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Se vedi 'immigrati' dappertutto hai un bel problema di percezione della realtà

Secondo una ricerca dell'Istituto Cattaneo, gli italiani pensano che gli stranieri residenti in Italia siano più del triplo rispetto alla realtà.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
Collage dell'autore.

Cosa succede quando per decenni parli di “invasione,” pur senza dati a supporto, e tutti ti riprendono senza farsi troppe domande? Cosa succede quando per decenni rafforzi un nesso inscindibile tra immigrazione e criminalità, focalizzandoti solo ed esclusivamente su tutti i crimini degli immigrati? E cosa succede quando parli di un fenomeno complesso e sfaccettato attraverso un’unica lente, bombardando chi ti ascolta con frasi fatte e stereotipi?

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La risposta è contenuta in una ricerca dell’Istituto Cattaneo pubblicata di recente, ed è la seguente: crei un'enorme sproporzione tra realtà e percezione; e questo divario viene ulteriormente allargato dalle forze politiche che hanno tutti gli interessi a distorcere il più possibile il fenomeno migratorio.

Il paper di Marco Valbruzzi, intitolato “Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione,” restituisce infatti un quadro—anche a livello europeo—piuttosto impietoso. Il dato più significativo che emerge dall'analisi dell'ultimo Eurobarometro è che, di fronte al 7,2 percento di immigrati presenti “realmente” negli stati europei, gli intervistati ne stimano spesso molti di più. Nel caso dell’Italia, il distacco è quello più ampio: si parla di una sovrastima del 17,4 percento rispetto al dato reale (che quantifica la percentuale di immigrati percepita in un 25 percento).

In altre parole, in media gli italiani intervistati pensano che le persone nate fuori dai confini UE e che risiedono legalmente in Italia—ovvero il 7, mentre volendo conteggiare gli "irregolari" si salirebbe di un paio di punti percentuali—siano più del triplo rispetto alla realtà.

Un simile dato, tra l’altro, è in linea con varie ricerche pubblicate negli ultimi anni. Nello studio Perils of perception 2015 stilato dalla società di rilevazione Ipsos Mori, ad esempio, emerge che gli italiani interpellati sovrastimino di 17 punti percentuali l’incidenza dei migranti sulla popolazione.

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Un risultato simile lo restituisce il rapporto Eurispes 2018 sull’Italia. “Più della metà del campione, al contrario, sovrastima la presenza di immigrati nel nostro Paese: per il 35 percento si tratterebbe del 16 percento, per ben il 25,4 percento addirittura del 24 percento (un residente su quattro, a loro avviso, sarebbe non italiano).”

Valbruzzi prova a individuare un paio di cause che stanno dietro questa distorsione. Anzitutto, l’errata stima sulla presenza degli immigrati “potrebbe derivare anche da pregiudizi radicati negli elettori che ne condizionano ex ante ogni valutazione.” In altre parole: chi è contrario, per principio, all’immigrazione è indotto a “ingigantire la portata del fenomeno oppure a giustificare il proprio atteggiamento in virtù di una percezione distorta della questione.” Non a caso, lo scarto è maggiore tra chi si definisce di destra o centrodestra: la percezione schizza al 32,4 percento.

Oltre al fattore politico, c’è quello legato all’istruzione. Per chi non è andato oltre la scuola dell’obbligo, l’immigrazione percepita supera il 28 percento; per chi ha un diploma si attesta sul 25,6 percento; e per chi ha una laurea, al 17,9 percento.

Poi, secondo Valbruzzi, conta anche l’occupazione degli intervistati. I lavoratori appartenenti alle classi medio-alte sottostimano di circa 5 punti percentuali—rispetto al valore medio del campione italiano, cioè appunto il 25 percento—la presenza di immigrati in Italia; mentre quelli che appartengono alla classe operaia specializzata e non specializzata, sovrastimano di 3 punti, oltrepassando il 28 percento.

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Anche la collocazione geografica e urbana gioca un ruolo importante. La percezione sulla diffusione dell’immigrazione è “maggiore nelle grandi città rispetto ai piccoli comuni o alle aree rurali”—un dato che rispecchia la realtà: l’immigrazione in Italia è infatti “maggiormente concentrata nelle grandi metropoli e tendenzialmente più diluita nei piccoli paesi lontani dai centri urbani.”

Infine, si rilevano anche la (scarsa) informazione sul tema e le campagne di comunicazione politica—che sappiamo essere particolarmente ossessive e martellanti. Il racconto che si fa dell’immigrazione in Italia è praticamente sempre lo stesso almeno dagli anni Ottanta. Secondo gli autori del saggio Tracciare confini, “i media italiani sembrano essere totalmente schiacciati sull’aspetto deviante, o meglio sul rapporto tra devianza e necessità della norma e del controllo, tra pericoli dell’arrivo e necessità di ristabilire il rigore della legge, di ripristinare l’ordine.”

Secondo il quinto rapporto annuale dell’associazione Carta di Roma, Notizie da paura, il monitoraggio della stampa italiana nel 2017 ha consegnato l’immagine di organi di informazione focalizzati principalmente su “criminalità e sicurezza” e “flussi migratori.” Il tutto con uno stile all’insegna dell’“accusa ‘strillata’ che amplifica i rancori e oscura la pacatezza dei toni,” e di “associazioni negative sempre meno involontarie […]: immigrazione e violenza, immigrazione e radicalismo religioso, immigrazione e povertà.”

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I media italiani, si legge in Tracciare confini, hanno così deciso di farsi “interpreti del tentativo di tradurre in consenso politico-elettorale i crescenti sentimenti di insicurezza dell’opinione pubblica e di paura nei confronti dell’Altro, che in altri paesi europei si deve soprattutto all’iniziativa dei movimenti politici populisti.”

L’alterazione della dimensione quantitativa del fenomeno—fotografata, come visto, da varie ricerche—è anche strettamente connessa alla “deformazione della percezione sociale” che alimenta una vera e propria “sindrome da assedio.” E i dati riportati nel paper dell’Istituto Cattaneo parlano chiaro: “l’opinione degli italiani è decisamente più negativa [ di quella di altri europei] nei confronti dell’immigrazione e dei loro eventuali benefici per l’economia o la società.”

Come si vede, insomma, dietro a questa distorsione—la più grande in Europa—c’è un mix perverso di fattori che si intrecciano e influenzano a vicenda, provocando però effetti assolutamente concreti. Dopotutto, come recita il teorema di Thomas, “se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze.”

E in effetti, stando a quanto ha recentemente scritto il sociologo Stefano Allievi, “non viviamo di statistiche, ma di emozioni. […] L’invasione può anche non esserci, ma se io penso che ci sia, c’è. E i partiti che strumentalizzano la questione per fini elettorali lo sanno benissimo: sono gli altri che non l’hanno capito.”

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