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Vice Blog

Dash Snow (1981-2009)

La notte scorsa sono tornato a casa e ho tirato fuori una foto che avevo fatto a Dash con la sua polaroid qualche anno fa, quando stavamo facendo tardi a casa sua. Lungo i bordi dell'immagine aveva scritto con una penna, "Moments like this never last… Krills, good times, great oldies." ["Momenti come questo non durano per sempre… il crack, la roba, il divertimento, i vecchi successi."—ndt] In questo istante, è difficile citare i riferimenti alla droga, ma sono proprio quegli stessi a ricordarmi il suo senso dell'umorismo e di quanto fosse vivo e lucido. Sembra che fosse riuscito a immagazzinare di più vivendo i suoi 27 anni rispetto a quanto non facciano tante persone in 80.

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Ho visto Dash per il 4 luglio ed era positivo, felice, sveglio. Quel giorno, sembrava completamente pulito e in pace, cosa che ha contribuito a rendere la notizia ancora più devastante. Era una delle persone più dolci, divertenti e completamente singolari che abbia mai conosciuto. E credo di averne incontrata ormai qualche dozzina. Abbiamo condiviso un sacco di avventure e notti e albe e tanti discorsi e tanta azione. Ci mancherà molto di più di quello che le parole potranno mai esprimere.

Circa un migliaio di anni fa, Ryan McGinley mi ha presentato Dash a casa sua sulla 7th Street, e adesso Ryan vorrebbe dire qualcosa. Ci sarà un grande tributo a Dash sul prossimo numero di Vice. Per adesso, lui e la sua famiglia sono nelle nostre preghiere—o come volete chiamare quelle cose che si fanno e che sembrano delle preghiere. Perché noi quelle cose le stiamo facendo adesso.

JESSE PEARSON

Ricordando Dash Snow, 14 luglio, 2009

Un estratto

Foto e parole di Ryan McGinley

Faccio fatica a ricordare il momento esatto in cui ho incontrato Dash. Mi sembra come se fossimo diventati migliori amici quasi immediatamente . Credo che ci abbia presentato Earsnot, nei tardi anni Novanta. Al tempo, Dash era un writer conosciuto come Sace. Lui e Earsnot avevano fondato la IRAK crew. Erano i peggiori vandali della città. E lui era il numero uno della lista nera della squadra anti-graffiti. Ma non sono mai riusciti a prenderlo. In qualche modo, riusciva sempre a venirne fuori o a scappare.

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Era il ragazzino più selvaggio che avessi mai conosciuto. Avrebbe taggato qualsiasi cosa, correndo sui tetti e arrampicandosi sulle scale antincendio. Mi ricordo che la prima volta che ci siamo incontrati, aveva appena finito di fare un pezzo su un lato del ponte di Brooklyn. Era pazzo. Si era appeso su un minuscolo cornicione esterno e aveva scritto un Sace enorme.

Dash ed io siamo stati immediatamente legati dalla fotografia. Uno dei nostri libri preferiti da sfogliare e di cui parlare era American Pictures di Jacob Holdt. Facevano sempre foto. Ci piaceva documentare le nostre avventure e poi confrontarle. Lui si portava ovunque la Polaroid. Le sue foto venivano direttamente dal cuore—aveva una vera e propria ossessione. Ho sempre pensato che scattasse delle Polaroid perché aveva il peggior caso di ADD che avessi mai visto: per lui era difficile anche solo aspettare quel minuto di sviluppo della foto.

Mi ricordo di quando ci trovavamo nel famigerato appartamento di Dash sulla Avenue C, dove le pareti erano tappezzate di maschere di Saddam Hussein, giornali porno, armi, copertine del New York Post… Agathe, sua moglie al tempo, si prendeva cura di noi, e specialmente di lui. Aveva bisogno di un sacco di attenzioni. Ho passato un sacco di tempo a fotografare la loro storia. È stata la prima coppia che mi ha permesso di fotografarla mentre faceva l'amore. Avevano un coniglietto, Gary, chiamato così in onore del writer Cinik, e un pappagallo, Sergeant Slaughter. Quando passavamo lì la notte, loro saltellavano in giro per tutto l'appartamento. Quando Dash era ubriaco, ti diceva sempre quanto ti voleva bene. E non si riusciva mai a fermarlo se cominciava a cantare le canzoni dei Rolling Stones. Poco prima del ritornello, ti dava un colpetto d'incoraggiamento e poi ti cantava tutte le parole in faccia.

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È stato una delle mie prime muse. Incarnava ogni cosa che volevo fotografare e ogni cosa che volevo essere: irresponsabile, sconsiderato, spensierato, selvaggio e ricco. Eravamo solo dei ragazzini che si drogavano, si comportavano male, fuori dai bar, ogni notte. Non ricordo di averlo mai incontrato alla luce del sole. Eravamo come vampiri. Abbiamo passato un sacco di tempo a sniffare cocaina nei bagni del Cock (quando stava sull'Avenue A) e del Hole (quando stava su Second Avenue). Quella riservatezza era così divertente. Credo di essere stato con Dash in ogni bagno di ogni locale al di sotto della 14ma. Pippando dalla tavoletta del water, inalando il richiamo dai reciproci pugni, e svegliandoci sempre il mattino seguente con le sue chiavi nella mia tasca e viceversa.

Ho vissuto così tante avventure con Dash che non riesco nemmeno a ricordarle tutte… guidare a Milano su una strada a senso unico a 100 all'ora, sparando al massimo volume "I did it my way" in un furgoncino. Indossare due completi rosa uguali per la mia prima mostra a LA. Farci tutta la droga fino a che il sole non sorgeva. Escogitare nuovi e innovativi sistemi per coprire le finestre con gli asciugamani, e le lenzuola, e i giornali, così che la notte durasse per sempre. E poi un cesso e un altro e un altro ancora. Perché mi ricordo soprattutto i bagni?

Una delle mie cose preferite di Dash erano i movimenti inconsci della sua mano. Si sedeva a fumare, e senza nemmeno accorgersene scriveva la sua tag nell'aria. E io sorridevo e osservavo il fumo volteggiare nelle lettere S A C E. È così che me lo ricorderò, per sempre.

Guardate un sacco di altre foto e lavori qui.