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Se fai barricate e calpesti il cibo dei rom sei un razzista, non un ‘cittadino indignato’

La violenta protesta degli abitanti (e dei neofascisti) contro i rom a Torre Maura è l’ennesima falsa soluzione a problemi reali.
Leonardo Bianchi
Rome, IT
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Un momento della protesta anti-rom a Torre Maura, il 2 aprile 2019. Grab via Facebook

Il pomeriggio del 2 aprile, alcuni abitanti di Torre Maura—un quartiere periferico del quadrante est di Roma—hanno visto arrivare la polizia e una ventina di persone in un edificio tra via dell’Usignolo, via Walter Tobagi e via dei Codirossoni.

Un residente, Giuseppe Andrea Barillaro, ha chiesto cosa stesse succedendo e in seguito raccontato: “mi hanno risposto che stavano sistemando i rom; a quel punto mi sono fermato e ho iniziato ad avvisare tutto il quartiere.” In altre parole, come in seguito ha chiarito, “sono stato io a innescare la rivolta.”

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La struttura—che di recente è stata un centro d’accoglienza straordinario—avrebbero dovute ospitare circa 60 persone rom, tra cui 33 bambini e 22 donne (tre delle quali incinte). Stando alle cronache quei locali erano stati selezionati con “apposito bando indetto dal Comune su piattaforma europea,” poi vinto da una cooperativa.

La voce dell’arrivo si sparge incontrollata, e in breve accorrono altri residenti. La protesta diventa subito violenta: sono rovesciati e incendiati alcuni cassonetti per fare delle barricate, e iniziano le minacce. “Qui prima c’erano gli africani, ora i rom,” urla un uomo. “L’unica cosa da fare per liberarci del problema è dare fuoco alla struttura.”

Nel frattempo, sul posto si paracadutano militanti neofascisti di CasaPound, Forza Nuova e Azione Frontale che spalleggiano la protesta e si mettono a fare dirette Facebook. L’assedio sfocia anche in un episodio agghiacciante: a un certo punto, il pasto serale destinato ai rom viene gettato per terra e calpestato, al grido di “dovete morire di fame.” In serata, poi, un’automobile noleggiata dalla cooperativa è data alle fiamme.

Le dichiarazioni raccolte dai cronisti sono tutte sulla stessa falsariga. I residenti accusano Virginia Raggi di aver calato “decisioni dall’alto senza considerare le esigenze” di un quartiere con diversi problemi sociali, e ripetono le solite leggende nere sui rom: “non fanno nulla dalla mattina alla sera,” rubano, fanno i segni sulle porte (sempre per rubare), “stanno bene dentro le baracche,” e non sono nemmeno umani. Qualcuno chiede di far venire al posto loro “i terremotati che stanno sotto la neve.” Tutti gli intervistati precisano di non essere razzisti, ovviamente.

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Nella notte, il Comune capitola. “L’ufficio speciale Rom, sinti e caminanti ha deciso di ricollocare le persone presenti nella struttura presso altri centri d’accoglienza,” dice un comunicato. “Le operazioni saranno curate dalla Sala operativa sociale a partire da stamattina [oggi] e si concluderanno in sette giorni.” Nel frattempo, la procura di Roma ha ipotizzato i reati di danneggiamento e minacce aggravate dall'odio razziale.

Ecco: in questo caso i bersagli sono stati i rom, che da tempo immemore occupano stabilmente il gradino più basso della gerarchia dell’odio; ma lo schema non è affatto nuovo, e a Roma si propaga come un contagio almeno dal 2014 in quartieri come Corcolle, Tor Sapienza, Casale San Nicola e Tiburtino III.

Il copione è questo: si parte da un fatto di cronaca (che può essere più o meno verificato) in una zona disagiata di Roma; gli stranieri, senza farsi troppe domande, sono indicati come i responsabili; l’estrema destra, su tutti CasaPound e Lega, alza al massimo la tensione e/o scende in strada per manifestare.

Ad accomunare tutti questi casi, poi, sono anche le reazioni di media e politica. Da un lato si pone l’attenzione sull’esasperazione di fantomatici “cittadini indignati” e “apolitici,” da giustificare sempre e comunque (anche da parte del centrosinistra, è bene ricordarlo), e che magicamente diventano un popolo intero—anche se, spesso e volentieri, si tratta di una parte minoritaria di quei quartieri.

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Dall’altro, invece, si parla incessantemente di “guerra tra poveri.” Ma la retorica della “guerra tra poveri” è estremamente insidiosa—l’effetto finale, infatti, è quello di mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti, presentandoli come “vittime simmetriche” di una situazione fuori controllo.

Il punto, però, è che situazioni di questo genere sono tutto fuorché casuali. Come giustamente ha fatto notare il giornalista Valerio Renzi, a Torre Maura la vera origine della questione è la ghettizzazione istituzionale dei rom, “trattati come cittadini di una categoria diversa da tutti gli altri, e non come famiglie come tante altre in emergenza abitativa.”

In questo modo si riproduce lo stigma, e al contempo si alimenta la paura per l’arrivo degli “zingari” e la “costruzione di ghetti monoetnici,” ripetendo all’infinito lo schema nefasto del “campo rom.” E questa politica di segregazione nei confronti dei rom—a Roma e non solo—è stata portata avanti in maniera assolutamente trasversale.

Nel corso di questi ultimi anni, inoltre, quasi tutte le forze politiche o hanno fomentato vergognosamente queste proteste o—dice ancora Renzi— “sono state morbide con chi individuava come bersaglio i migranti nei centri di accoglienza gli insediamenti abusivi e via discorrendo, finendo sempre per giustificare un sentimento che alla fine nessuno vuole perdere in termini di percentuali nelle urne.”

Ora, Virginia Raggi può pure dire che “non possiamo cedere contro chi continua a fomentare questo clima e continua a parlare alla pancia delle persone,” riferendosi all’estrema destra. In realtà, il cedimento nei confronti della violenza razzista è avvenuto da un pezzo; di certo non da ieri.

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Già nel 2014, la giornalista Annamaria Rivera ha sottolineato la pericolosità dello “svuotamento forzoso” del centro d’accoglienza di Tor Sapienza. E non solo per le modalità della caccia fisica al capro espiatorio, ma soprattutto per la resa delle istituzioni: in quel modo, infatti, si ingenera la convinzione che colpire l’anello debole della catena sociale sia una valida strategia per attirare l’attenzione sui problemi dei quartieri.

Ma come ha insegnato la storia, non è mai stata una strategia vincente per i residenti. A Tor Sapienza i problemi sono rimasti gli stessi del 2014; a Gorino (per cambiare regione) si sono accorti di essere stati “usati dai soliti politici capopopolo per la loro guerra”; ed è ragionevole pensare che la cacciata delle famiglie rom non trasformerà Torre Maura nei Parioli di Roma est.

Poi, certo: nelle periferie di Roma si vive sempre peggio. Così com'è un dato di fatto la totale ignavia della politica, che non fa nulla per migliorare le condizioni di chi vive lì. Ma se ti cade un pezzo di cornicione sulla macchina, calpestare dei panini o fare le barricate contro il nemico “etnico” di turno è solo una falsa soluzione a problemi reali e concreti.

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