Musica

Emis Killa e Jake La Furia ci hanno raccontato '17'

Lo aspettavano tanti, molti, forse tutti e queste due voci storiche del rap italiano hanno risposto giocando a carte scoperte.
Carlotta Sisti
Milan, IT
Emis Killa Jake La Furia
TUTTO LE FOTO PER GENTILE CONCESSIONE DELL'UFFICIO STAMPA DEGLI ARTISTI

Per parlare di un disco così importante come questo 17 di Jake La Furia ed Emis Killa, conviene procedere per sottrazione. Come, per altro, sanno fare molto bene loro, quando, chiamati a descriverlo nella forma e nel messaggio, lo definiscono semplicemente “un disco rap, fatto bene”.

Si gioca a carte scoperte, insomma, e la dichiarazione d’intenti è ribadita sin dalla prima strofa della prima traccia, “Broken Language”, che avverte: “Tu sappi che qui non si trappa”. Non solo non si trappa, ma ci si concede persino un paio di giri in territori marcatamente old school e cento per cento classic, come in “L’ultima volta” con Massimo Pericolo, e si fa sfoggio della tecnica, senza, però, finire con l’essere stucchevoli.

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Emis Killa Jake La Furia 17

Perché, sempre volendo applicare il canone della sottrazione, alla base di 17 c’è l’amore per la cultura hip hop unita alla volontà comune di non volersi porre, oggi come ieri, nessun limite nella scrittura: come diranno all’unisono, “il compito di educare i ragazzi non è mai stato dei rapper”. Ed è il motivo per cui in queste diciassette tracce—abilmente modellate da compagni di beat di vecchia data come Big Fish e producer più nuovi come Kid Caesar—, potete trovare violenza e crimine, sesso e introspezione, droga e famiglia, ma anche fede e amicizia, come tradizione vuole.

In questi brani ci si crogiola tanto nella street credibility—“Come mai chi è di strada per la strada non parla di te?”, in “No Insta”, feat. Lazza—, quanto nell’auto celebrazione—“A fare sta roba sono sopra Dio, Lui può regnare in cielo qua ci sono io”, in “666”—ma non manca anche il momento per riprendere fiato dopo la sonora raffica di cazzotti, come nella morbida ballad di “Amore Tossico”, eppure la sensazione rimane sempre quella che Emis e Jake siano riusciti a fare esattamente il disco che volevano. Due artisti saldamente al timone di un’operazione ambiziosa iniziata più di un anno fa, che non hanno nessuna voglia di assecondare o essere accondiscendenti verso la scena attuale.

“Maleducato con il marsupio / Faccio una 16 che ti distruggo le casse e lo studio / E fuori dal cazzo, fra', prima di subito.”

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Si sono messi di traverso, “Maleducato con il marsupio, Faccio una 16 che ti distruggo le casse e lo studio, E fuori dal cazzo fra prima di subito” e hanno girato il loro “film crudo, tarantiniano”, come lo descrivono, forse indugiando troppo sul passato e meno sul presente. E allora di presente, ma anche di molto altro—compresi quei feat con Salmo, Fabri Fibra, Tedua, Lazza e Massimo Pericolo che sui social hanno innescato il prevedibile tormentone “dove sono Marra e Gué"—abbiamo parlato con Jake ed Emiliano, che, ovviamente, hanno messo in mezzo anche Vice.

Noisey: So che eravate pronti ad uscire ad aprile, ma quando è realmente nato il progetto di questo disco?
Jake La Furia: A livello di scherzo, è da un paio di anni e forse di più che ci stuzzichiamo a vicenda, però entrambi siamo stati mega impegnati con diversi progetti, tra cui, per me, quello nuovo di produttore musicale. Il progetto è partito sul serio ad inizio 2019, quando finalmente abbiamo trovato uno slot libero per dedicarci quasi solo a questo. Ci abbiamo messo un annetto, per realizzare questo disco, che era pronto già a marzo e doveva uscire ad aprile, ma poi sappiamo cosa è successo ed è stato posticipato. Non solo noi: tutto il mondo è stato posticipato.

Parte forte, “17”, con una traccia molto old school come “Broken Language”. Quanto conta l’apertura, il “biglietto da visita” di un album così atteso?
J: La prima traccia conta tantissimo, deve invogliarti ad andare avanti, sennò è come scoparsi uno che limona male: magari lo fai, ma con meno slancio. In questo caso, “Broken Language”, se da un lato è più easy a livello di produzione, perché è appunto un’intro, dall’altro è molto potente come rap e l’abbiamo subito piazzata lì in cima, senza alcun dubbio che riflettesse perfettamente lo spirito di 17.

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Emis Killa: Il primo pezzo è quello che mette in chiaro le cose. Io e Jake abbiamo voluto fare un album rap e quello è il pezzo più rap di tutti, con quel beat e le rime ad incastro, un po’ old school come concezione, quindi o lo ami o lo odi da subito. Una cosa di cui andiamo molto fieri, in un’epoca in cui i pezzi sono solo ritornello, è che quel pezzo non ha ritornello. Tutto rap.

Jake ha scritto di questo pezzo: “Nella mia personale Top Ten dei migliori rapper di tutti i tempi c’è sicuramente Smoothe da Hustler di Brooklyn, New York. Quando sentii per la prima volta il modo in cui lui e suo fratello Trigger tha Gambler si scambiavano le barre rimasi folgorato. Quel modo l’avevano inventato loro e l’avevano chiamato “Broken Language”. Il primo pezzo di 17 non poteva che chiamarsi così”. Come siete riusciti a far confluire in modo bilanciato i vostri riferimenti musicali?
E: Anche se Jake ha 10 anni più di me…

J: Ma li porto benissimo!

E: Sì, certo! Dicevo: anche se solo e sottolineo solo anagraficamente Jake è più grande di me, in realtà il nostro background è più o meno lo stesso. Al netto dei nostri artisti preferiti, parlo di un universo di riferimento fatto di regole, disciplina, cultura hip hop e graffiti. Io e lui abbiamo moltissimo in comune, a livello di ispirazioni e di gusto, motivo per cui non è stato difficile fare questo disco e rappare sulle stesse basi. Io, poi, non ho mai nascosto che lui è stato la mia grande ispirazione quando ho iniziato e di conseguenza meglio di così non sarebbe potuta andare.

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“Il primo pezzo è quello che mette in chiaro le cose. Io e Jake abbiamo voluto fare un album rap e quello è il pezzo più rap di tutti, con quel beat e le rime ad incastro, un po’ old school come concezione”

Qual è il pezzo più intimo per ciascuno di voi?
J: Si fa presto a capire, perché di davvero personali ce ne sono pochi. “Amore tossico” e “Lontano da me” sono senza dubbio i miei, ma dovessi dire uno per tutti e due, ti direi “Quello che non ho”, che chiude il disco. “Un dente per dente, chi nasce perdente ha un fuoco nelle viscere, vincere per sempre”. Qui spieghiamo come quell’insoddisfazione perenne di fondo sia, in realtà, il motore del successo, la spinta per non mollare mai, il motivo per cui chi ha sofferto per qualcosa a volte trova la motivazione per lottare per sempre. Puoi ottenere tutto quello che vuoi, ma ci sarà sempre qualcosa che non hai e quello sarà il tuo tarlo. È il nostro finale amaro di un film bello crudo.

E: Io ti dico il mio pezzo solista, “La mia prigione”. “La libertà è intraprendere una strada, E farla propria anche senza sapere dove porta / La prigionia è aspettare tutto il giorno un buon motivo per un’ora d’aria, dove l’aria è sporca”. Vedi, è tutto qui, tutto Emiliano e tutto Emis.

C’è una regola del numero 17 o una storia per cui lo avete scelto?
Jake ride: No, in realtà no, ma in compenso c’è un sacco di gente con delle teorie a riguardo, dimmene una e ce l’avranno sottoposta. Addirittura ci hanno detto che siccome in romano si scrive XVII, anagramma di “vixii”, quindi “ho vissuto”, poteva essere una roba esoterica legata alla morte. No: si chiama così perché i nostri figli sono nati tutti il 17, quindi ovviamente ci siamo tatuati il 17 e poi, dato che stavamo facendo il disco, abbiamo pensato che fosse il titolo perfetto, stop. Da lì abbiamo iniziato a giocarci, dalla catastrofe apocalittica della copertina al numero delle tracce, alla data di uscita che avrebbe dovuto essere venerdì 17 aprile ma poi c’è stata la pandemia, e ora esce il 18, che è un po’ il 17 a mezzanotte.

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Emis Killa Jake La Furia Malandrino

Tutto chiarissimo. Vi ho chiesto prima se il disco fosse rimasto lo stesso di marzo perché nel frattempo sono successe un bel po’ di cose, nel mondo e in Italia: qualcuna di queste vi ha fatto venire voglia di scrivere una traccia in più?
J: Essendo uno con l’occhio attento all’attualità, anche se il disco era pronto a marzo, io sono riuscito comunque a fare una rima sul Covid e qua voglio che tutti mi dicano che sono un figo. Però no, non mi è venuta voglia di aggiungere una traccia, perché è un disco pieno di citazioni, poco legate alla cronaca e molto di più al nostro bagaglio culturale, quindi com’era pronto mesi fa, lo è adesso e non lo cambieremmo di una virgola.

Entrambi siete notoriamente appassionati di sport da combattimento, per cui vi vorrei chiedere quanto secondo voi risulta deviata la comunicazione dei media quando, dopo l’omicidio di Willy Monteiro a Colleferro, individua l’origine del male nelle MMA.
J: Quanto è deviata? Cento. Ogni volta che succede una disgrazia, vile e schifosa come in questo caso, si cerca sempre, dal punto di vista giornalistico, di trovare un colpevole fuori. Ci sono delle bestie che si sono comportate da bestie, e si cerca la colpa non in loro, ma nella musica e negli sport da combattimento. La boxe e le MMA sono discipline che muovono milioni di dollari e di euro, che riempiono arene pazzesche ogni weekend, e alla fine di ogni combattimento gli atleti danno sempre, ma proprio sempre, esempio di sportività e rispetto. I professionisti che lavorano in questo settore stanno attentissimi ad esporsi per primi contro la violenza gratuita, quindi non si può dare la colpa ai ring, alle palestre, o alla trap. Questi crimini succedono, ed io ne sono convito di questo, non a causa di quello che c’è, ma a causa di quello che non c’è. Il problema è la cultura del niente, e la cultura del niente è quello che c’è in giro, i ragazzi non sanno niente di niente e finiscono con l’ammazzarsi di botte fuori dai locali senza motivo. Purtroppo c’è una cosa che mi viene da dire, e mi spiace perché è usata dalla lobby delle armi in America ma in questo sono d’accordo: non è vero che “guns kill people” ma che “people kill people”. Non sono le MMA ma è lo stronzo che le usa per uccidere un ragazzo.

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"Non spetta agli artisti educare i giovani, ma alle famiglie. I dischi escono con il parental advisor e noi siamo liberi di raccontare le nostre storie, in modo crudo. L’istigazione all’odio non viene certo dal rap ma da altri mondi, anche più istituzionali"

Un po’ come quando vi si chiede delle responsabilità che avete, parlando in modo esplicito di sesso, droga, violenza.

J: Sì, io che vengo dai Dogo ti posso dire che me lo domandano da tipo vent’anni e la mia posizione è sempre stata che non spetta agli artisti educare i giovani, ma alle famiglie. I dischi escono con il parental advisor e noi siamo liberi di raccontare le nostre storie, in modo crudo, ma nessun rapper della mia generazione ha mai scritto un pezzo dove incitava ad uscire ed ammazzare la gente o stuprare le donne. Nessuno, mai. L’istigazione all’odio non viene certo dal rap ma da altri mondi, anche più istituzionali.

Fate molto riferimento al rap delle vostre generazioni, mentre nel disco a volte picchiate duro contro la trap ed alcuni dei nuovi. Che cosa non vi convince?
E: Ci sono alcuni nuovi artisti bravi, con cui ho collaborato già prima di 17, ma altri invece fanno schifo. Ma se mi chiedi che cosa non mi convince di quelli che fanno schifo, ti dico semplicemente che non sanno fare musica. Non hanno delle belle rime, non hanno delle belle tematiche, non hanno delle immagini interessanti, mi sembrano più degli influencer che degli artisti. Sanno muoversi sui social, si vestono bene, sono stilosi, ma quando ascolto le canzoni non soddisfano le mie aspettative. Questo, per chi come noi è legato alle canzoni più che al cantante, fa diventare intransigenti. Poi oggi anche in Italia rap e trap hanno dietro una grande industria, con tantissime persone che ci lavorano, alcune delle quali pagate proprio per curare solo l’immagine, ma l’industria è nata grazie al consenso della gente, che anche qui ha glorificato il genere. Anche voi di Vice certe volte scrivete di certi come se fossero dei geni, poi uno se li va ad ascoltare…

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Emis Killa Jake La Furia

J: Dai che siete pieni di merda su Vice (ride). Minchia, ora devo farti un discorso lunghissimo, sei pronta?

Vai.
J: Purtroppo la genesi di questa, come la chiamava Battiato, “immondizia musicale” è dovuta al fatto che ormai siamo in un’epoca in cui tutto il consenso o non consenso si misura in termini di numeri digitali sui social. Il numero delle views decreta il successo o meno di qualcosa. A questo punto il problema è che se io la guardo per riderne con i miei amici o per prenderlo per il culo, genero lo stesso consenso di uno che lo guarda perché gli piace. Si perde il senso di ciò che è guardato per riderne e di ciò che è ammirato perché è figo e per questo ci ritroviamo una serie di fenomeni da baraccone che hanno visibilità ma per i quali la cosa che conta meno è paradossalmente la musica.

Il nostro attaccare la musica nuova non è attaccare la trap: ci sono amici che fanno da dio la trap, come Lazza che è nel disco con due feat, c’è Sfera che la fa egregiamente, però purtroppo quelle sono le punte di diamante di un genere dove, se fai schifo, va bene uguale. E io di sentire gente che ulula su dei beat che fanno cagare mi sono anche rotto. E te lo dice uno che ha fatto “El Party”, quindi sono tutto tranne che snob, però si possono fare cose dignitose anche andando sul tamarro pesante.

In quest’ottica secondo voi il vostro pubblico è cambiato?
J: Questo non te lo so dire, perché devo prima aspettare che il disco esca e soprattutto dovrei poter andare in tour e vedere le facce di chi ha pagato il biglietto. Però così a naso ti dico che il nostro non è un pubblico di super pischelli.

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E: Sicuramente rispetto agli inizi, verso il 2012-2013, quando ero un mezzo teen idol e mi seguivano un sacco di ragazzine, oggi ho un pubblico molto più maschile. Anche questo, credo, sarà un disco apprezzato soprattutto dai maschi.

“La genesi di questa, come la chiamava Battiato, ‘immondizia musicale’ è dovuta al fatto che ormai siamo in un’epoca in cui tutto il consenso o non consenso si misura in termini di numeri digitali sui social. Il numero delle views decreta il successo o meno di qualcosa.”

Tutti maschi anche i featuring.
E: Sì, volevamo pochi featuring ma potentissimi e così è stato. Nel caso di Lazza, in “No Insta” ci ha svoltato totalmente il pezzo, Vane (Massimo Pericolo) si è scelto lui il beat tra alcuni che gli abbiamo mandato, ed è venuto fuori “L’ultima volta”, bello classic, un pezzone che ci ha resi molto felici perché volevamo fortemente collaborare con lui. Salmo era perfetto per “Sparami” dove c’è anche il ritornello di Fibra, che è stato un figo e ce l’ha fatto praticamente in un giorno, mentre Tedua in “Cowboy” ha dato l’ennesima dimostrazione di essere uno dei più forti di tutti a scrivere, davvero un grande.

Ci sono tantissimi temi che arrivano addosso a mitraglia, ascoltando 17, ma se doveste dirmi qual è il suo cuore?
E: Essendo un disco rap con la vecchia attitudine, abbiamo messo su i beat e scritto quello che ci veniva, tipo flusso di coscienza. In ogni canzone c’è tutto e niente, tolti i pezzi proprio ignoranti. Quando si lavora così, si finisce per parlare di tutto, dai momenti più introspettivi, al ragionare di religione e di fede, per finire poi nella rima auto celebrativa. Non abbiamo pensato a un messaggio o a un filone che lega i pezzi, si tratta di un disco rap fatto bene.

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Emis, diventare genitore ha cambiato la tua scrittura?
No, assolutamente, anzi come dice Jake siamo peggiorati. Essere padre mi ha cambiato nella mia quotidianità, negli atti che compio tutti i giorni con, lì sì, un senso di responsabilità che prima non avevo. Per dire, non sto più al telefono mentre guido, cose di questo genere. Però sul fronte della musica non è cambiato nulla, forse perché i nostri figli sono ancora molto piccoli, ma molto anche perché io per primo ho avuto un padre musicista, bello squilibrato, ma per me impeccabile come genitore: io vedevo il papà, non tutto quello che succedeva intorno alla sua carriera di musicista e così sono certo sarà anche per i nostri figli. Un figlio, per me, non ti deve far venire voglia di censurarti, ma di essere ancora più libero.

E fa venire anche voglia di avere fiducia nel futuro, nonostante tutto?
E: Nonostante tutto il brutto che è successo e succede e nonostante io sia un bel po’ malinconico, sempre con le palle girate, allo stesso penso che la vita sia bellissima a prescindere, e di conseguenza se posso creare la vita, prendermene cura, allora certo che devo provare ad essere un minimo ottimista.

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