Il Pagante Movement Festival
L'autrice con Il Pagante.

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Musica

Ho fatto serata al Movement con Il Pagante

Eddy, Federica e Roberta sono stati re e regine della notte di Torino anche senza sbocciare Belvedere.
Carlotta Sisti
Milan, IT

L’autunno è la stagione ideale per svariate cose, tra cui Pinterest, gli sbalzi d’umore, le cimici, i funghi fritti e i festival di musica elettronica a Torino. Non a caccia di cimici ma di dancefloor sfrenati, la rubrica Concertini è planata per la prima volta nel capoluogo piemontese su invito del Movement, ovvero l’happening che il 12 e il 13 ottobre ha scassato per bene la pista del Lingotto Fiere.

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La line up, che ha raccolto nell’area industriale tornese più di 20 mila persone, era di quella da fendenti pesanti: da Nina Kraviz a Jon Hopkins fino a Solomun, Ilario Alicante, Ellen Alien e Charlotte De Witte, e con l’unicum del live di Cosmo, questa tredicesima edizione ha da subito mostrato di voler essere quella della svolta da festival per ragazzini a evento di più ampio respiro, portatore di una raffinatezza comunque sposata alla casa del party. In questo luna park, dunque, tutto led walls, laser, accenni di hakken e bassi profondi, i miei ospiti sono stati i ragazzi de Il Pagante che (e da appassionati del food porn quali sono apprezzeranno il paragone) stavano alla situazione come solo i grissini nella nutella.

Eddy, Roberta e Federica, che con il loro nuovo album Paninaro 2.0 hanno accompagnato il mio viaggio in BlaBlaCar fino a Torino, sono dei ragazzi molto semplici, che della loro maschera artistica sborona nella vita vera non hanno nulla. Poco interessati all’open bar e molto più agli show, sono andati ad acqua, mentre su altri fronti “non paganti” la faccenda vodka tonic andava rapidamente sfuggendo di mano. Un po’ perché l’ospitalità dell’ufficio stampa di Movement, sommata a quella di Pioneer DJ (tra gli sponsor dell’evento) ci ha spinti in zona rossa già intorno alle undici di sera, un po’ perché più o meno tutte le voci che girano intorno ai backstage e ai giornalisti sono fondate, sta di fatto che nemmeno a mezzanotte una manciata di noi era già quasi in ginocchio.

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A salvarci, a quel punto, è stato Mister Jon Hopkins, che ho avuto l'onore di ascoltare da lato palco in compagnia, tra gli altri, di Samuel dei Subsonica. Voi magari direte “sticazzi”, ma dato che è uno dei miei DJ preferiti di sempre vi volevo dire che è stato totale e che no, non è per niente vero che certi live è bello vederli nella mischia: è molto meglio vederli senza essere costretti a mischiare liquidi corporei con sconosciuti, senza essere presi a sberle da uno zainetto, senza fingere di non guardare compulsivamente le uscite di sicurezza.

Ma usciamo da questa lunga parentesi attizza-haters, e torniamo ai miei ospiti che, dopo le botte di adrenalina della scorsa puntata, hanno portato nuovamente lo sciallo (“tutti pensano", mi ha detto Federica, "che siamo degli sfascioni, invece non facciamo niente, non ci droghiamo, beviamo poco”) nella rubrica di Noisey più apprezzata nei backstage. Quelli de Il Pagante, mi hanno spiegato mentre attraversano l’immensa sala principale del Lingotto Fiere, non erano né mai stati a Movement né avevano mai visto Cosmo (previsto da timetable per le 21, “ma vedrai che sarà tutto slittato avanti di mezz’ora”, pensiero generale, e invece alle 21.05 era sul palco, in quella che si è dimostrata essere un’organizzazione svizzera dei tempi e degli spazi di un festival). Ma soprattutto mi hanno parlato di sessismo nella musica in Italia, dei grandi fraintendimenti che la loro parodia delle cose ha sempre creato, di quanto lavoro c’è dietro alla loro musica e di tanto altro, compresa la paura di invecchiare, argomento che mi vede in prima linea di battaglia, in tenuta da braveheart e con uno scalpo in mano.

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il pagante movement torino

Noisey: Cari Paganti, partiamo, com’è tradizione, da Movement: che ve ne pare, come primo impatto?
Roberta: Io non ero mai stata qui al Lingotto Fiere, ma trovo che sia una location pazzesca. Cosmo, di cui sono grande fan, anche se è partito presto, è stato comunque una bomba e ha caricato la gente a mille.
Federica: Concordo, location molto figa, Cosmo bravissimo, anzi: non pensavo fosse un artista così completo.

Eravate, specie tu Eddy, abbastanza in trance durante l’esibizione di Marco: che cosa vi ha colpiti?
Eddy: Ovviamente quando ci capita di andare a eventi musicali di questo tipo, non siamo mai semplici spettatori. Si va sempre con un occhio attento sui dettagli, sulle scenografie, si cerca di prendere spunto, anche se i generi sono distanti. Anche a me Cosmo piace parecchio, e stasera mi ha colpito per precisione mista a energia, una bella combo.

Vi capita di più all’estero di bazzicare festival o serate di elettronica?
R: Sì, io sono stata per quattro anni di fila all’Ultra Music Festival di Miami, che è quello più vicino al genere che facciamo, o meglio che facevamo, visto che in Paninaro 2.0 ci siamo parecchio evoluti. Comunque, Miami è una città incredibile, e piazzarci nel bel mezzo del centro, tutto grattacieli, un festival di elettronica è davvero wow, quindi quello rimane il mio preferito.

Ci sono ancora cose molto diverse tra Italia ed estero a livello di grandi eventi musicali?
R: Io sono rimasta molto colpita da come Ultra fosse ordinato, con la gente presa bene, carica per la musica, senza o con pochissime risse. Ecco, questa è una cosa che, purtroppo, da italiana all’estero noto parecchio. Non so spiegare il perché, ma è più facile che in Italia i mega eventi creino situazione di tensione, mentre da altre parti, vedi nord Europa o America, molto meno.

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Roberta prima ha accennato al cambiamento di sonorità, e in effetti in Paninaro 2.0 c’è una bella ricerca e una bella varietà di suoni ed ispirazioni: come ci avete lavorato?
E: Ci siamo presi sei mesi di tempo per fare un lavoro più curato possibile. Poi, di norma, noi cerchiamo sempre di fare un mix tra i nostri gusti e le tendenze del momento, finendo con il trovare una sorta di equilibrio tra quello che piace a noi e quello che vogliono, ora, sia il pubblico che le radio. Quindi c’è sia il pop, il peso da radio generalista, che il pezzo sperimentale, che è più nostro, ma che, per fortuna, è piaciuto molto al pubblico.

Come si lavora a un disco quando si è in tre?
E: All’inizio, quando decidiamo che è il momento di metterci all’opera, facciamo un tot di riunioni, per buttare giù le idee, dopodiché io mi metto a scrivere, in base a quello che ci siamo detti, tutto quanto, da zero. Poi vengono le parti corali, di ricerca degli artisti con cui fare i featuring, per esempio.

E in questo album, dalla MYSS ai Gemelli Diversi fino a Emis Killa, ce ne sono tantissime: li avete cercati o vi hanno cercati?
R: Beh, quello con MYSS KETA è stato una sorta di passaggio naturale per entrambi: sapevamo che doveva accadere perché siamo “animali” simili. Per gli altri, invece, una volta che il pezzo era pronto ci siamo messi noi a ragionare su chi potesse essere il personaggio da abbinargli, in base a sonorità e ai temi trattati. Quindi Madman per “Dam” ci è sembrato, guarda un po’, il più adatto, perché ha sempre parlato di marijuana; Shade, che è un nostro amico, l’abbiamo trovato perfetto per parlare di un argomento particolare, che è il cibo.
F: Con Emis, ovviamente, abbiamo fatto “Il mezzo”, perché con uno zarro come lui, che la prima volta che ha lavorato con noi (per il video di "Ultimo") è entrato direttamente in booster in studio, che cos’altro avremmo potuto fare?
E: Per MYSS KETA, che fa un genere più underground e più cupo del nostro, che è più commerciale, ci siamo venuti incontro, trovandoci sulla techno. In “Adoro” noi siamo diventati più dark e lei è diventata più veloce a livello di bpm.
F: E sì, tutti i messaggi vocali che ci sono nel pezzo sono veri.

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Fin dall’inizio vi siete riferiti, facendone parodia, a un contesto milanese. Ma che città è per voi, oggi, Milano?
F: Credo che su Milano le opinioni siano molteplici, è una città divisiva, che fa dibattito. Io, invece, ho un’opinione netta: credo che sia l’unica città italiana all’avanguardia, in grado di competere con le capitali europee ma non solo, e ti dico la verità, non ci trovo difetti in questo momento.
E: Io penso che ti dia tutto quello che ti serve, fino a darti troppo, fino ad esagerare, fino a farti desiderare, a volte, di vivere in un luogo più tranquillo.

Nel senso che le cose vanno troppo veloci, anche nel mondo della musica?
R: Sì, Milano va fortissimo e oggi anche la musica ha triplicato la velocità. Se ci pensi, prima le canzoni uscivano ogni tot, mentre ormai ogni venerdì c’è una cosa grossa nuova, che magari può diventare la hit. Certo, poi uno cerca e spera di fare qualcosa di diverso, visto che una delle tendenze più marcate è il fatto che in tanti cantino allo stesso modo, usino gli stessi suoni, ma il ritmo è cresciuto in modo impressionante.

jon hopkins movement torino

L'autrice e Jon Hopkins.

Quanto è rischioso, in Italia, cavalcare nella musica l’onda dell’ironia e della presa in giro?
E: Moltissimo. Specialmente all’inizio la chiave di lettura ironica non veniva capita, non che adesso la si colga sempre, però…
F: Però va molto meglio! Il fatto è che la gente dovrebbe stare più attenta ai dettagli, perché noi de Il Pagante siamo, specie nei video, quasi maniacali nel voler mettere le giuste frecciatine, i riferimenti che lascino intuire il mood della cosa, quindi basterebbe non fermarsi ai titoli dei pezzi, ecco. Non dorrebbe esserci bisogno di spiegoni che dicano “occhio, questa cosa è altamente ironica”. Sarebbe come se a un comico chiedessi di spiegarti la barzelletta, dai.
E: Poi, con l’esperienza e dagli errori commessi in passato, abbiamo anche capito come arrivare più dritti al messaggio vero, satirico e ironico. Ma non è semplice, lo sa bene anche la MYSS.

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Come si è evoluto il paninaro fino a diventare paninaro 2.0?
E: Innanzi tutto a breve uscirà un nostro shooting, dove ve lo faremo proprio vedere, questo cambiamento. Poi, il paninaro 2.0 ha cambiato slang, anche se deriva sempre dallo slang anni Ottanta.
F: Sono cambiati i luoghi d’incontro, la moda, i brand, anche se alcuni tipici degli anni 80-90 sono tornati di brutto.
R: Vero. Mia sorella era una paninara e mi ha sempre raccontato di quel mondo là come una roba assurda e super, e sia lei che i suoi amici, che sono tutti intorno ai 45, mi danno proprio l’idea di non voler invecchiare, ma perché si sentono giovani.

La voglia di non invecchiare fa sì che ai vostri concerti ci siano persone grandi?
R: Sì, ci è capitato spessissimo di avere ai nostri show e anche agli instore dei 30enni e a noi fa super strano, però è anche una figata. Poi, grazie al cielo, noi in realtà non abbiamo un pubblico troppo piccolo, perché Il Pagante è da capire e se sei più grande è più facile tu capisca che cosa vogliamo dire veramente.

Pensate sia corretto dire che, tra virgolette, in quello che fate ci sia anche un po’ di critica sociale?
E: Sì, assolutamente, e manco troppo tra virgolette. Noi vogliamo sottolineare delle cose che accadono in Italia, e non ci sono molti artisti che hanno, diciamo, il coraggio di farlo. Rompiamo dei tabù, parliamo di cose spinte, mentre tutti parlano o d’amore o di canne.

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Un grande tabù che permane oggi?
R: La marijuana in Italia è un tabù, e me ne sono accorta davvero quando sono stata in California la prima volta. Qui si fa fatica anche solo a parlarne, siamo indietro mille anni, sembra che sia una cosa gravissima, i genitori ne sono terrorizzati.

C’è qualche artista italiano uscito negli ultimi due-tre anni che vi ha colpito?
E: Sì, nel mondo indie sì, perché nella trap oltre all’immagine non c’è nessun tipo di messaggio, quindi faccio fatica a rimanere colpito. Artisti come Calcutta o come Tommaso Paradiso, invece, scrivono benissimo, hanno tanto da dire, tanto da trasmettere, li apprezzo molto.
R: A me piacciono anche tanto Carl Brave e Franco126. Mi piace quel loro modo di raccontare il quotidiano così pieno di romanità, ma allo stesso tempo emozionante anche per me che sono milanese. Parlano dei locali, delle birre bevute al bar, delle vie di Roma, come facevamo anche noi all’inizio con Milano.

Bello anche che si siano azzerate le distanze tra Roma e Milano.
Federica e Roberta insieme: Sì, basta!
F: Siamo diversi ma simili, quel fatto di trovarsi, pur vivendo in una grande città, sempre negli stessi posti, come fosse un po’ un paesino, ci accomuna.

Quindi confermate quello che dicono altri artisti italiani, che questo è il momento del supporto più che della competizione?
E: Oddio, secondo me invece quella è una cosa finta. Sono pochi quelli che vogliono davvero il bene dell’altro, dietro spesso c’è un velo di invidia che uno non vuol far trasparire. Quindi dico che forse oggi va meglio, ma non mi sbilancio.
R: Noi siamo apertamente per il supporto. Anche se facciamo musica, per esempio, postiamo spesso le canzoni di altri artisti che ci piacciono, perché la musica se è bella va condivisa. Io non nascondo mai di essere super fan di altri che fanno anche musica simile alla nostra, alla faccia dell’invidia, che è una roba brutta.

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Visto che siete fatti per 2/3 di donne, vi chiedo un’opinione sul sessismo nella musica in Italia: pensate sia un problema o no?
R: Diciamo che in Italia di sicuro sono più i maschi che le femmine a fare successo, e questo è un dato. Poi, però, ci sono pure casi di successi clamorosi da parte di donne. Ti dico, per citarne una, Baby K: farcela è possibile, perché è già successo, e non solo nel pop, diciamo, “alla Michielin”, ma anche in generi vicini in qualche modo al rap, pur nella sua versione più da hit estiva.
F: Essendo in minoranza nel mondo rap e dance, c’è uno sguardo più severo, più giudicante su di noi, ma penso che sia una cosa che nel tempo migliorerà inevitabilmente.

Ma a voi è mai capitato, in quanto musiciste donne, di ricevere insulti o cose del genere da parte del pubblico?
R: A me capita, durante i live, che mi facciano i cori “escile, escile”. Poi però, sai cosa? Io rispondo sempre al microfono, senza tanti problemi, e allora vedi come si tacciono. Capita, ma devi beccare proprio lo stupido, grossi problemi non ne ho mai avuti.
F: A me è successo, ma non per una questione di sesso, quanto per la mano [Federica è nata con un’aplasia], ma prima che facessi coming out e la mostrassi. Durante i live, ricordo, era successo che qualcuno mi urlasse “a' monca”, robe così; poi, dopo aver deciso di far vedere la mano nessuno si è più permesso. Magari subisco ancora qualche battuta sui social, che si sa che sui social sono tutti più leoni, mentre dal vivo hanno una paura tremenda di dire qualunque cosa. La regola è: rispondere sempre, rimetterli a loro posto.

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Il Pagante è chi paga per tutti?
F: No, è quello che entra nei posti pagando, quello non in lista. È una cosa che si dice da sempre, il pubblico pagante c’è anche ne “La Donna Cannone”.

Hai citato De Gregori, quindi vi chiedo quali sono i vostri riferimenti musicali, quelli con cui siete cresciuti.
F: Io sono cresciuta con la musica italiana, quindi De Gregori, Baglioni, Mina, Mia Martini. Poi ho scoperto il rap, poi mi sono appassionata di qualunque cosa, chi più ne ha più ne metta. Penso che tutti e tre siamo molto aperti a qualunque ascolto.
R: De Andrè e Battisti sono i riferimenti dell’infanzia, quelli che mi facevano ascoltare i miei. Adesso una sera andiamo a ballare la techno, un’altra a sentire il concerto indie, un’altra ancora prendiamo i biglietti per vedere Beyoncé all’estero, ci piace proprio andare a sentire la musica dal vivo, siamo mega appassionati.
E: Tranne che il rock alla AC/DC, di cui non mi piace niente e di cui non so niente, oggi ascolto davvero di tutto: cantautori, techno, radio, tutto.

il pagante movement torino

In “Dress Code” Samuel Heron rappa “Quelli accampati che fanno la fila / Con la tenda sì dal giorno prima / Sto giappo-cinese che spende duemila / Mio nonno direbbe 'Ma andate per fi' (aah)”. Ecco, qual è l’insegnamento dei nonni o della famiglia in generale che vi è sempre rimasto nel cuore?
R: Nella mia famiglia sono stati sempre tutti super felici di questa mia carriera, sono sempre venuti tutti ai nostri concerti, e quindi, più che un frase, per me questo è il vero insegnamento, e cioè “fai sentire chi ami supportato nelle sue scelte”.

E le vostre famiglie, Eddy e Federica, come hanno preso la faccenda Il Pagante?
F: Per me all’inizio non è stato semplice, perché abbiamo iniziato che io ero in quinta liceo, perché avevo perso due anni, quindi è stata complicata la gestione della settimana a scuola e il weekend a lavorare. Ovvio che quando ho preso il diploma è stato tutto più semplice: mi hanno chiesto “ma non vuoi fare l’università?” e ho detto no, voglio fare Il Pagante.
E: Per me è stato ancora diverso, perché ho iniziato prima di loro a fare musica, ma era qualcosa che dovevo, per forza, mettere dietro alla scuola e agli studi. La musica l’ho coltivata, con grande fatica, in modo che un domani potesse diventare un lavoro. Anche quando avevo già scritto un bel po’ di canzoni e sentivo di avere il potenziale per farlo diventare una professione, spiegarlo ai miei non è stato per niente facile. Poi il tutto mi ha premiato, quindi è andata bene così.

A questo punto, a registratore spento e fotografo abbandonato come in The Walking Dead nella ressa, comunque abbastanza composta, che stava per accogliere Jon Hopkins, tutti noi abbiamo perso qualche grammo di dignità nel privè di Movement, davanti a una crostata di cui Munchies dovrebbe diffusamente parlare. Con gli sbaffi di marmellata ai lati della bocca, ho chiacchierato ancora un po’ con Federica e Roberta, che mi hanno detto che “sì, con Il Pagante ci piacerebbe parecchio fare qualcosa di extra musicale. Più di tutto, un programma radiofonico, che è un sogno che abbiamo da tempo, oppure anche qualcosa di televisivo”. Giuria di Extra Factor, chiedo, o concorrenti a Pechino Express? “Con Pechino le persone ci riuscirebbero a conoscere davvero, e questo è molto allettante, perché immagino che siano ancora molti quelli che credono che siamo tutt’altra roba rispetto alla realtà, mentre con Extra Factor ci divertiremo molto”. Ma di questa Dark Polo Gang giudice, chiedo a entrambe, che ne pensate? “Non ci piacciono molto, non emanano quell’energia figa che aveva, invece, Jake La Furia. Ostentano troppo, si sforzano troppo di fare quelli arrivati, quelli pure un po’ annoiati. Ti dico", conclude Federica, "io l’anno scorso me lo guardavo tutto Extra Factor, quest’anno finita la puntata di X Factor spengo”.

Avrei potuto continuare a chiacchierare di robe alla mia portata, come i talent e la tele, allungando di tanto in tanto la mano verso quella torta mondiale, e invece a questo punto della serata, per colpa di un collega di cui non farò il nome, ho deciso di sfidare la sorte e gli attacchi di panico, andando nella saletta più piccola del Movement dove gli Underground Resistance avevano da poco attaccato furiosamente il loro set. Così facendo, però, ho solo preso tutte le spallate che avevo fino a quel momento evitato, e ho perso per sempre i ragazzi de Il Pagante, ma a mio favore, devo dire di aver ritrovato il senso delle cose, e cioè la via per l’hotel.

Questo il vocale che mi hanno mandato, come commento finale al Movement: “Location stupenda, spazio grandissimo e super ospitalità della crew del festival, belle persone, tutti molto presi bene. Vogliamo tornare per la versione estiva, quella del Kappa Future Festival. Non eravamo mai stati a un festival al chiuso in un capannone del genere. Show fatti da dio, in particolare Cosmo, andato oltre le nostre aspettative”.

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