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Non è semplice violenza, ma terrorismo di stato

Lo sostiene Mustafa Sarisülük, fratello del manifestante ucciso da un poliziotto durante una protesta per Gezi Park ad Ankara.

Foto di Dogu Eroglu

Il primo giugno, a poche ore dall'inizio delle proteste in Turchia, Ethem Sarisülük, un operaio e attivista per i diritti umani di Ankara, è stato ucciso da un poliziotto con un colpo di pistola alla testa. Dopo tredici giorni in terapia intensiva, il cuore di Ethem si è fermato e la famiglia ne ha dichiarato la morte. Dieci giorni più tardi, Ahmet Sahbaz, il poliziotto che ha ucciso Ethem, è stato rilasciato; secondo il giudice avrebbe agito per legittima difesa. Una settimana fa il processo è stato sospeso, ma gli avvocati criticano questa pratica ritenendola una strategia guidata dal governo al fine di proteggere la polizia.

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Durante le ultime settimane molti hanno continuato a riunirsi a piazza Taksim, e la polizia a rispondere con tattiche analoghe a quelle che hanno portato Ethem e altri due manifestanti alla morte. Di recente ho parlato con il fratello di Ethem, Mustafa Sarisülük, del giorno della morte di Ethem, della risposta delle autorità e della lunga tradizione turca in fatto di terrorismo di stato.

VICE: Grazie alle dimostrazioni di Gezi Park la violenza della polizia turca è divenuta oggetto di attenzione generale, ma non è un fenomeno nuovo: dal 2007, sono più di 140 le persone uccise dalla polizia. Qual era il tuo punto di vista sulla cosa, prima di questa tragica serie di eventi? 
Mustafa Sarisülük: “Terrorismo di stato” mi sembra più appropriato di “violenza della polizia”. Dopo quanto successo, molti pensano che la polizia agisca a favore dell’AKP e, quindi, della violenza. Non è così semplice—la polizia è una forza armata paramilitare che serve lo stato. Dall’inizio della Repubblica turca, lo stato ha governato tramite despotismo, violenza e massacri. Grazie alle proteste di Gezi Park, l’oppressione è divenuta evidente a tutta la società.

In passato tu ed Ethem avevate avuto esperienza diretta di questo sistema?
Dopo gli eventi degli anni Novanta legati allo "Stato profondo" [che rivelarono l’esistenza di gruppi paramilitari interni al governo], ho sentito il bisogno di mettermi in gioco a causa di tutte le violazioni dei diritti umani che stavano avvenendo, della violenza sulle persone, delle uccisioni extragiudiziali. Anche se era poco più che un ragazzino, Ethem veniva con me alle manifestazioni. Da quel momento abbiamo esercitato i nostri diritti di protesta, di libertà di assemblea ed espressione. Abbiamo affrontato in più casi sia la violenza che la custodia cautelare.

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Prima che l’AKP salisse al governo, nel 2002, la violenza proveniva principalmente dai militari. Ora che l’AKP è al potere da dieci anni, spesso la responsabile delle violenze è la polizia. Come interpreti questi cambiamenti?
Anche se l’AKP sostiene di difendere i diritti umani e di aver rimosso lo Stato profondo, non ha mai agito in quel senso. Non ci sono stati cambiamenti riguardo alle torture e alle uccisioni della polizia. Per me, l'assassinio di Uğur Kaymaz riassume perfettamente il decennio—quando il presunto terrorista fu trovato morto con il padre c’erano più pallottole nel suo corpo che anni nella sua breve vita; aveva dodici anni. Il fatto che queste uccisioni siano rimaste nell’ombra conferma che l’AKP sta proseguendo la sua tradizione. Oggi, la gente che incita alla “solidarietà contro il fascismo” per le strade non è solo contro l’AKP, ma anche contro tutta la tradizione di stato che c'è dietro.

Foto di Adnan Onur Acar, Nar Photos

La repressione contro le manifestazioni pacifiche a Gezi Park del 31 maggio ha alimentato proteste in altre città, inclusa quella a cui hai partecipato ad Ankara. Come l’hai vissuta?
Avevo saputo dell’attacco da parte della polizia a Gezi Park, ma lavoravo, quindi ho dovuto aspettare sabato, il primo giugno, per unirmi ai cortei. Ero in piazza Kizilay quando la polizia ha iniziato ad attaccare con una forza inaudita. Alcuni ragazzini—era la loro prima volta a una manifestazione—hanno riportato ferite al cranio o avuto problemi alla vista per via dei lacrimogeni. Nel tumulto ho cominciato a proteggere chi mi stava accanto. La polizia mirava alle teste dei civili e alla parte superiore del corpo, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Ho soccorso gente con braccia o gambe rotte, il tutto mentre il terrore della polizia continuava a imperversare. Poi ho sentito degli spari, intorno all’una.

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Per tutto il corso delle proteste, il governo ha cercato di giustificare la brutalità della polizia dicendo che gli agenti avevano lavorato a lungo in condizioni pessime. In ogni caso, il primo giugno le proteste ad Ankara erano appena cominciate, e la polizia non era per niente stanca.

Avrei veramente voluto avere una telecamera, quel giorno, per documentare ciò che ho visto. La polizia cercava di uccidere; ho trascinato via da solo dozzine di feriti gravi. Ho visto alcuni poliziotti sdraiati, posizionati come dei cecchini. Tempo di prendere la mira, avrebbero sparato i lacrimogeni puntando direttamente alle teste. Non appena sono arrivato, sabato, ho subito capito che la violenza della polizia avrebbe causato conseguenze gravi e morti.

Quando hai scoperto che avevano sparato a Ethem?
Circa un’ora prima che gli sparassero, Ethem era già stato ferito mentre cercava di proteggere una donna. Indossava un passamontagna e le faceva da scudo contro i lacrimogeni. Uno di questi l’ha colpito alla nuca. Ethem era sempre in prima linea in eventi come questo, quindi mentre ero in piazza ci pensavo. Appena ho iniziato a cercarlo abbiamo sentito degli spari. Avendo visto che la polizia aveva sparato in aria qualche colpo, non mi è venuto subito in mente che qualcuno potesse esser stato colpito. Poi ho visto una barella correre verso l’ambulanza, da lontano, ma di nuovo, non ho pensato direttamente a lui. È stato solo quando abbiamo ricevuto la chiamata dall’ospedale che ci siamo resi conto della situazione.

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Foto di Esra Kocak, BirGun

Cos’è successo quando siete arrivati in ospedale?
Non appena l’ho visto ho capito che non ce l'avrebbe fatta. Sono andato dai medici a chiedere i risultati della tac. Ci hanno mostrato le immagini, e abbiamo visto la pallottola ancora profondamente conficcata nel cervello di Ethem. Aveva attraversato entrambi gli emisferi.

Il governo ha dichiarato che Ethem era stato ferito dalle pietre lanciate dai manifestanti. Com’è uscita la verità?
Il filmato dell’incidente era una prova schiacciante. L’agente Ahmet Şahbaz prende a calci un manifestante, abbassa lentamente la pistola e spara alcuni colpi. Uno dei colpi raggiunge Ethem alla testa. L’uccisione è evidente, ma in quel momento c’era in ballo una campagna di censura. Abbiamo contrastato la censura condividendo le immagini dell’incidente sui social media ed entrando in contatto con diverse ONG. Il cervello di Ethem ha smesso di rispondere una settimana dopo lo sparo, ma abbiamo aspettato alcuni giorni, sperando in un miglioramento. Il 12 giugno, quando abbiamo dichiarato pubblicamente la morte cerebrale, il Ministro della Salute ci ha contraddetti dicendo che Ethem era ancora in coma e che la sua situazione stava migliorando. L'abbiamo perso il 14 giugno.

Il 24 giugno il primo ministro Erdoğan ha dichiarato, “la polizia è rimasta entro i limiti della legge, scrivendo una gloriosa pagina di storia.” Lo stesso giorno, il poliziotto che ha ucciso Ethem è stato rilasciato. Il verdetto ha influito sulle tue aspettative per il processo?
Inizialmente il Primo Ministro aveva dichiarato che non avrebbe permesso che qualcuno “prevaricasse la [sua] polizia”. In quel momento abbiamo capito che il processo si sarebbe evoluto in quel senso. Le indagini sul luogo dell’incidente, le dichiarazioni degli esperti, le testimonianze oculari, i filmati, tutto fa capire che quel poliziotto ha commesso un omicidio. Il giudice non ha considerato nulla di tutto ciò, né ha considerato l’autopsia su mio fratello e il resoconto balistico come prove schiaccianti.

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Pensi ci siano delle circostanza che avrebbero potuto legittimare lo stato di legittima difesa?
Assolutamente no. Mentre tutti gli ufficiali si stavano ritirando per ordine del comandante, quello che ha ucciso Ethem ha continuato ad avanzare, ha dato un calcio a un uomo ed è arrivato in mezzo alla folla. A quel punto ha tirato fuori la pistola e ha sparato.

Dogu Eroglu si occupa di giornalismo d’inchiesta per un sito turco che vuole far luce sulle violenze. Ha pubblicato testimonianze di vittime di violazioni dei diritti umani. Scrive anche sul quotidiano BirGun, ed è uno dei membri fondatori dell'Associazione turca degli obiettori di coscienza.

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