movimenti quasi spontanei, però nel mio piccolo cercherò di fare sempre del mio meglio. Per esempio, una mia amica ha abortito e io ho cercato di starle vicino il più possibile come donna. In ogni caso, spero che col tempo le cose migliorino per me, la mia amica e tutte le donne.