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Politică

Perché l'incontro tra Salvini e Orban non ha niente di normale

Il premier ungherese Viktor Orbán è il nuovo migliore amico di Salvini, e la cosa non rassicura nessuno. A partire dall'incontro di oggi.
Immagine via Twitter.

L’ammirazione di Matteo Salvini per il premier ungherese Viktor Orbán è cosa nota, ed è stata ribadita anche oggi, nel giorno del suo tête-à-tête con il campione del populismo europeo. Il loro rapporto, che la stampa straniera legge come una sorta di legame maestro-allievo, è iniziato a giugno con quella “telefonata cordiale,” con la quale—stando a Salvini—i due hanno concordato di lavorare insieme “per cambiare le regole dell’Unione Europea.”

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Oggi finalmente si incontreranno di persona. Per Salvini sarà l’occasione di imparare da un proprio modello politico (strappando a Berlusconi il ruolo di migliore amico di Orbán in Italia), ma anche di stringere un’alleanza importante per legittimare il proprio progetto di governo. Per Viktor Orbán, invece, si tratterà del primo meeting dopo la pausa estiva, un’anticipazione e un riscaldamento per i prossimi colloqui che lo attendono: Erdoğan e Vladimir Putin.

Tolti i due interessati, l’incontro di oggi preoccupa un po’ tutti, compresi i partner di governo dei Cinque Stelle, che continuano a ribadire la natura “non istituzionale” ma “politica” del colloquio. Qualcuno, timidamente, osserva che proprio la vicinanza di vedute in tema di immigrazione rende l’Ungheria un partner poco appetibile, visto che non è intenzionata a sobbarcarsi nemmeno una minima percentuale dei migranti che arrivano e continueranno ad arrivare.

Ci si domanda poi quanto sia importante una partnership commerciale con un paese piccolo e che cresce a un ritmo nettamente inferiore rispetto agli altri del gruppo Visegrad (che comprende Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). Poi certo, c’è anche il fatto che il governo ungherese è illiberale, apertamente xenofobo e tra i più corrotti in Europa.

Ma mentre alcune organizzazioni di sinistra lanciano un presidio di protesta, Salvini va avanti per la sua strada. Nemmeno le ragionevoli obiezioni sulla (non)redistribuzione dei migranti lo preoccupano: per il momento è importante continuare a far credere che un’Europa a chiusura ermetica sia possibile. E concentrarsi sulla sua affinità elettiva con il premier ungherese.

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Per Salvini quest’identità di vedute è infatti importantissima: serve a dimostrare di non essere (parole sue) “un Giamburrasca xenofobo e razzista,” ma un leader autorevole che dialoga con altri leader autorevoli che condividono la sua visione. Che poi è la visione rossobruna che culla tutti i leader dell’estrema destra xenofoba: stati indipendenti, sovrani, nazionalisti e identitari, la cui formula è la “democrazia autoritaria” sul modello ungherese o russo. Perché le democrazie liberali, quelle dell’Europa unita, della libera circolazione e dei diritti civili, hanno fatto il loro tempo e i loro danni, indebolendo il controllo centrale dello stato ed esponendo i paesi a pericolose contaminazioni culturali esterne (“I migranti distruggeranno la nostra cultura e le nostre radici religiose,” ha detto Orbán in uno dei suoi discorsi più famosi).

Il nemico numero uno di questo modello è “l’ideologia liberale,” identificata ormai da tempo con il milionario e filantropo di origine ungheresi George Soros, incarnazione definitiva dei poteri forti che tiranneggiano i popoli sovrani a vantaggio dei migranti (su cui comunque speculano). E nella propaganda anti-Soros Orbán è un campione: dopo aver rifiutato le disposizione UE in materia di ridistribuzione dei migranti, con il pacchetto di leggi dette appunto “anti-Soros" è riuscito a imporre tasse proibitive sulle organizzazioni che si occupano di accoglienza, di fatto impedendone l’azione su suolo ungherese. Come non farne un modello?

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Anche i suoi provvedimenti minori sono dei piccoli capolavori. Ce n’è uno per esempio che vieta ai senzatetto di dormire nei luoghi pubblici—in quelli privati, come è ovvio, è già vietato ovunque—il che significa, di fatto, criminalizzare la loro stessa esistenza. Per non parlare del muro con il confine serbo, le leggi contro i gay e le coppie di fatto, la pena di un anno di carcere per chiunque aiuti un migrante, la magistratura messa sotto il controllo dell’esecutivo così come la stampa e le televisioni.

La grandeur salviniana non può che esserne solleticata. E avere l’Ungheria dalla propria parte alle prossime elezioni europee, alle quali Salvini spera di presentarsi forte della sua “Lega delle Leghe"—cioè un’alleanza di partiti nazionalisti europei—sarebbe certamente un bel colpo.

L’obiettivo però non è così semplice. Nei confronti dell’Europa Orbán ha una posizione chiarissima e ambigua al tempo stesso. “È bravo a essere rivoluzionario quando parla al proprio pubblico, ma al Consiglio europeo segue la corrente,” dice Péter Krekó, direttore del Political Capital Institute di Budapest. Da una parte ci va giù pesante, rifiuta i migranti e dice cose come “L’Unione europea vuole azzerare la nostra identità.” Dall’altra però non vuole rinunciare ai fondi UE ed è preoccupato per i negoziati sul nuovo budget che ridefinirà la distribuzione delle risorse.

Di fatto, il premier ungherese (come altri leader "sovranisti") non sembra intenzionato a lasciare il Partito Popolare Europeo, del quale la sua formazione Fidesz fa parte. E l’amicizia dimostrata a Salvini potrebbe essere un modo per mettere le mani avanti mostrando che, nel caso non fossero più i benvoluti nel Ppe, lui e il suo partito avrebbero comunque dei nuovi alleati con cui fare fronte comune.

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L’alleanza tra i due leader e il progetto della Lega delle Leghe vanno quindi ridimensionati. E allora, perché questo incontro è così preoccupante ed è seguito con tanta attenzione? Perché ci dice molto su quello che ci aspetta nei prossimi mesi.

Lo spostamento dell’asse politico italiano da Ovest a Est, cioè da Parigi e Berlino ai paesi di Visegrad, non è cosa da poco. Se l’incontro di oggi sarà decisivo o no poco importa: la direzione è chiara e la bussola punta verso Mosca. La Lega ci lavora già da tempo, come dimostra l’accordo firmato nel 2017 con il partito di Putin, Russia Unita, che sancisce un “partenariato paritario e confidenziale,” che si concretizza in un “ampio scambio di informazioni”, con convegni, seminari e incontri. E come ha confermato il report 2015 del Capital Institute di Budapest, che ha studiato e documentato i rapporti tra Russia e partiti dell’estrema destra europea, tra cui la Lega Nord.

Cosa spinge Putin a creare questi legami? Secondo Krekò, la risposta è semplice: vuole destabilizzare l’Unione Europea. Gli alleati populisti servono per chiedere con voce più forte la fine delle sanzioni alla Russia, ma soprattutto fanno comodo perché un’Europa disarticolata, fatta di singole nazioni e priva di un organo collettivo forte, è molto più conveniente per la propria politica, e in particolare per ricreare la sfera d’influenza dell’Unione Sovietica.

L’incontro di oggi, però, ci dice molto anche su ciò che Salvini ha in mente sul fronte interno. Innanzitutto, incolpare l’Europa, che servirà come capro espiatorio per le misure economiche deludenti e le promesse non mantenute. Interessi, spread, fughe di capitali stranieri non saranno un suo problema, perché l’obiettivo più probabile è creare una crisi di governo e tornare alle elezioni, magari in tempo per abbinare le politiche alle europee di maggio. Il risultato, nelle sue intenzioni, è naturalmente un Salvini premier che costruisce indisturbato la sua democrazia autoritaria.

Ci sono però un paio di cose importanti su cui Orbán può contare e Salvini no: la magistratura sottoposta al controllo dell’esecutivo e la “legge bavaglio” del 2010. Quest’ultima è in pratica una riforma del sistema di comunicazione che mette tutti gli organi di informazione (siti internet compresi) sotto un rigido controllo statale. La norma, insieme alle tasse proibitive sugli organi di stampa liberi e agli investimenti massicci di fondi statali nei media filo-governativi, ha portato a un controllo quasi totale dell’informazione.

In Italia, per fortuna, la situazione è diversa: la magistratura è indipendente, i pubblici ministeri sono liberi di agire, i giornali sono molto critici nei suoi confronti e l’unico tentativo fatto per controllare le emittenti televisive (Marcello Foa alla Rai) è fallito. Certo, Salvini è fortissimo sui social: veloci, facili da capire, arroganti e volatili, i post su Facebook e Twitter sono il suo pane. E in questo campo, forse, potrebbe essere il suo staff a dare lezioni di populismo a Orbán. Ma può davvero bastare?