Musica

Post Malone non è un grande artista, ma va bene anche così

Se vi siete mai chiesti perché Post Malone è così famoso, il suo nuovo album lo spiega benissimo: il segreto è non provare a fare cose troppo difficili, ripetersi un sacco e cercare di fare contenti tutti.
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Post Malone, fotografia promozionale

Qualche tempo fa i nostri colleghi di VICE News negli Stati Uniti hanno fatto un video che si intitola "Why Post Malone Is So Damn Catchy". È una domanda legittima, un po' perché quando una cosa diventa popolare i media e l'industria culturale hanno bisogno di analizzarla per restare al passo con i tempi, un po' perché è divertente capire come funzionano gli ingranaggi del successo. Ma il caso di Post è clamoroso: quando si cominciò a parlare di lui per la hit "White Iverson", un piccolo gioiellino di melodia, pochi credevano sarebbe riuscito a costruirsi una vera carriera. Ci scherzava sopra persino lui stesso. A tre anni di distanza, la situazione è leggermente diversa da quella che ci saremmo potuti aspettare allora.

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I dati della sua pagina su Billboard fanno paura. A maggio 2018 Post ha infranto il record dei Beatles per il maggior numero di canzoni nella Top 20 della classifica generale negli Stati Uniti allo stesso momento: nove brani contro sei. E solo tre mesi dopo ha infranto il record di Thriller di Michael Jackson per la permanenza più lunga nella classifica R&B americana: 77 settimane contro le 76 di Jacko. Sia Stoney che beerbongs & bentleys, i suoi due album, hanno quindi ottenuto risultati che li certificano come enormi successi.

La formula grazie a cui Post ha ottenuto questi risultati, dicono i professori di composizione intervistati da VICE News, non è complessa: usare una melodia semplice, "che non prova a essere niente di diverso", ripeterla un sacco di volte e cominciare con il ritornello, così da aiutare il cervello dell'ascoltatore a lasciarselo stampare sopra. Post la condivide con un sacco di altri artisti pop, come dimostra un bellissimo studio pubblicato nel 2017: pensiamo a "Hotline Bling" di Drake, "One More Time" dei Daft Punk, a "Wake Me Up" di Avicii, a "Turn Down For What" di DJ Snake.

C'è tutta una lista di pezzi in cui Post fa questa cosa, ma in fondo basta pensare a "rockstar": melodia memorabile ripetuta per tutto il pezzo e fin da subito, featuring di alto livello, testo fatto di luoghi comuni pucciati nella narrazione dominante che il rap è il nuovo rock. Che poi nel caso di Post non è questione di dire che "x è il nuovo y", perché lui è sia x che y. Non ha fatto altro che fare meglio quella cosa che Lil Yachty aveva provato a fare nel 2017 con Teenage Emotions, cioè un mischione clamoroso di cose che piacciono alla prima generazione che è potuta crescere accedendo a tutta la cultura esistente nello stesso momento.

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Hollywood's Bleeding, il suo nuovo album, altro non fa che portare a compimento questa centrifugona magnatutto con cui siamo cresciuti noi nati dagli anni Novanta in poi—noi che in testa disegniamo un cerchio attorno a gente come 50 Cent, i blink-182, i Red Hot Chili Peppers, Eminem, gli Slipknot, i Nickelback, Avril Lavigne e li riconosciamo tutti come nostri. Il che è ok, ma è anche brutalmente semplice: Post Malone sfugge alle analisi perché queste hanno bisogno di sfumature, e il suo successo è tale perché tende a evitarle. Le evita così tanto che "On The Road" dopo 22 secondi praticamente rifà la melodia di "rockstar".

Mi viene in mente quella cosa per cui è molto più profittevole e meno rischioso dare al pubblico ulteriori cose che già vogliono piuttosto che provare a dargliene di nuove. Quella cosa per cui al cinema è tutto pieno di seguiti, remake o adattamenti da altre cose, ma in musica. Improvvisamente mi rendo conto di quanto abbia senso che su questo disco ci sia "Sunflower", che è stata scritta per un film di Spider-Man (e, per mettere le cose bene in chiaro, ce l'ha esplicitato nel titolo). Però con il valore dell'innegabile capacità di distillare lo spirito hip-hop del tempo in un prodotto pop che possa piacere a tutti, anche quando fa cose stupide.

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La copertina di Hollywood's Bleeding, cliccaci sopra per ascoltarlo su Spotify

Esempi? L'alternative rock mezzo gridato di "Allergic", perfetto per piacere all'ascoltatore di Virgin Radio come al ragazzino che la radio la vuole solo se generata da Spotify. Ma il più clamoroso è l'assolo che manco Richard Benson alla fine del divertente featuring con Ozzy Osbourne—Post non lo fa per uno scopo, lo fa e basta. Lo fa perché da ragazzino suonava in una band hardcore, ancora oggi si ascolta i Megadeth e ha in casa una collezione invidiabile di ampli e chitarre. Ora ha la risorse per fare quello che gli gira, e lo fa. Poi tanto di contorno ci sono le hit del caso: "Psycho", "Goodbyes", "Wow." e così via.

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Che poi i momenti in cui Post dice o fa cose un po' stupide sono anche i più divertenti del disco. "Internet" è stata presa a esempio di questa impressione da Pitchfork: è un brano maestoso, sorretto da un'impalcatura orchestrale degna della miglior "Runaway". Ma il messaggio "Fanculo l'internet, è pieno di hater e gente che mi vuole morto, me ne vado" suona un po' vuoto e utopico quando la realtà è che la musica e la carriera di Post nascono e crescono e resteranno nella storia proprio grazie a internet. È un po' come Drake, che in "Energy" diceva "Fuck goin' online, that ain't part of my day". E lo faceva proprio sul disco che lo stava certificando come qualcosa di più di "un rapper".

Ecco, If You're Reading This It's Too Late è un buon termine di paragone per Hollywood's Bleeding: sono prodotti di due artisti molto diversi, entrambi sono album dai testi piuttosto vuoti e formulaici, ma estremamente godibili, con dentro qualche capolavoro pop, e capaci di trovare una quadra tra i punti di forza e le debolezze dei loro autori. "I got enemies, gotta lot of enemies" diceva Drake; "Used to have friends now I got enemies", dice oggi Post. Sono passati quattro anni, e il racconto della fama in forma pop e hip-hop nel 2019 è ancora fatto di scontri e veleni.

Lo dimostra anche il tono generale dei pezzi, intriso di quella dolce malinconia che da anni si è intrufolata nel pop e nel rap, che—ricordiamo—in Post sono la stessa cosa. L'esempio più riuscito sul disco è "Die For Me", anche perché dentro ci sono due artisti che della disperazione hanno fatto il punto centrale della loro opera testuale, Future ed Halsey. I featuring di Post funzionano anche in questo senso: da un lato aggiungono peso e legittimità ai concetti che esprime, dato che vengono da artisti con linguaggi e identità già affermati, e dall'altro regalano a questi credibilità pop e un palcoscenico enorme.

Il discorso vale anche quindi per DaBaby, che regala a Post una strofa di fuoco in "Enemies", così come per Lil Baby e Meek Mill su "On The Road", SZA su "Staring At The Sun" e Young Thug in "Goodbyes". Tutti artisti già grossi che grazie a Post possono diventare ancora un po' più grossi. Servono a rimpinzare la tracklist e tenere alta l'attenzione, ma per una volta non sono grandi nomi rap appiccicati maldestramente al pop in un tentativo di renderlo credibile alla variegata audience urban—vedi Kendrick Lamar con i Maroon 5. Il pop di Post è già abbastanza rap di per sé.

Hollywood's Bleeding, quindi, ingurgita qualsiasi cosa per sputarlo fuori in quella che è la quintessenza del pop contemporaneo, suona una mina ed è pieno di melodie memorabili. Non è affatto innovativo, se non per il modo in cui frulla tutto assieme in un beverone musicale onnicomprensivo. La sua è un'ibridazione di valore minore rispetto a quella di cui si nutre il progresso in musica, quella che prende dentro un po' tutto dalla club music a Charli XCX. Ma è già qualcosa rispetto al pop stantio a cui siamo stati abituati per decenni: la speranza, restando nel paragone con Drake, è che ora Post non ci sforni nei prossimi mattoni gelidi come VIEWS o Scorpion, prodotti tanto enormi a livello di appeal quanto aridi nel contenuto e nel contesto. Staremo a vedere, no? Elia è su Instagram. Segui Noisey su Instagram, Twitter e Facebook.