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Gigio Dollar-umma, o come Donnarumma è diventato in un lampo il più odiato del calcio

Con una lunga serie di status di 28 centimetri su quanto non esista più il calcio di una volta.

Da qualche ora nelle edicole italiane sta circolando una rivista già vecchia: è l'ultimo numero di GQ con l'intervista a Gianluigi Donnarumma.

Breve intro per chi ha imparato a familiarizzare con questo nome solo da ieri, e in questo momento è costretto a farsi largo sui social tra status ironici e rabbia ferina: Gianluigi "Gigio" Donnarumma è il portiere del Milan, ha 18 anni ma è titolare già da due. Questo perché è un calciatore con capacità ampiamente sopra la media, che gli hanno permesso di essere considerato un top player da svariate decine di milioni ancor prima di prendere la patente.

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Donnarumma è un'anomalia: è reputato un fenomeno da quando ne aveva 13, ossia quando è stato comprato dal Milan, e da anni nel settore se ne parla come di un "predestinato". La società—allora proprietà di Berlusconi—se l'è accaparrato subito, convinta di aver trovato il proprio portiere per le prossime venti stagioni. Altrettanto istantaneamente, però, se l'è accaparrato anche Mino Raiola, agente mezzo olandese mezzo italiano che gestisce alcuni dei calciatori più famosi del mondo (Pogba, Balotelli, Ibrahimovic) e che da tempo ne è il procuratore sportivo.

Chi conosce anche solo superficialmente il mondo del calcio, sa bene cosa vuol dire avere Raiola come agente—e come questa storia sarebbe inevitabilmente potuta finire: i calciatori del suo roster si spostano in genere da una squadra all'altra alla ricerca di ingaggi sempre più alti, con relativo aumento delle commissioni per l'agente.

Per farlo, Raiola gestisce personalmente—e in maniera piuttosto provocatoria—l'immagine dei suoi assistiti, facendogli dire o fare cose che vengono puntualmente contraddette nel giro di pochi giorni. Come far dire a Pogba che il suo periodo alla Juventus era solo "una vacanza". O far rispondere a Donnarumma, in un'intervista rilasciata a maggio a GQ ma pensata per un numero di giugno, che stava cercando casa a Milano—a conferma del fatto che sarebbe rimasto al Milan.

E invece niente.

Ieri pomeriggio infatti Raiola ha incontrato il Milan per comunicargli l'intenzione del suo assistito di non restare e non prolungare il contratto, facendo invecchiare di colpo l'intervista a GQ, le parole, i titoli, i suoi tifosi e le magliette pezzotte col suo nome che vendono sotto i portici di Piazza Duomo.

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Donnarumma aveva un accordo che lo legava al Milan almeno per un altro anno: si tratta della squadra che lo ha formato e per la quale diceva di tifare fin da piccolo, fino a baciarne lo stemma dopo una partita con la Juve. Allo stesso tempo, è la società che—per non perderlo—pare abbia offerto un contratto da circa 5 milioni a stagione. Ossia più di quello che guadagna Gianluigi Buffon, di cui è stato già indicato come erede calcistico.

A incontro terminato, l'amministratore delegato del Milan Marco Fassone ha deciso di svuotare l'armadio in pubblico e spiegare la situazione in diretta su Facebook. "Il ragazzo ha deciso di non rinnovare […] Siamo amareggiati, ma il Milan va avanti." Quello che è successo dopo è arrivato ovunque, dalle prime pagine spagnole, ai trending topic di Twitter, ai meme, alle vostre impotenti, de-sportivizzate e ignare bacheche social: Donnarumma è diventato il calciatore più odiato d'Italia, e probabilmente del mondo.

Il ragazzo del destino, il bambino prodigio, il nuovo Buffon o il nuovo Baresi—dipende dalle prospettive—è diventato l'incarnazione vivente del concetto di "infame".

Non è difficile capire come ci sia arrivato, e come in pochi mesi sia passato da un'adulatoria comparsata su Topolino sotto le spoglie di Paperumma, a vedersi augurare la morte con una media di un commento ogni tre secondi su Instagram—e soprattutto a spezzare il mio povero cuore da tifoso del Milan che da ieri non riesce a non avere altro che pensieri confusi. Ma è un processo che non è cominciato il 15 giugno, e al quale si è arrivati per passaggi precisi, con colpe circoscritte.

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HA FATTO L'ESATTO CONTRARIO DI CIÒ CHE LA RETORICA CALCISTICA IMPERANTE VOLEVA SUCCEDESSE

Poche settimane fa Francesco Totti, in una dolorosa cerimonia post-partita, ha lasciato per sempre la Roma di cui era capitano da decenni. Quel giorno la parte di mondo che segue il calcio si è fermata per tributargli qualsiasi tipo di onore: non c'è eroe più rispettato, in questo sport e soprattutto online, di quello che non tradisce la propria maglia—anche e soprattutto a fronte di possibilità superiori alla propria lealtà: è per questo che su tutto il pianeta rispettano Totti per la fedeltà alla Roma, Gerrard per la fedeltà al Liverpool, Maldini per la fedeltà al Milan. Potevano andare ovunque, hanno deciso di restare.

Ai tifosi di tutto il mondo piace pensare che personaggi del genere—che vengono da sempre definite come "bandiere"—esistano ancora. E non è solo una cosa da editoriale di un numero qualsiasi degli anni Settanta del Guerin Sportivo: è proprio uno dei temi principali delle pagine principali Facebook e Twitter che si occupano di calcio a livello globale, e producono in continuazione card motivazionali e foto con quote romantiche sull'amore per la maglia e la lealtà ai tifosi: è una visione etica e favolistica dello sport, ma anche una consolidata strategia social che fortifica questo sentimento.

Donnarumma sembrava uno di quelli che resta nella stessa squadra dalle giovanili fino ai 38 anni. Invece no. Adesso lo odia anche questo utente Twitter indonesiano.

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HA LASCIATO LA SQUADRA DI CUI DICEVA DI ESSERE TIFOSO E DELLA QUALE HA BACIATO LO STEMMA

Quando il Milan, la scorsa stagione, è arrivato a Torino giocando alla pari una partita contro la Juventus che sembrava non avere storia—e poi risolta in favore dei padroni di casa per un controverso rigore fischiato al 97esimo—le attese della vigilia erano concentrate tutte su Donnarumma. Non tanto per la prestazione, come al solito sopra le aspettative malgrado la sconfitta, ma per il caos mediatico che accompagnava il pre-partita da settimane: Donnarumma, si diceva, "andrà alla Juve", "sostituirà Buffon", "è già scritto". Una cosa che i tifosi del Milan non avrebbero mai potuto perdonare.

Donnarumma aveva compiuto 18 anni da poche ore, e non aveva ancora potuto rinnovare col Milan e mettere nero su bianco la sua fedeltà firmandoci sopra: il problema non si poneva, insomma, ma stava per bussare alla porta. A fine partita, dopo la beffa del rigore all'ultimo minuto e la sconfitta probabilmente immeritata, ha però preso la maglia per lo stemma e l'ha baciata. Platealmente. Come a voler rassicurare tutti: io non me ne vado, questa è la squadra che mi ha cresciuto, io sono milanista. Sembrava più di una firma.

Ieri quella foto è diventata un meme con spin negativo: ora il futuro di Donnarumma sembra ormai dividersi fra un ingaggio milionario al Real Madrid o un anno di tribuna forzata fino a scadenza del contratto. Cuori: spezzati.

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GLI SONO STATE ATTRIBUITE VIRTÙ ETICHE E MORALI CHE FORSE NON AVEVA

Donnarumma ha sempre parlato poco. E ogni volta che l'ha fatto somigliava sempre moltissimo a ciò che in realtà era: un ragazzo di 18 anni a cui manca ancora il diploma.

HA ASPETTATO IN SILENZIO CHE TUTTO SI COMPIESSE

Proprio per questo è stato incalzato per mesi, e le sue dichiarazioni sono state sempre un debole sostegno alla tesi "sono milanista". I tifosi però già si aspettavano qualcosa di più—tanto da portare la curva a preparare lo striscione "Chi ha il Milan nel cuore non chiama il procuratore". La società—si leggeva negli ultimi giorni—sembrava spiazzata da questo silenzio: cosa stava cercando di dire? Lo stava facendo davvero? Era un silent treatment?

Quella che sembrava mancanza di comunicazione—o una carenza di informazioni in uscita dalla sede del Milan—si è dimostrata in realtà una strategia comunicativa travisata dai milioni di tifosi che si aspettavano potesse svegliarsi, un giorno, chiamare Raiola e licenziarlo, per poi abbracciare il Milan in lacrime. Adesso tutti gli attribuiscono la responsabilità di questa scelta—Raiola o meno. Emoji pollice.

HA TRADITO UNA SQUADRA CHE STAVA CERCANDO DI RINASCERE

All'alba dell'insediamento della nuova dirigenza, in conferenza stampa, il nuovo AD ha posto il rinnovo di Donnarumma come obiettivo numero uno del nuovo corso. Questo perché, come poi più volte ripetuto in seguito, il portiere doveva diventare il simbolo della squadra, della rinascita, il nuovo Maldini cresciuto in casa.

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Alla fine ha fatto in tempo a vincere un trofeo pressoché inutile in uno stadio di Doha e a diventare il portiere dell'uscita su Maccarone contro l'Empoli. O il Lebron James italiano, che abbandona la sua Cleveland per andare a vincere qualcosa altrove—lasciando intendere il fatto che a casa, a Milano, non avrebbe mai potuto farlo.

Questa è la parte che piace di più ai tifosi delle altre squadre, e che fa capire quanto amara sia potuta essere la giornata di ieri anche se la cosa che vi avvicina di più allo sport è stendere le gambe dal divano alla sedia.

HA PROVOCATO UN DANNO ECONOMICO CHE IN TERMINI DI GESTIONE AZIENDALE SI DEFINISCE SOLITAMENTE "INFAMATA"

Personalmente, mi aspettavo di vedere Donnarumma giocare lontano da Milano—ho visto Pirlo giocare e tifare Juve dopo aver vinto tutto a San Siro, per citare il caso più eclatante. E anche se attraverso un processo piuttosto macchinoso e travagliato, i tifosi di calcio in questi anni stanno imparando lentamente a capire che i calciatori sono dei liberi professionisti che possono spostarsi di squadra in squadra come credono, per quanto possa ferirci.

Nel caso di Donnarumma, però, il problema non è—solo—lasciare la propria squadra, ma provocare un danno economico non irrilevante: non rinnovando il contratto, Donnarumma accetta sostanzialmente di andare via dal Milan a titolo gratuito tra 12 mesi, facendo perdere un capitale importante alla società alla quale diceva di tenere. Anche dovesse essere venduto questa estate, i milioni ricavati dalla sua cessione non sarebbero mai comparabili a quelli di una cessione fatta a contratto rinnovato e firmato—quando un giocatore va in scadenza costa molto meno, per farla breve.

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In alternativa, si poteva rinnovare il contratto ed esser ceduti anche il giorno dopo, così da poter tenere alta la quotazione e 'aiutare' la società che ti sta lasciando andare—è già successo qualche anno fa, al Milan, con Thiago Silva in uscita verso il Paris Saint-Germain. Ma così non è successo ieri, per quella che si può tecnicamente definire "un'infamata", per quanto legittima.

MINO RAIOLA

Mino Raiola è un personaggio piuttosto peculiare. Pre tre quarti dei tifosi di calcio è uno che movimenta prestazioni calcistiche da una squadra all'altra per il proprio interesse. Per un'altra piccola porzione invece è un genio dell'alta finanza calcistica che sposta calciatori e attenzione mediatica a sua totale discrezione e che si è fatto da solo, passando da gestire una pizzeria a gestire le prestazioni di Pogba. Un hustler ma con le tute comode anche quando è gradito il completo.

Contrattare con lui è sempre incredibilmente difficile, e i legami con certa stampa gli permettono di fare pressione su tutte le parti in causa, ma sempre a favore suo e del suo assistito.

"I always try to formulate a goal with a player: 'That is what we want. We're not going to sit and wait and see where the wind blows'", ha spiegato in un lungo profilo a lui dedicato sul Financial Times. È per questo che così tanti tifosi lo odiano: per molti è esattamente IL calcio moderno. Il calcio moderno che fa il bagno in piscina in Florida. Chiunque lavori con lui, quindi, è costretto a convivere anche con l'ombra della colonna infame, la cui incisione cambia in base all'assistito—"voltagabbana", "mercenario", "Mario Balotelli".

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CI HA PORTATI DI NUOVO A FARE UN INUTILE DIBATTITO SU COSA SIA IL CALCIO MODERNO E SULLA SCOMPARSA DELLE BANDIERE

Che è forse la colpa più grande che attribuisco a Donnarumma: da 24 ore si susseguono status di 28 centimetri su quanto non esista più il calcio di una volta, i giovani si facciano i tatuaggi, pensino solo ai soldi e giochino tutto il tempo con una cazzo di trottola che si tiene con due dita e che gira su se stessa per decine di secondi senza fermarsi.

Ma com'è ovvio che Donnarumma adesso dovrà convivere con quest'onta per tutta la sua carriera, allo stesso tempo è altrettanto naturale che alla prossima occasione in cui una squadra italiana potrà beneficiare di un tradimento altrui, in molti saranno ugualmente ben lieti di accogliere il reietto e farne un simbolo. Una bandiera.

Non meno di una settimana fa, per esempio, lo stesso Milan ha comprato la nuova giovane bandiera del Porto per meno di 40 milioni—un prezzo relativamente basso per chi è stato definito "erede di Cristiano Ronaldo", e ottenuto sfruttando un problema finanziario della squadra portoghese. Ognuno è il Donnarumma di qualcun altro.

Anche se i due casi non sono comparabili, però, sono il simbolo dell'elasticità morale che governa il mondo di chi segue il calcio, una nazione trasversale abitata da gente che tende a pensare a una persona prima come tifoso di una certa squadra, poi come uomo per sé—e della quale mio malgrado faccio parte.

Se lo chiedete a me, dovremmo liberarci dal calcio vissuto male e in modo per niente salutare, e affrontare cose dal potenziale oggettivamente triste con raziocinio e disincanto.

Personalmente, per esempio, spero che la platea del Bernabeu di Madrid sia molto paziente e comprensiva con Donnarumma, quando ci sarà occasione: il ragazzo ha solo 18 anni, e a quell'età si può serenamente sbagliare un'uscita nel derby contro l'Atletico :)

Thumbnail via Wikimedia Commons.