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Saluti e baci dalla Val di Susa

In Val di Susa sabato è stato il giorno dei NoTav, per protestare ancora contro la realizzazione della linea veloce Torino-Lione. Abbiamo seguito il corteo, e questo è ciò che abbiamo visto e sentito.

Venerdì sfilano gli studenti, a Roma, Bologna, Torino, Genova e Milano, sabato tutti gli altri, il fiume in piena a Napoli, gli anti-CIE di Gradisca, i NoMuos a Palermo, gli antifascisti a Firenze, i pro-occupazione a Pisa e persino i giovani Fiamma Tricolore che a Legnano non si sentono sicuri. In Val di Susa sabato è stato il giorno dei NoTav, per protestare ancora contro la realizzazione della linea veloce Torino-Lione, un’opera che in vent’anni di progetti, cantieri e proteste ha fatto prendere posizione anche a chi, in Italia, di posizioni non ne ha mai voluto sapere. Capisco di essere sulla strada giusta quando a 50 km dall’arrivo vedo il primo posto di blocco. Mi guardano ma ho tagliato la barba, tutto bene. I NoTav arrivano a Susa dopo un periodo di pausa. Il governo francese si era zittito, i lavori erano in stallo e alcune parti del movimento avevano cominciato a sperare in un esito positivo. Poi non è andata così, e martedì scorso a Roma la protesta è ripresa, ufficialmente, grazie ai 317 sì della camera a favore del disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell'accordo tra Italia e Francia. Le prime avvisaglie di ripresa risalgono però a ottobre, quando il governo farcisce il provvedimento anti-femminicidio di un po' di tutto, dall'emergenza Nord Africa alla maggiore libertà concessa alla Protezione civile e alla salvezza delle Province. Incluse nel pacchetto anche le misure per la messa in sicurezza dei cantieri Tav, con l’impiego dei militari per i servizi di vigilanza a “siti e obiettivi sensibili,” come il cantiere di Chiomonte. Quello di sabato è un corteo pacifico, che si muove da Susa a San Giuliano e ritorno, percorre 5 km ad anello e non finisce mai, almeno per me, che a un certo punto mi fermo e cerco di capire quanta gente ci sia. Sto fermo 21 minuti e guardo il corteo dalla testa in giù. Al ventunesimo minuto non vedo la fine, prendo e mi muovo. I NoTav di sabato sono 7.000 per la questura, 30.000 per gli organizzatori, 80.000 per qualcuno del movimento 5 stelle, che alle 17.03 twitta un "complimenti", e dieci minuti dopo lo cancella. Ci sono poliziotti, digos e carabinieri, coprono tutte le possibili "fughe" dal percorso e sono distribuiti da qui a Torino, all’uscita dei caselli e nelle stazioni. Ad oggi le forze dell’ordine in Val di Susa “sono costate 74 milioni di euro, una media di 90mila euro al giorno.” Tutta la Tav dovrebbe costare 8.5 miliardi, di cui 2.9 italiani, 2.2 francesi e 3.4 dell'Unione Europea. Dei soldi e degli sprechi me ne parla Alberto Perino, ex-banchiere, sindacalista Cisl dal 1974 e volto pubblico del movimento NoTav dal 2005, con il primo presidio del tunnel di Venaus. Perino è quello che si dice uno con le idee chiare: odia le grandi opere in generale, non ha tv né un computer ma sa benissimo cosa significa farsi intervistare e dov’è la luce giusta per una foto. Passeggiamo per un po'. “Susa è la città più militarizzata d’Italia, adesso ci stiamo dirigendo a San Giuliano perché a San Giuliano, se mai riuscissero a farla, ci sarà la più inutile stazione ferroviaria del mondo.” È venuta un bel po’ di gente, chissà quanti sono. “È vero: sono in tanti, no? Ma io non ho mai contato nessuno e non ho mai dato i numeri. Una volta dicevo che eravamo più che sufficienti per fermare i cantieri, poi loro sono arrivati con i lacrimogeni e tutto il resto, e noi abbiamo rimandato. Ma solo rimandato." Intorno è pieno di addetti stampa, e i corrispondenti di Ansa, La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Il Manifesto, Huffington Post, la troupe di Al Jazeera, la Rai e SKY Tg24 sono tutti presenti per un movimento che negli anni non ha (quasi) mai deluso. Aspettano qualcosa che poi non succede—nessuno lancia una pietra o taglia una recinzione, vola un bacio ma va bene anche così, tanto a Roma è il giorno di Berlusconi e di Alfano e le prime pagine sono a posto. La struttura del corteo è a modello Titanic, prima donne e bambini a cavallo di un trenino in gommapiuma, poi gli anziani, le amministrazioni, e dietro tutti gli altri, NoTav comunisti e NoTav cattolici, più o meno giovani della valle ma anche del resto d’Italia. Negli ultimi anni, il movimento NoTav ha occupato le autostrade, assaltato i cantieri, camminato, manifestato e detto la sua, diventando uno dei movimenti più No d’Italia, più dei NoMuos, dei No Dal Molin e dei No Grandi Navi. I NoTav sono stati i primi di una dottrina movimentista che ha ripreso forza negli ultimi dieci anni dopo un buco di niente. Questo è successo anche grazie a quelle teste di cazzo che hanno riempito i Tg con sassi e sciarpe, perché se non ci fossero stati, l'interesse intorno ai problemi dei sostenitori del No non sarebbe mai arrivato fino a questo punto. Ad oggi il progetto Tav è sempre lì, in sospeso, e i NoTav manifestano, ma il pubblico a cui si rivolgono ha la capacità d’attenzione di Pippo Franco e la stampa da cui pretendono attenzione va spronata. E come loro, i movimenti che sono nati dopo hanno cercato di fari i conti con questi problemi. In occasione dei 150 anni dell’unità d’Italia, i NoTav hanno pubblicato i loro 150 motivi per cui la Tav è un errore. Il documento inizia con un “il progetto della nuova linea ferroviaria Torino Lione è un caso esemplare di questo tipo di infrastrutture […]”, poi procede, con una serie di No che prendono a oggetto il trasporto merci, il fattore soldi, il territorio, la salute, le perizie e le manutenzioni.  Potete non crederci, e potete confidare nel fatto che l'Italia deve pur avere delle buone ragioni per portare avanti un progetto nonostante vent'anni di blocchi, costi e problemi. Se li saran pure fatti due calcoli. D'altra parte però, anche solo per motivi statistici, in 150 motivi, qualche cosa di buono c'è, e arrivare almeno fino a metà può essere un buon inizio per farsene un'idea. Banchetto NoTav. Bandiera comunista 5 euro, vino "dipende". Al contrario, uno di quelli che si è sempre battuto per il Sì è Stefano Esposito, parlamentare torinese PD e autore di TAVSI, il libro dei Sì. Tra i suoi “Cinque motivi fondamentali per realizzare la nuova linea ferroviaria Torino-Lione nell’ambito delle reti transeuropee,” compaiono l’importanza di una nuova linea, il volume degli scambi, la diminuzione del trasporto su gomma, l’ambiente e i soldi dell’Europa. Ora, sull’ultimo punto concordo, chi non vuole i soldi degli altri? Sul penultimo ho dei dubbi e non è di mia competenza (ma sua). Riguardo ai primi tre invece, ho un paio di motivi tutti i titoli per dire che forse anche no. Il pubblico NoTav. In passato, per motivi che non andrò qui a elencare (soldi), ho scritto di trasporto merci. Grazie a questa esperienza, oltre a quasi incontrare Putin, mi sono occupato di quelle realtà di cui altrimenti non mi sarei mai interessato, e cioè gli operatori del ferro, della gomma, di aria e acqua. E sapete che c’è? Che è vero, il mercato del trasporto merci in Italia fa schifo, gli autotrasportatori non hanno nessuna intenzione di mollare e il trasporto su gomma in Italia è il più conveniente. Quando un treno arriva in Italia si deve fermare e 80 volte su 100 deve ricaricare il suo contenuto su un camion. Non conviene. Occorre una soluzione. La più ovvia è anche la più facile: sviluppare nuovi percorsi ferroviari. È una soluzione, certo, ma non in Val di Susa. Negli ultimi dieci anni il volume di traffico passante per il Frejus è diminuito del 72 percento. Ok, ma se ci fosse una linea nuova, più veloce, più bella e più tutto, le merci aumenterebbero, la crisi finirebbe. No, non in Val di Susa. Perché se dal 1996 i trasporti con la Francia sono diminuiti, così non è lungo le direttive Svizzera e Austria, infrastrutture o meno. L’economia segue regole di interesse, e le merci, la maggior parte delle merci, vanno da nord a sud, o da sud a nord, non da est a ovest, e il capitano della nave che scarica a Barcellona per fare arrivare le merci via treno a Genova è un idiota. Si chiamano autostrade del mare, e come tutto del resto, puntano alla convenienza, non alla Val di Susa. Ma torniamo a Esposito. Esposito è sempre stato un sostenitore del Sì, ma si è anche stancato e con il problema delle compensazioni ha deciso quasi di chiamarsi fuori. “Non posso fare il cane da guardia al Parlamento e al Governo," ha dichiarato qui. "Tre diversi ministri hanno promesso questi fondi alla Val di Susa e questa è la quinta volta che si tirano indietro.” Esposito parla degli otto milioni di euro che il governo doveva versare in Val di Susa per risolvere i problemi derivanti dai cantieri Tav e che sono stati rimandati al 2016. Ad aspettarli c’erano i due sindaci del Sì, a Susa e Chiomonte, che adesso non li avranno più. Chissà se cambieranno idea sul consenso. Quella di Esposito è una stanchezza che condivide anche il dimissionario Caselli, procuratore capo di Torino, che dopo anni di insulti, a dicembre andrà in pensione. Qui lo salutano tutti. Lui è Luciano e oggi fa il generale russo. La divisa è originale, gliel’ha data uno delle ex-forze speciali della ex-Unione Sovietica. Luciano è attivista, movimentista e blogger. Oggi si è messo in divisa perché la militarizzazione che c’è in Val di Susa “è più pesante di quella dei tedeschi durante la guerra.” Non è la prima volta che si veste così, lo fa dal 2005. Una volta a Venaus è stato tra i pochi a superare i posti di blocco, mi dice. “Sono passato, sono sceso dalla macchina e mi hanno accolto. Li ho passati in rassegna, tutti i poliziotti, erano in fila, e non si sono accorti di niente.” Forza Russia. Verso la fine, il corteo arriva  all’hotel dei poliziotti distaccati in valle, e i milanesi, un collettivo di una trentina di ragazzi, intonano dieci minuti di cori, da "Su-sa-libe-ra" a "Hanno-acceso-la-trivella chi-sia-stato non-si-sa." Luciano gli passa accanto. Tutto il resto scorre via. Prima della partenza circolavano voci di attacchi all’interporto, un'incursione in autostrada e due pullman da Roma pieni di gente che "non ha una bella faccia." Poi niente. I NoTav arrivati a Susa sono più di quelli che gli organizzatori si aspettavano, e forse per questo decidono che va bene così. È sera e dopo tre ore di marcia il corteo torna al punto di partenza, alle spalle della stazione, nel parcheggio. Il trattore NoTav ospita le casse e le bandiere, e da lì parlano gli organizzatori. Quello dei 5 stelle (con fischi dalle retrovie), Perino, e un tizio da Bilbao che fa parte del movimento contro la Tav nei Paesi Baschi (è al telefono, o è registrato, non ho capito, ma la sua voce suona un po' come il Tom Tom del 2003). Il messaggio è lo stesso, "Ci vediamo a Roma." La prossima tappa NoTav è infatti prevista fra due giorni, quando Letta cercherà di convincere Hollande che un sì alla camera e un boh al senato sono abbastanza—le votazioni in senato per ratificare l'accordo pro-Tav sono ancora a data da destinarsi. I francesi sembrano decisi, la Tav si farà, ma fra un po’, mentre Lisbona ha già detto che non può permettersi di far parte del corridoio europeo e a Kiev resta il dubbio. Figurarsi Mosca, dove in un mondo ideale l’Europa vorrebbe arrivare. Resta il fatto che la Tav in Val di Susa procede, e questo nonostante, sin dagli inizi, debba fare i conti con un rapporto azione/reazione. Negli ultimi vent’anni, ci si è mossi da una soluzione "Tav" per cercare un problema che ne motivasse i perché. Il risultato è stato individuato nella generalizzazione più comoda disponibile: lo sviluppo. Sviluppiamoci sviluppandoci che le cose cambiano cambiandole, peccato che la Tav non sia una soluzione generica a un problema generico, ma una soluzione specifica a un problema che va bene sempre e comunque—lo sviluppo, appunto.  Le istituzioni parlano di Tav nello stesso modo con cui un bambino grasso parla di marmellata. La vogliono, è una questione di principio, attaccamento e orgoglio. Le autorità italiane si presentano ai sostenitori dello sviluppo europeo come un maschio alfa che ha paura di fare brutte figure. Poi è vero, spesso capita di pensare che sì, alla fine è progresso no? Tirate giù quei vecchi dalla baita e ditegli che il futuro è arrivato. Vogliamo fare un discorso razionale? La verità, principi a parte, è che a qualcosa la Tav serve. Però esistono delle priorità, e i soldi in Italia sono quelli che sono. Gli unici che avrebbero diritto ad volere la Tav sono i NoTav. Oggi il treno Torino-Susa impiega più di un'ora per arrivare a destinazione. I due centri distano 50 km. Se non la vogliono loro l'alta velocità, le priorità di Roma dovrebbero guardare altrove, magari L'Aquila, o la terra dei fuochi, o i CIE, o la scuola, magari molto altrove. Segui Giorgio su Twitter: @sm_uu Altrove: Cosa abbiamo visto veramente a Roma il 19 ottobre

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