Le chimere
Artwork di Giacomo Carmagnola.

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Attualità

Le chimere

Un racconto che parla di squali e cavi transoceanici.

Questo brano è tratto dal nostro numero annuale dedicato alla narrativa.

Il Capitano aveva dato il segnale e i motori si erano fermati sbuffando. Erano abbastanza al largo. La barca beccheggiava dolcemente, alzandosi e abbassandosi come un respiro cadenzato. Fuori, la luce dei fari illuminava l'acqua solo per pochi metri prima di finire per perdersi, come sfaldandosi. Oltre c'era solo il buio, onnipresente e pervasivo.

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Ora che i motori erano spenti, la barca era lasciata alla deriva. Solo il rumore delle onde e un silenzio totalizzante, ma bastava tendere l'orecchio e stare ad ascoltarlo per acquisire una nuova sensibilità all'infinità di rumori che troppo spesso passano sottotraccia. E lo stesso valeva per il buio: bastava guardarlo e quello iniziava a farsi meno pressante finché non si riusciva a distinguere la luce delle stelle rifrarsi sulla schiena delle onde e sulle loro increspature, e l'alone giallognolo di una luna che correva chissà dove inseguita da chissà chi.

Il Capitano e Guido si erano guardati negli occhi in quel buio. Poi, con un cenno, il Capitano aveva dato ordine di preparare tutto per il colloquio. A quel cenno i marinai si erano messi al lavoro. Avevano iniziato a calare in acqua una gabbia di ferro con un'apertura sul tetto. L'avevano fissata con delle cime di sicurezza a un lato dello scafo. Le sbarre della gabbia, dipinte di un giallo acceso, erano già state aggredite in più punti dalla ruggine per i tanti giorni che avevano passato in mare.

Si erano messi a mescolare in una grande marmitta un liquido scuro—ma questa descrizione è infedele, perché era tutto scuro quella notte. Il capitano aveva tirato fuori da chissà dove un arpione e ci giocherellava nervoso. Alla fine l'aveva appoggiato di punta contro il pavimento della barca e si era acceso una sigaretta gettando il fiammifero in mare. Fumava piano guardando le onde infrangersi contro lo scafo.

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Intanto, sul ponte, Guido si era spogliato. Era rimasto in mutande, sferzato dal vento, e aveva appoggiato i vestiti in un angolo asciutto della barca. Poi si era messo una muta da sub fradicia e pesante.

Uno dei marinai gli aveva passato una collana di ferro e l'aveva aiutato a mettersela al collo. Poi l'aveva aiutato a mettere anche la maschera e il boccaglio e l'aveva condotto per mano verso il lato della barca dov'era stata fissata la gabbia. La collana lo schiacciava a terra e la maschera gli limitava il campo visivo. Guido non si era mai sentito debole e inerme come in quel momento, ma era necessario.

Con la coda dell'occhio, mentre veniva condotto verso la gabbia, aveva visto i marinai affollati intorno alla marmitta, che mescolavano. Uno di loro aveva estratto il mestolo e ne aveva gettato il contenuto fuoribordo. Qualcuno gli aveva fatto cenno di calarsi nella gabbia. Aveva sentito la mano del marinaio che lasciava la sua e l'acqua gelida che saliva in un attimo dai suoi piedi al suo petto man mano che si inabissava. Per un attimo non aveva visto nulla.

Poi era tornato a vedere. Oltre la maschera, l'azzurro accecante dell'acqua e le grate gialle della gabbia una spanna più in là. Dalla barca dovevano aver acceso un faro e dovevano averlo puntato su di lui, perché il suo campo visivo sfumava nel nero appena oltre. Sotto di lui, il mare era ancora più scuro. Per un attimo era rimasto lì in silenzio e in attesa.

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Lo squalo era emerso lentamente da quel nero, nuotando piano e strusciando il fianco contro le pareti della gabbia. Guido l'aveva visto passare da destra a sinistra e scomparire di nuovo nel buio. Poco dopo era passato di nuovo in direzione opposta. Faceva tintinnare le pareti della gabbia al suo passaggio e osservava Guido con i suoi occhi laterali, senza palpebre. Passava e ripassava e a ogni passaggio Guido tratteneva il respiro, perché non sapeva se ci sarebbe stato o meno quello dopo.

Alla fine lo squalo aveva smesso di passare. Guido era rimasto in attesa. Poi l'animale era ricomparso di fronte a lui, immobile nell'acqua senza farsi trascinare dalla corrente. E subito dopo essere comparso, lo squalo aveva parlato.

Raccontare quel momento è difficile, ma mai quanto viverlo. È difficile immaginare che uno squalo parli, che articoli suoni in grado di viaggiare nell'acqua senza disperdersi e di avere significato. Come ha fatto lo squalo a parlare? In quale lingua ha parlato? Sono domande naturali ma prive di senso—perché noi siamo uomini, non squali. Le domande formulate nella lingua degli uomini non possono ottenere risposta nella lingua degli squali. Finché parleremo la lingua degli uomini ci sembrerà impossibile che uno squalo parli, ma è solo perché non conosciamo la lingua degli squali. Questo Guido lo sapeva bene.

Che altro sapeva? Sapeva che lui e gli squali condividevano lo stesso nemico. Proprio per questo si trovava lì, immerso nell'acqua gelida. Per questo era partito per quella missione, per questo quella missione poteva riuscire.

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"Sai chi siamo," aveva detto lo squalo, restando immobile nell'acqua. "Esistevamo già nel Cretaceo e continuiamo a esistere anche oggi, nell'Antropocene. I nostri clan dominavano i mari da milioni di anni, sotto altre forme e con altri nomi, e per altri milioni di anni li domineranno, sotto ancora altre forme e con ancora altri nomi."

"Sai chi siamo," aveva risposto Guido. "Esistiamo da meno di 200.000 anni eppure abbiamo già colonizzato ogni angolo di questo pianeta. Dominiamo tutte le terre e tutte le specie, le condanniamo alla replicazione incessante per avidità o le distruggiamo per noia. E ancora domineremo, sotto la stessa forma e con lo stesso nome, finché non resterà nulla da dominare."

"So chi siete. Ci combattete da sempre, prendendoci nelle vostre reti e scannandoci per le nostre pinne dorsali. E anche noi vi combattiamo, nuotando silenziosi sotto di voi per poi emergere, azzannarvi e inebriati dal sapore del vostro sangue tirarvi giù negli abissi per divorarvi, per le vostre tenere carni."

"Sai chi siamo," aveva detto allora Guido, tremando un po' mentre guardava lo squalo fluttuare nell'acqua. "Sai chi sono io, sai per quale strada sono giunto fino a qui. I miei antenati vengono dalla culla dell'umanità, là dove in un tempo così lontano che ora sembra un sogno ha vissuto la mia madre ancestrale, la mia Eva mitocondriale. Sono un essere umano di aplogruppo H e di macroaplogruppo R. I miei antenati hanno lasciato le loro terre natali 90.000, 50.000, 30.000 anni fa e si sono spostati attraverso giungle e savane, mangiando radici e cacciando animali con armi di selce; hanno attraversato un deserto che forse allora era ancora fertile, per cui non è detto che abbiano davvero marciato senza cibo né acqua per giorni, affondando fino alle ginocchia nella sabbia bollente, ristorandosi nelle oasi lungo la via…"

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"Eppure eccoli lì stremati, decimati dalla fame e dalle malattie, che escono da questo deserto non creato come il popolo eletto prima che fosse tale e si riversano nelle piane dell'Asia, si inerpicano su per i massicci dell'Anatolia, sono profughi nel Caucaso come i Diecimila di Senofonte finché anche loro non giungono a vedere il mare, quel mare che è sempre stato il regno dei tuoi antenati. Eccoli che passano i Dardanelli su ponti di barche e zattere di fortuna e dilagano nelle pianure d'Europa. Eccoli che danno vita a civiltà e imperi, che inventano arti e alfabeti, che inquadrano il mondo nei loro schemi, che piegano la natura ai loro scopi. Ecco le loro guerre e le loro rivoluzioni industriali e i loro bambini che le alimentano scavando nudi nelle viscere della terra. Ecco vecchie e nuove tratte degli schiavi, imperi che sorgono e cadono e altri che non sono mai finiti, corse all'oro, colonizzazioni e dibattiti a Valladolid se gli indigeni abbiano o meno un'anima. Tutto prevedibile e incastonato in una rete eterna e inestricabile di implicazioni. È questo che sono, questi i miei antenati e le loro opere, questo il mio patrimonio di geni e atrocità. Capirò se non vorrai accettare la proposta che sto per farti."

"Credi di poterlo capire," aveva replicato lo squalo, sempre immobile tra le onde. "Quando non puoi capire nemmeno chi siamo o per quale strada siamo giunti fin qui, in queste acque oscure che pressano il mio corpo mentre resto immobile in intangibile levitazione come i bonzi che meditano nei templi di Lhasa, nei loro monasteri arroccati su quelle che chiamate montagne, che per voi sono fondali marini sollevatisi quando ancora non c'eravate e che continueranno a sollevarsi quando non ci sarete più. Lo sapete, l'avete intuito trovando ammoniti e trilobiti incastonati nelle rocce sedimentarie durante le vostre presuntuose ascensioni, ma non potete capire. Di fronte a quei glitch nella generazione procedurale del mondo, a quelle linee di codice mal implementate nel tessuto del reale che vi si sfilaccia intorno rivelando i bug presenti fin dal primo avviamento del programma, le vostre spiegazioni sono descrizioni di processi a cui non avete assistito. Non avete il coraggio di immaginare ciò che noi sappiamo. Avete gli occhi troppo vicini per vedere in più di una direzione. Ma noi possiamo."

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Lo squalo si era interrotto un momento. Guido sentiva soltanto lo sciaguattare delle onde intorno a lui e poteva intuire, a una ventina di centimetri più su, il rumore ritmico del suo respiro che entrava e usciva dal boccaglio. Tutti gli altri suoni, sia quelli a bordo della barca sia gli altri, quei suoni provenienti dalle profondità che aveva iniziato a sentire insieme alle parole dello squalo, ora tacevano. In quel momento, per Guido, c'erano solo i suoi occhi e quelli privi di palpebre dello squalo. Intanto, sulla barca, il Capitano e l'equipaggio trattenevano il fiato in attesa.

"Noi possiamo perché noi c'eravamo," aveva continuato lo squalo. "Nel periodo Ordoviciano, 450 milioni di anni fa, quando le terre emerse erano unite nel Gondwana. Eravamo già ovunque: gli squatinactidi quasi piatti, gli xenacantidi simili ad anguille, gli ctenacanti, gli ibodonti; e poi gli eugeneodonti con i denti a spirale, i petalodonti compressi, i menaspidi spinati. Da questi nostri antenati comuni discendiamo tutti: i gattucci e i palombi, i donnola e i martello, i cagnacci e i folletto, gli squali coccodrillo, volpe, elefante, zebra, balena e tutti gli altri che non sto a nominare perché questo elenco serve solo a farvi capire che siete stupidi e ridicoli quando pretendete di includerci tutti nella denotazione di squalo. È come se noi pretendessimo di includervi tutti nella denotazione di uomo senza tenere conto di tutte le migliaia di occasioni in cui avete cercato di ferirvi, uccidervi e soggiogarvi l'un l'altro mediando le leggi del branco in conflitti militari, politici, economici. Ma non vi giudichiamo per questo, noi facciamo lo stesso."

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Lo squalo si era fermato di nuovo, anche se solo per un attimo, e Guido aveva trattenuto il fiato, anche se solo per un attimo.

"Non sapete nulla del mondo che per un casuale e improbabile rivolgimento di eventi vi siete trovati ad abitare e dominare dopo la sparizione dei suoi precedenti proprietari. Non ne sapete nulla né riuscite a capire che presto o tardi a voi toccherà la stessa sorte, per colpa vostra o per un altro casuale e improbabile rivolgimento di eventi. Perché la storia ricalca l'elastico espandersi e contrarsi dell'universo, perché come il vostro petto si gonfia e si sgonfia ritmicamente durante la respirazione la storia è un continuo e repentino cambio di fronte, fermarsi e ripartire di tempi, cancellarsi e ridefinirsi di spazi."

"Così non sapete quasi nulla di questo mondo che siete convinti di dominare—perché credete di avere il potere di distruggerlo, perché avete il potere di distruggere voi stessi, perché con il mondo vi identificate. E così non sapete quasi nulla di noi, anche se credete di conoscerci. Non conoscete le nostre abitudini, non siete mai riusciti a penetrare la quotidianità dei nostri banchi, vi è ignota la forma di intelligenza che possediamo. Non siete nemmeno sicuri di come dormiamo, se la notte ci sdraiamo sul fondo del mare con gli occhi aperti respirando piano o se invece ci riposiamo un poco alla volta mentre continuiamo a nuotare come con il pilota automatico. Neanche di voi sapete nulla, eppure tu credi che abbiamo interessi comuni."

"Eppure credo che abbiamo interessi comuni," aveva sussurrato Guido.

Dalla luce alogena del faro puntato sull'acqua, che faceva brillare le increspature delle onde, era infine emersa di nuovo la testa di Guido. I marinai sulla barca l'avevano aiutato a risalire a bordo, mentre altri tiravano su la gabbia ora un po' più corrosa di quando l'avevano messa in acqua. Nessuno parlava. Solo allora Guido era tornato a sentire il freddo dell'acqua, il soffiare del vento, il buio della notte intorno a lui. Prima era stato come privo di un'esteriorità.

Tremando e battendo i denti per il freddo, si era tolto la muta e si era rivestito. Poi si era spostato in cabina, al chiuso, dove si era seduto. Il faro era stato spento. Il motore era stato riacceso. La barca aveva smesso di beccheggiare e aveva ripreso a muoversi, aveva fatto una larga curva e aveva puntato di nuovo verso la riva e le luci delle poche case sulla costa. Guido si era addormentato. Non sappiamo cosa abbia sognato, proprio come non sappiamo cosa sognino gli squali.

Intanto nell'oscurità degli abissi, là dove osano soltanto i cavi coassiali transoceanici stracolmi di dati che trasportano le informazioni intorno al mondo alla velocità della luce, come autostrade adagiate sui limacciosi fondali marini, gli squali avevano cominciato a fare la loro parte. Le loro file aguzze di denti avevano incominciato a mordere—migliaia e migliaia di denti, con migliaia e migliaia di altri denti dietro pronti a rimpiazzare i caduti come le migliaia e migliaia di fanti dell'Armata Rossa lanciati addosso al feldmaresciallo Paulus durante l'assedio di Stalingrado. Avevano cominciato a rodere e scalfire gli strati superficiali di polietilene, a farsi strada fino alle fibre ottiche immerse nella vaselina e racchiuse nel rame e nel policarbonato, là dove passavano i suoni e le immagini del nemico comune.

Questo brano è estratto dal romanzo in lavorazione di Mattia Salvia. Segui l'autore su Twitter.

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