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Una volta per tutte, sono farmacodipendente?

Tutti mi accusano di essere dipendente dai farmaci, ma la verità è semplice: non mi piace soffrire. Ho chiesto a una professoressa di farmacologia come agiscono le sostanze legali sul nostro cervello, e cosa significa davvero 'farmacodipendenza'.
Illustrazione di Sarah Schmitt.

Ultimamente mi fa male lo stomaco. Vagliate tutte le ipotesi ho scoperto che dipende dalla quantità di antidolorifici che ingerisco (ibuprofene, ketoprofene, ketorolac trometaina, nimesulide). Senza i quali comunque mi fa male la testa, il mal di testa mi fa venire da vomitare e quando vomito mi viene male allo stomaco. Un'immagine non bellissima di human centipede che mi ha costretto a chiedermi cosa significhi per un corpo essere regolato da sostanze esterne e se hanno davvero ragione le persone intorno a me a chiamarmi "farmacodipendente." So che in tanti là fuori si sentono dire cose del genere perché il rumore bianco della loro esistenza è il puff della nebulizzazione del Ventolin.

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Ho dunque deciso di scoprire se siamo tutti dei drogati o se tutti ci vogliamo così bene da cercare di mantenerci in salute, anzitutto perché di questa farmacodipendenza ci sono in giro idee vaghe. Per districarmi ho anzitutto interrogato la Treccani, secondo cui la farmacodipendenza è una "condizione di incoercibile bisogno di continuare a fare uso di particolari farmaci, e soprattutto sostanze psicotrope, cioè di stupefacenti (nel qual caso è più frequente il termine tossicodipendenza)." Insomma cosa cambia se Coleridge si imbottisce di oppio per curarsi i reumatismi o per diventare il più grande poeta che preferisco? Cambia solo quello che la nostra società, compresi i puritani dell'illegale, è disposta ad accettare o meno.

"Il discrimine tra droghe e farmaci non esiste," mi ha poi spiegato la prof. Anna Maria Di Giulio, ordinario di Farmacologia all'Università degli Studi di Milano. "Molte sostanze che noi usiamo come farmaci se usate in modo improprio da un punto di vista medico possono essere sostanze d'abuso, come alcune sostanze d'abuso possono essere usate, in un contesto medico, quali importanti studenti terapeutici."

Pertanto, quello che fa di un farmaco un farmaco non è una linea netta ma il posizionamento in una gray area: fa più bene che male. Per esempio prendiamo la morfina e l'LSD, due sostanze egualmente potenti. Entrambe potrebbero essere considerate farmaci, perché entrambe "interferiscono con i nostri meccanismi fisiologici: una patologia è un discostamento dalla fisiologia, e può essere riportata alla norma dall'intervento farmacologico. Di fatto la morfina è un potente antidolorifico, molto utile nel controllo del dolore grave di origine oncologica" mi spiega la prof. Di Giulio. Ma allora perché la mia amica Vittoria ha avuto come premio per essersi fatta uscire un osso cadendo in motorino una pera di morfina e l'analista non mi ha mai estorto informazioni con dell'LSD—che pure inizialmente è stato utilizzato in campo psichiatrico per liberare la mente della costrizioni sociali ed educative che impediscono ad alcune memorie di riaffiorare? "Perché alcune sostanze, pur avendo funzioni curative, sono talmente tossiche, nocive, che non possono essere usate neppure sotto stretto controllo medico."

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Oltre a effetti collaterali variabili ma sempre presenti—gli oppiacei legali o meno portano depressione respiratoria, che è la causa di morte per overdose—la tossicità è collegata al grado di dipendenza che queste sostanze inducono. Se pure un'aspirina se siete allergici può farvi tornare polvere, sono tre le caratteristiche che fanno etichettare una sostanza come pericolosa: anzitutto che agisca primariamente sul sistema nervoso centrale, "le sostanze d'abuso danno percezioni sensoriali anomale, allucinazioni, interferiscono con la sfera psichica e affettiva." In secondo luogo sono sostanze dagli effetti immediati. E poi c'è una terza caratteristica che funziona come una specie di "cappello" sopra tutte le sostanze d'abuso, indipendentemente dai loro effetti e da quello che cerchiamo in loro: "direttamente o indirettamente tutte hanno la capacità di interferire con un certo gruppo di neuroni situati nel sistema limbico che utilizzano la dopamina come neurotrasmettitore," mi spiega la farmacologa.

Insomma è una vera e propria dipendenza fisica, tale col farmaco quale con la droga (se avete fatto il liceo classico lo sapete già, se avete visto Trainspottinganche). In termini chimici e anche in termini fisici non c'è differenza tra le due categorie: se le assumi per un po', il tuo corpo inizierà ad avere bisogno di queste sostanze per funzionare, e se le assumi più sei a rota, ovvero le attività che quelle sostanze regolavano non funzionano più.

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A rigore non sono farmacodipendente. Tuttavia. "La dipendenza fisica non è la sola perché esiste anche, spesso interrelata con essa, una dipendenza psicologica che spinge a dare priorità alla ricerca di questa sostanza e alla ripetizione dell'esperienza. Parliamo di non essere in grado psicologicamente di andare avanti nella vita senza sapere che io ho la possibilità di avere accesso alla molecola."

Il punto non è che ho un bisogno incoercibile di assumere i farmaci, ma che ne ho uno incoercibile di averli a portata di mano. È anche questa dipendenza? Sì, ma diversa: "Dagli antidolorifici come anche dagli ipnotici non si cerca l'esperienza particolare—uno vuole solo dormire o non sentire il dolore. È logico che nel momento in cui l'individuo ha un beneficio da una patologia, tanto più se questa provoca dolore, c'è una forte giustificazione nel fatto di essere dipendente. È diverso da uno che va a cercare degli effetti euforizzanti o di distacco dalle delusioni dalla vita—è una motivazione diversa."

"L'aspetto emotivo e l'aspetto psicologico hanno un'influenza molto grande. È dimostrato che chi prende farmaci con scopi terapeutici ha molte meno probabilità di diventare dipendente rispetto a chi lo prende con fini 'esperienziali'."

Quindi, concludo arbitrariamente, la mia è una vera dipendenza dalle medicine in quanto tali, non una farmacodipendenza. È vero, sono assuefatta: un tempo mi bastava del paracetamolo e oggi voglio paracetamolo+tramadolo cloridrato, ma la mia è la dipendenza da un'idea di possibilità di soluzione, non da un'idea di evasione. Non che non ci siano conseguenze. "Se da un lato è comprensibile voler porre fine a una situazione spiacevole come il dolore, dall'altro si sviluppano situazioni endogene," che vuol dire che a forza di dormire con i sonniferi non dormi più senza i sonniferi. "Se posso permettermi i farmaci fanno più male che bene, è un dato di fatto. Anche se al bisogno vanno usati—è inutile nascondersi, meno male che li abbiamo."

A proposito di averli, una delle bugie che mi piace raccontare è che il fatto che la mia famiglia sia composta da medici non ha influenzato il mio rapporto di affetto nei confronti dei farmaci e di tendenze omicide nei confronti degli antivaccinisti. A casa mia ci sono sempre stati animali domestici e medicine, e infatti anche l'aspetto ambientale conta moltissimo: se vivi in un'atmosfera in cui tutti sono consapevoli del fatto di quanto sia invalidante e pesante quello che provi sarai più prona e libera a un uso più frequente di farmaci, a differenza di un ambiente in cui devi nasconderti.

E a proposito di ambiente avverso, il nemico numero uno di chiunque venga accusato di prendere troppe medicine è la soglia del dolore. La tua supposta bassissima soglia del dolore viene derisa dalle persone circostanti che affrontano stoicamente i loro capogiri. Quando proponi a una persona che ti dice mi fa male la testa la tua comprensione e un antidolorifico ti guardano come un untore. "No, metto un po' la testa sul tavolo," dice il membro del club dei poteri taumaturgici innati. Di solito questo individuo e quelli simili a lui ti considerano uno schiavo del mito dell'efficienza capitalista che non può venire a patti con il fatto che per farsi passare il mal di testa deve passare il pomeriggio a letto, al buio, a riposare.

La verità è che, a differenza di quanto diceva Renton su sua madre, questa forma di dipendenza non è affatto più socialmente accettata della dipendenza da sostanze stupefacenti. Anzi. Meno trasgressiva, molto meno sexy, niente film che ne parlano. Ma adesso comunque la marijuana è un medicinale e quindi immagino che ci vediamo in farmacia.

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