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A quanto pare i razzisti si possono riconoscere dalla faccia

È come se fossimo programmati ad associare certe facce agli atteggiamenti razzisti, e la colpa è tutta del testosterone.

Cosa possiamo dire di una persona guardando il suo volto? Un bel po' di cose, a quanto pare. Gli esperimenti psicologici del nuovo millennio ci hanno permesso di valutare l'orientamento sessuale, l'attività sessuale, l'inclinazione ad atti criminali di una persona — Addirittura ci hanno permesso di capire se una persona è un Mormone o meno, tutto a partire dai loro volti. Un nuovo studio suggerisce la presenza di un altro tratto da aggiungere alla lista di cose riconoscibili: la tendenza di un uomo a manifestare atteggiamenti razzisti.

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C'è un'ovvia ironia in uno studio che afferma che possiamo capire se una persona è bigotta o meno a partire dalla forma della sua faccia. Ma la logica dietro a questo studio, condotto dai ricercatori della University of Delaware e pubblicato sul journal Psychological Science è piuttosto complesso e inaspettato, ma risulta convincente.

La sorpresa è che è tutta colpa del testosterone.

Recenti ricerche indicano come uomini con alti livelli di testosterone abbiano determinate caratteristiche facciali che li differenziano dagli uomini con bassi livello di testosterone. In particolare, queste persone dispongono di quello che i ricercatori chiamano un maggiore rapporto di larghezza-altezza facciale (facial Width-to-Height Ratio, fWHR) che paragona la distanza tra le guance a alla distanza tra il labbro superiore e le ciglia. Gli uomini con un rapporto maggiore in questo senso hanno volti che sembrano più larghi orizzontalmente e più stretti verticalmente (guarda sotto). Diversi studi suggeriscono come queste persone tendano ad assumere comportamenti che di solito associamo con il testosterone — incluso (scusate ragazzi) una maggior inclinazione a barare, a truffare gli altri, e fare falli durante una partita di hockey e a comportarsi in maniera aggressiva.

La differenza nel fWHR che si rileva comunemente tra uomini e donne sembra accentuarsi durante la pubertà, quando la maggior parte degli adolescenti maschi esplodono di testosterone. Il loro cranio più stretto e ovale diventa più proporzionalmente largo, più simile a un rettangolo.

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Non tutti i volti maschili cambiano alla stessa maniera perché non tutti gli uomini hanno lo stesso livello di testosterone. E c'è un'altra cosa che si può capire grazie al testosterone: gli uomini con livelli più alti vogliono dominare. Inoltre, facilmente tenderemo a scansarci dalla strada di queste persone perché tanto per cominciare avendo un rapporto fWHR più alto li percepiremo come più fisicamente dominanti.

Come è scritto nello studio:

… potrebbe essere più preciso dire che il testosterone promuove la ricerca e il mantenimento di uno stato di dominazione sociale. Per questo, fintanto che un maggior rapporto fWHR è associato a una maggiore presenza di testosterone, il rapporto fWHR potrebbe essere una manifestazione fisica delle intenzioni di dominanza negli uomini e potrebbe essere descritto al meglio come un'inclinazione nei confronti della dominanza sociale interpersonale, e altri atteggiamenti simili.

Tra i vari modi in cui gli uomini esercitano comportamenti dominanti c'è anche l'inclinazione ad andare contro le regole della società. ("Alcuni risultati neurologici," spiega lo studio, "hanno dimostrato come alti livelli di testosterone siano associati a una ridotta attività nella corteccia orbitofrontale, un'area utilizzata per il controllo degli impulsi e dell'inibizione.) Dall'altro lato, noi diamo per scontato che queste persone siano inclini ad andare contro queste regole. Che noi li conosciamo o meno, sappiamo quali persone tenderanno a infrangere le regole perché conoscendo la forma dei loro volti possiamo intuire quali abbiano livelli di testosterone più alti.

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Naturalmente, nel mondo esterno alle feste dei partiti isolazionisti, per la società esprimere apertamente opinioni razziste non è corretto. Così, i ricercatori del Delaware, guidati dal professore in psicologia Eric Hehman (ora a Dartmouth), si sono chiesti se gli uomini con un tasso maggiore di fWHR possano sentirsi più a loro agio esprimendo opinioni esplicitamente razziste, dato che il loro alto livello di testosterone li farebbe sentire meno socialmente inibiti. Dopo aver raccolto i dati e i test svolti su 70 maschi bianchi, i ricercatori hanno scoperto che, rispetto agli altri, funziona proprio così.

I ricercatori hanno cercato di capire anche se gli osservatori, guardando le fotografie di quegli stessi 70 uomini, sarebbero stati più portati ad assumere che gli uomini con le facce più larghe fossero quelli più razzisti. E anche in questo caso i dati sono stati confermati. Ma c'è di più, le loro valutazioni si sono rivelate in linea con quello che i 70 uomini avevano rivelato di sé: era molto più probabile che gli stessi uomini identificati dagli osservatori come razzisti avessero espresso esplicitamente delle opinioni razziste.

Nel nostro scambio di mail, Hehman ha spiegato anche come lui e i suoi colleghi, hanno svolto test sui 70 uomini che hanno preso parte allo studio sulle cosiddette espressioni di pregiudizio razziale "implicite." Lo scienziato le ha descritte come "l'associazione automatica di altre etnie con 'aspetti negativi'" — una specie di risposta inconscia "che le persone sono meno in grado di controllare." Per quanto riguarda queste espressioni implicite di pregiudizio, questa non avevano alcuna correlazione con la forma del viso di una persona. In quel senso, siamo dei cattivi giudici.

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L'altra conclusione da trarre è che non dobbiamo essere per forza carichi di testosterone per essere razzisti. Il razzismo implicito, ha sottolineato Hehman, è solo un altro tipo di razzismo con le proprie sottili conseguenze. "Una persona prevenuta in modo implicito potrebbe semplicemente… prestare meno attenzione a Obama quando espone delle argomentazioni politiche o dare meno credito a ciò che dice Obama (senza nemmeno essere conscio del suo comportamento) e, in ultima analisi, essere meno propensa a votare per Obama," ha spiegato il ricercatore. In questo caso, ha continuato, "senza compiere nessun atto esplicitamente razzista o essere consapevole di questi effetti."

Come sottolineato da Hehman, si tratta realmente di uno studio sulla volontà di esprimere opinioni razziste, non sulle opinioni stesse. Eppure, questa ricerca contiene una sorta di determinismo che, in maniera simile agli studi che mettono in correlazione la struttura facciale alla criminalità o al Mormonismo, suggerisce una certa ineluttabilità — un'idea a cui molti antirazzisti potrebbero opporre resistenza. Hehman non si fa intimidire dalle sue implicazioni: "In definitiva, credo che l'applicazione pratica dello studio sia quella di aiutare le persone a capire quando e in quali situazioni fidarsi delle proprie intuizioni sulle personalità degli altri e quando, invece, dubitare del proprio intuito, perché ci sono maggiori probabilità di comportarsi scorrettamente in altre situazioni," ha spiegato.

Ma quello stesso determinismo è inevitabile solo se crediamo che la natura sia l'unico elemento da prendere in considerazione. Una persona può avere una faccia che nella nostra società, per qualsiasi (e forse retrograda) ragione evolutiva o culturale, comunica disonestà. Trattate una persona come un bugiardo e quella stessa persona potrebbe diventarlo, rafforzando lo stereotipo in un circolo vizioso che ha molte cose in comune con l'ineluttabilità. Probabilmente, la maggiore parte degli scienzati non dovrebbero dare per scontato che la natura e la cultura giochino entrambe un loro ruolo nell'influenzare questi fenomeni, distinguendo i risultati di queste ricerche da quelli azzardati dalle pseudo-scienze del passato, come la frenologia.

"Credo che essere a conoscenza del vecchio dibattito renda gli scienziati contemporanei restii a giungere a conclusioni troppo semplicistice," ha spiegato Hehman. "Così, il mio lato ottimista preferisce pensare che il nostro settore ha imparato dagli errori del passato."

Fonte: "Facial Structure Is Indicative of Explicit Support for Prejudicial Beliefs," Eric Hehman, Jordan B. Leitner, Matthew P. Deegan, and Samuel L. Gaertner, Psychological Science, XX(X) 1–8, (2013)