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Sono un professionista di scommesse calcistiche

A vederlo, Dirk Paulsen sembra un cinquantenne come tanti. Ma c'è una cosa che lo distingue dagli uomini della sua età: lui, per vivere, scommette sulle partite di calcio.

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VICE Sports

A vederlo, Dirk Paulsen sembra un cinquantenne come tanti. Ma c'è una cosa che lo distingue dagli uomini della sua età: lui per vivere, scommette. E anche se può sembrare, non è per niente pazzo. Ho deciso di parlare con lui per capire cosa voglia dire essere uno scommetitore professionista e come ti comporti quando perdi un sacco di soldi tutti in una volta.

VICE: Quindi tu ti guadagni da vivere con le sommesse. Quanta paura hai di sbagliare quando scommetti?
Dirk Paulsen: Ho molta pressione addosso. Specialmente perché ho sempre la tentazione di andare contro calcoli e statistiche e scommettere sulla base di sensazioni. Ma pensare in modo irrazionale può farti perdere un sacco di soldi. Ormai ho abbastanza esperienza e scommetto sempre in modo calmo e razionale. Non faccio più molti errori di questo tipo.

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Quanto guadagni di solito e qual è stata la tua perdita più grande?
A volte mi capita di guadagnare più di 10mila euro alla settimana. Ma ci sono anche momenti in cui ne brucio 30mila in un solo weekend. Ogni tanto questi periodi negativi durano anche a lungo. Dall'altra parte, devo riuscire anche a far andare avanti il più possibile i periodi positivi senza montarmi la testa. Quindi la logica è sempre la stessa, sia nel bene che nel male.

Tu scommetti principalmente sul calcio. Spesso tra un gol sbagliato e un gol segnato la differenza è la fortuna. Come calcoli su cosa scommettere?
Ho sviluppato un programma basato tutto sulla matematica. Le mie scommesse non hanno niente a che fare con la fortuna. Non mi lascio mai guidare dalle mie intuizioni. Si tratta sempre e solo di calcoli.

Hai sempre pensato che nella vita avresti fatto lo scommettitore?
Ho studiato matematica, ma nel frattempo ho iniziato a giocare d'azzardo. All'università ho sviluppato un programma a questo scopo. Giocavo a backgammon e a black jack. Poi ho cominciato con le scommesse sportive e ho sviluppato un altro programma specifico.

Quanti anni avevi quando hai iniziato a scommettere?
Avevo 24 anni, e un mio amico mi ha portato per la prima volta in un centro scommesse. All'epoca non esistevano ancora le scommesse su internet. All'inizio non avevo capito molto, ma avevo scommesso comunque. Avevo perso 10 marchi e mi ero incazzato. Così ho iniziato a pensarci e a fare calcoli che mi permettessero di vincere.

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Quando hai iniziato a vincere grazie al tuo programma?
Ho scommesso in modo professionale e organizzato per la prima volta durante gli Europei del 1988. Ho vinto circa 4mila marchi. Poi sono arrivati i mondiali del 1990, e per l'occasione ho completato il mio programma. Ed è stato un vero successo. Dopo i mondiali ho lasciato il mio lavoro da programmatore per dedicarmi a tempo pieno alle scommesse.

So che può sembrare folle, ma ero bravo. Potevo farcela. Quando avevo 26 anni ho vinto 20mila dollari ai mondiali di backgammon a Montecarlo. Non era una velleità, la mia. Sapevo che avrebbe funzionato.

Eri giovane, avevi 20mila dollari in tasca ed eri a Montecarlo. Dev'essere stata una bella serata.
Sì. Ho fatto un po' di cose stupide, o per meglio dire mi sono divertito un po'. Montecarlo è fatta apposta per divertirsi. Dopo quella vittoria ho girato per circa due mesi, dopodiché sono tornato a giocare d'azzardo.

Pensi che per te scommettere e giocare d'azzardo siano una specie di dipendenza?
Non proprio. All'epoca alla fine me ne sono andato da Montecarlo. Avevo capito che si trattava solo di fortuna e che non sarebbe durato a lungo. Ero andato a Montecarlo con 5mila marchi in tasca e dopo sei settimane passate tra feste e divertimento a Saint Tropez, Nizza e Parigi sono tornato a Berlino senza aver perso un solo centesimo.

Che cosa ti rende diverso dalle altre persone che scommettono e giocano d'azzardo?
Il fatto che io non ho una squadra del cuore o un numero fortunato. Seguo solo la scienza e la matematica. Ho raccolto un sacco di dati e creato un sacco di statistiche, roba che credo potrebbe interessare alle squadre, agli allenatori, ai manager, ai giornalisti sportivi, a chiunque insomma. Le classifiche con cui valuto i risultati delle squadre e i trend sono molto più precise di quelle comunemente in uso. Ho anche un modo tutto mio di calcolare quanto influisce la fortuna nel risultato dei miei calcoli.

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E come calcoli l'influsso della fortuna?
Te lo spiegherò con un esempio. Se un giocatore del Werder Brema sta conducendo un'azione d'attacco e ha la possibilità di tirare da lontano, diciamo da più di 20 metri, è probabile che ci provi. E se ci prova non ha molte possibilità di segnare. Se invece si tratta di un giocatore del Bayern, è più probabile che cerchi un compagno in una posizione migliore a cui passare la palla.

In più c'è anche il fatto che un giocatore migliore tende a usare meglio le possibilità che gli si presentano. Per cui se Lewandowski del Bayern e Hosiner del Colonia hanno le stesse possibilità di segnare, Lewandowski segnerà il 50 percento delle volte e Hosiner solo il 25.

Come reagisce la gente quando gli spieghi quello che fai?
Alcuni pensano che abbia qualche sistema per barare, il che ovviamente non ha senso. Scommettere è tutta questione di matematica. E per fortuna nella società di oggi è vista come una cosa normale. Ma in generale mi capita di rado di avere problemi per quello che faccio.

Come spieghi ai tuoi figli la natura del tuo lavoro?
I miei figli più giovani stanno pian piano arrivando a capire. E capiscono che in questo modo in casa ci sono sempre soldi e che possono avere sempre quello che vogliono. Non so cosa rispondano quando qualcuno a scuola gli chiede che lavoro faccio. Immagino che dicano che lavoro nel campo delle scommesse sportive. Di sicuro non se ne vergognano.

Pensi mai di dare il cattivo esempio facendo questo lavoro?

Il mio figlio più grande ha 18 e poco tempo fa voleva trovarsi un lavoro. Gli ho proposto di aiutarmi. È stato nel mio "ufficio" una settimana e ha iniziato a studiare il mio programma e il mio sistema di statistiche e classifiche. È una specie di eredità che voglio lasciargli. Anche perché al momento oltre a me non c'è nessuno che sappia far funzionare il mio programma. Per cui no, non mi sembra di dare il cattivo esempio.

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