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Il medico italiano che voleva curare il cancro con lo sterco di capra

Negli anni Settanta sosteneva di poter curare il cancro con un siero di sua invenzione a base di sterco e urina di capra: Liborio Bonifacio è stato il paziente zero delle bufale mediche italiane.

Probabilmente vi ricorderete la vicenda del metodo Stamina di Davide Vannoni, l'uomo che era finito al centro dell'attenzione per aver inventato una presunta cura a diverse malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson, la SLA e la malattia di Alzheimer. Nel 2013 se n'era parlato tantissimo e la pressione dei media era stata tale che, nonostante la comunità medica fosse fortemente contraria, il Parlamento aveva deciso di avviare una sperimentazione.

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Successivamente il metodo—che già il premio Nobel per la medicina Randy Schekman aveva definito "criminale"—era stato bocciato. Ma la vicenda è stata accompagnata da un sacco di discussioni sulla cura in sé, sul diritto dei malati di rifiutare le cure tradizionali in favore di altre "sperimentali" e sul modo in cui la cosiddetta "medicina ufficiale" e l'opinione pubblica si rapportano a tali metodi alternativi.

In pochi invece hanno ricordato che il caso Stamina era la fotocopia di altre vicende e che la medicina in Italia ha una lunga tradizione di sperimentazioni avviate più sulla spinta della "piazza" che sulla base di criteri realmente scientifici. Il capostipite—o, per dirla in termini medici, il "paziente zero" delle bufale mediche in Italia—è stato Liborio Bonifacio, un veterinario di Agropoli, in provincia di Salerno.

Per un breve periodo, negli anni Settanta, Bonifacio balzò agli onori delle cronache per aver inventato un siero rivoluzionario in grado di curare il cancro. Si trattava di un liquido marrone, da lui battezzato "siero di Bonifacio" e prodotto facendo sciogliere delle feci di capra in una miscela di acqua e urina dello stesso animale. Secondo Bonifacio, il siero così ottenuto sarebbe stato in grado di curare ogni tipo di cancro. L'intuizione da cui era partito era tanto semplice quanto assurda: che la capre fossero naturalmente immuni dalla malattia e che la ragione di quest'immunità fosse da ricercarsi nei loro "villi intestinali."

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Nonostante oggi sia molto poco conosciuta, la vicenda del siero di Bonifacio è stata al centro di una lunghissima polemica durata quasi vent'anni e fatta di proteste popolari, continue sperimentazioni, divieti, sequestri e mobilitazioni di piazza. Per anni, il suo inventore è stato considerato da molti un luminare "scomodo" della medicina, perseguitato da gruppi di potere a cui aveva pestato i piedi, e la sua opera ha avuto un impatto fortissimo sul mondo delle presunte cure alternative.

I flaconi del siero di Bonifacio.

In una delle sue poche interviste, rilasciata nel 1969 al settimanale Epoca, Bonifacio ha raccontato così il bizzarro esperimento che l'aveva portato a fare la sua scoperta: "Strofinavo la pelle sulla schiena [di alcune capre] pennellandola con benzopirene e ripetendo l'applicazione ogni giorno per 20 giorni l'effetto del terribile prodotto cancerogeno non tardava. Volendo essere assolutamente sicuro continuai ad applicare benzopirene su cinquanta capre appena nate per quaranta giorni. Alla fine dell'esperimento, che avrebbe ucciso qualsiasi animale adulto, i cinquanta cuccioli erano in piena salute. Il tumore non li aveva attaccati. Ho concluso quindi che la capra fosse resistente a qualsiasi tumore come altri animali sono resistenti ad altre malattie."

Dal risultato dell'esperimento, Bonifacio aveva poi concluso che somministrare un "estratto biologico di capra" potesse proteggere anche gli uomini dalla malattia. Dopo aver condotto alcuni esperimenti su cavie animali, aveva concepito il prodotto finito per l'uso sull'uomo. Il paziente avrebbe dovuto iniettarsi il siero di Bonifacio, distribuito da un fantomatico Comitato comunale per la lotta contro il cancro, ogni due giorni. A seconda del tipo di tumore da curare, anche la composizione della sostanza sarebbe dovuta variare—la miscela doveva essere a base di feci femminili in caso di sarcoma e maschili in caso di carcinoma.

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Inizialmente, l'operato del veterinario si era diffuso solo a livello locale. Man mano, anche grazie ai toni sensazionalistici con cui la stampa locale aveva affrontato l'argomento, sempre più persone avevano iniziato a recarsi ad Agropoli per ottenere il siero miracoloso. Secondo le poche fonti che narrano la vicenda, sarebbe presto nato addirittura un mercato nero della sostanza e persino false copie del siero.

La presunta cura era così arrivata a ottenere risalto anche nella stampa nazionale. Nel 1969, una raccolta fondi promossa per consentire a Bonifacio di produrre il siero per tutte le persone che lo richiedevano aveva raccolto 25 milioni di lire e l'esaltazione popolare aveva persino spinto il Ministero della Sanità ad autorizzare una sperimentazione. Quest'ultima aveva prodotto risultati deludenti: quattro pazienti erano morti e nessuno aveva mostrato miglioramenti.

Ne era seguita una vera e propria sollevazione popolare—con petizioni al Papa e richieste al governo perché acconsentisse a una nuova sperimentazione, che alla fine era stata autorizzata "per volontà popolare." L'analisi dei flaconi di siero prodotti da Bonifacio aveva mostrato che essi erano preparati in modo superficiale e inaccurato: le dosi differivano una dall'altra per composizione, venivano conservate in modo inadeguato e molte risultavano contaminate. Inoltre non contenevano altri ingredienti sconosciuti o segreti: solo feci e urina di capra e acqua.

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Nonostante questo, nel marzo 1970 il Ministero della Sanità aveva deciso di avviare una seconda sperimentazione. Intanto, Bonifacio aveva pubblicato un libro, La mia lotta contro il cancro, in cui raccontava la genesi del suo metodo e i documentava i risultati ottenuti. Oggi il testo è praticamente introvabile; su Ebay, una copia è in vendita a 120 euro.

La copertina del libro di Liborio Bonifacio. Grab

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Anche durante questa nuova fase di sperimentazione non si erano verificate guarigioni né miglioramenti, ma solo qualche blando "miglioramento della qualità della vita" forse imputabile all'effetto placebo. Quattro pazienti erano morti durante la sperimentazione.

L'analisi delle "cartelle cliniche" dei pazienti che Bonifacio diceva di aver curato aveva poi rivelato come queste fossero completamente inconsistenti, non contenendo diagnosi né documentazione specifica sui singoli casi presi in esame. Nella sua dichiarazione finale, la commissione scientifica incaricata di esaminare il caso era arrivata ad affermare che "risulta chiaro che il prodotto […] non presenta nessuna azione curativa sul cancro, non cambia la sintomatologia e non esercita effetti benefici sulle condizioni del paziente."

"Dalle analisi effettuate dall'Istituto superiore della sanità," proseguiva poi la dichiarazione della commissione, "risulta che il prodotto in esame consiste in un estratto acquoso contenente tracce di proteine diluite in soluzione di glucosio […] basandoci su quanto scritto, non è possibile definire il prodotto come 'siero'. La sostanza non è costante nella sua fabbricazione e nel confezionamento. Il ministero ha rilevato che le fiale sono state preparate e chiuse a mano, una tecnica che rende facile la contaminazione anche del singolo flacone."

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Il rapporto finale della Comissione Bonifacio, citato dalla American Cancer Society. Grab

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Queste bocciature avrebbero dovuto mettere fine una volta per tutte alla vicenda del siero di Bonifacio. E in effetti il fenomeno si era sgonfiato ed era tornato ad avere una dimensione locale, per poi tornare improvvisamente d'attualità negli anni Ottanta, quando i ricercatori siciliani Giuseppe Zora e Anna Tarantino avevano annunciato a un congresso di aver ottenuto grandi risultati nella cura di tumori su cavie in laboratorio utilizzando una versione migliorata del siero di Bonifacio—denominata "Immuno modulante biologico" o IMB.

"Scoprimmo che qualche effetto antitumorali sulle cavie malate lo aveva," ha detto il dott. Zora anni dopo, intervistato da il Giornale. "[L'anno dopo] illustrai i risultati di quella ricerca in un convegno a Saturnia. Fu la fine. Tutto ciò che mia moglie e io avevamo fatto sino a quel momento non valeva più niente."

Code fuori dal locale di Roma dove Zora distribuiva il siero di Bonifacio nel 1982

Di nuovo, la questione era tornata al centro del dibattito italiano, amplificata dai media che si prestarono alla campagna per la cura portata avanti da Zora e Tarantino. Il Partito Radicale aveva chiesto alla Camera di avviare una nuova sperimentazione "in nome della volontà dei malati," mentre alcuni esponenti di PSI, DC e MSI avevano cercato di "fare luce sulla congiura baronale contro Bonifacio." Alla fine, nonostante fosse stata istituita una nuova commissione, non se n'era più fatto nulla. Nel maggio 1982, Bonifacio aveva annunciato di volersi ritirare a vita privata. Sarebbe morto un anno dopo.

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Dopo la sua scomparsa, il figlio Leonardo ha deciso di proseguire l'opera del padre e iniziato uno sciopero della fame di fronte a Montecitorio per ottenere l'autorizzazione a distribuire il siero. Ma a raccogliere davvero il testimone di Bonifacio è stato Giuseppe Zora—che l'aveva conosciuto di persona e lo considerava "il padre dell'immunologia biologica," e che per tutti gli anni Ottanta ha portato avanti la battaglia in favore del metodo.

"Quando Bonifacio nel 1982, ormai prossimo alla morte, smise di distribuire il suo siero, c'erano queste migliaia di malati che non sapevano dove sbattere la testa. […] Iniziai a darglielo [IMB, la sua variante del siero Bonifacio] in un locale del quartiere Testaccio, a Roma. Arrivarono i carabinieri. Una settimana dopo ero in piazza San Pietro. Migliaia di pazienti sulla gradinata, tre ore a dispensare fiale, con i gendarmi vaticani che osservavano a debita distanza, senza intervenire," ha raccontato Zora.

Riparato in Vaticano, Zora aveva iniziato a distribuire la sua variante del siero sul sagrato della Basilica di Santa Maria in Trastevere. "Lì ci rechiamo due volte al mese e troviamo ad attenderci centinaia di persone deluse dai risultati della cosiddetta medicina ufficiale," aveva dichiarato Zora in una vecchia intervista a Repubblica. "Dal 1975 ad oggi abbiamo trattato 9mila pazienti, tutti volontari. In molti casi il tumore è stato bloccato e le persone hanno potuto continuare regolarmente la loro vita."

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Un articolo dell'Unità del 1985. Grab

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Il clamore mediatico suscitato dalle dichiarazioni e dall'operato di Zora aveva anche spinto il prefetto di Salerno ad autorizzare la distribuzione del siero di Bonifacio presso la Usl di Agropoli. "La notizia, subito trapelata, ha sollecitato centinaia di famigliari di ammalati di cancro a rivolgersi, in un ultimo disperato tentativo, alle autorità cittadine di Agropoli per ricevere il siero. Decine di persone hanno preso alloggio da qualche giorno negli alberghi della costiera e centinaia di telefonate ogni giorno chiedono […] il presunto farmaco anticancro," si legge in un articolo di Repubblica di quel periodo. Alla fine, nel 1987, il Ministro della Sanità ha ordinato il sequestro del siero e di impedirne la distribuzione.

Nonostante questo, però, il siero di Bonifacio è riuscito in qualche modo a sopravvivere. Dopo aver subito diversi procedimenti penali ed essere riparto in Svizzera, infatti, Zora ha brevettato il metodo di preparazione della sua variante del siero e ha ceduto il brevetto a un'azienda farmaceutica di Berna. Oggi, la sua versione migliorata del siero di Bonifacio è in vendita come farmaco omeopatico con il nome commerciale di Adjuvant plus.

Il dott. Giovanni Zora (a destra) somministra il siero di Bonifacio a un paziente

Nei luoghi in cui ha vissuto e lavorato, Liborio Bonifacio è tuttora venerato come un eroe e un luminare della medicina. Il suo paese di nascita, Montallegro, gli ha dedicato una via, e il comune di Agropoli un parco pubblico. Anche nella cultura popolare il suo ricordo è tuttora vivo, visto che nel 2010 due medici di Firenze sono stati accusati di aver somministrato a decine di pazienti un farmaco a base di cortisone (il Kenacort) rimuovendo l'etichetta delle fiale e spacciandolo per il siero di Bonifacio.

Tutto questo fa pensare che forse, più che medica, la vera eredità di Liborio Bonifacio sia culturale. Il suo è stato il primo caso in cui le autorità preposte a tutelare la salute pubblica sono state tenute praticamente in ostaggio dalla "volontà popolare" e costrette a dare credito a un uomo che agiva secondo metodi letteralmente medievali—secondo Zora, Bonifacio si rifaceva agli "studi condotti nell'anno Mille dalla fiorente scuola medica di Salerno, che guariva le malformazioni cutanee con una concrezione di feci caprine chiamata belzoar."

Anche per questo, la dinamica e l'evoluzione della sua vicenda, simili a quelle di altri casi di cronaca più recenti, dimostrano come il siero di Bonifacio abbia aperto la strada in tempi non troppo lontani a un vero e proprio filone fatto di santoni, guaritori e terapie miracolose osteggiate dalla "medicina ufficiale"—un filone che ancora oggi è tanto radicato e influente quanto pericoloso.

Salvo dove diversamente specificato, tutte le immagini presenti nell'articolo sono tratte dall'archivio storico de l'Unità, contenente immagini utilizzate dal 1924 a oggi per la pubblicazione del quotidiano e pubblicate al solo fine di divulgazione di un importante patrimonio storico culturale del nostro paese. Di alcune di queste foto non è certa la titolarità, pertanto, invitiamo gli interessati a segnalare ogni eventuale diritto sulle immagini.

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