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La terra del biocidio

Abbiamo parlato con i ragazzi di Fiume in Piena a proposito della manifestazione contro il biocidio nella provincia di Napoli e Caserta.

C’è una zona tra la provincia di Napoli e quella di Caserta a cui ci si riferisce come fosse una piccola nazione. Legambiente nel 2003 le ha dato il nome “la Terra dei Fuochi”; è la zona dei comuni di Qualiano, Giugliano, Castelvolturno, Caivano, Orta di Atella, Marcianise, Succivo, Frattaminore, Frattamaggiore, Mondragone, Melito, Acerra, Nola e Marigliano—questi ultimi tre già parte del cosiddetto “Triangolo della morte”.

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Una piccola nazione con istituzioni che hanno permesso alla criminalità organizzata di sversare in maniera quasi indisturbata di circa 10 milioni di tonnellate di rifiuti nel terreno, sia rifiuti urbani che industriali—compresi scarti di industrie petrolchimiche, le scorie della lavorazione dell’alluminio, i liquidi contaminati da metalli pesanti, l'amianto e altre sostanze velenose, che in più di vent'anni si sono infiltrate nei campi, nelle falde acquifere, e che a causa dei frequenti roghi (i “fuochi” che danno il nome alla terra) accesi per “smaltire” i rifiuti solidi sono finite anche nell'aria. Un posto dove la Camorra guadagna da questi rifiuti, le industrie soprattutto di nord e centro risparmiano sui costi di smaltimento, e la popolazione si ammala di tumori dalle due fino alle tre volte più frequentemente (e in modo più violento) rispetto al resto d’Italia.

Ci sono stati momenti in cui la storia della Terra dei Fuochi era sulla bocca di tutti, come nel 2007-2008—nel libro Gomorra c'era un intero capitolo a riguardo, e l'emergenza rifiuti aveva riacceso l'interesse sul tema delle ecomafie—ma la giornata di sabato 16 novembre 2013 ha dimostrato che il problema non solo non si è risolto, ma sta esasperando la popolazione. Fiume in Piena è il nome del comitato organizzatore della manifestazione che ha affollato le vie principali di Napoli con oltre 70.000 persone provenienti dalle zone colpite da quello che gli organizzatori stessi hanno battezzato “Biocidio”, un termine che da dizionario fa riferimento solo all’omicidio di animali, o di qualsiasi agente in realtà nocivo all’ambiente, ma che ora vuole indicare tutte le morti di persone causate dal continuo abuso dell’ambiente da parte delle mafie.

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Gianmaria Tammaro, 22 anni, è tra i promotori di Fiume in piena. Ci parla della prima manifestazione di quest’ultimo periodo, organizzata dal fondatore del comitato “Terra dei fuochi” Angelo Ferrillo il 26 ottobre 2013, dove i partecipanti erano stati circa 30.000. I comitati che denunciano e studiano la situazione esistono da almeno vent’anni, e sono sempre stati attivi, da ben prima del desecretamento dei verbali del pentito Carmine Schiavone del 1997—dalla loro pubblicazione, qualsiasi programma di news che voleva dedicare qualche minuto al tema ecomafie ha fatto ribadire a Schiavone l'anatema “Tra vent'anni rischiano tutti di morire di cancro.”

Fiume in piena invece è una novità, è nato da circa tre settimane, e ha lo scopo di unire tutti i comitati su una piattaforma comune: “Il nostro scopo era mettere insieme la cittadinanza attiva e l’uomo della strada, dare visibilità alla popolazione che da anni lotta e non viene ascoltata, e anche coinvolgere chi non se n’è mai interessato.” Il nucleo centrale di persone che fanno parte di Fiume in piena erano già attivisti in alcune associazioni, tra le quali Let’s do it, l’organizzazione nata in Estonia con l’obiettivo di sviluppare piani d’azione contro lo smaltimento illegale dei rifiuti. Gianmaria è stato coinvolto perché scriveva di questi argomenti, molti altri partecipanti sono studenti che si sono interessati al tema. L’età media è tra i 24-25 anni. Tutti ragazzi che nonostante i rischi, non hanno intenzione di lasciare il territorio, perché andarsene vorrebbe dire voltare le spalle e smettere di combattere. “È la nostra terra, e andarsene per l’esasperazione non la aiuterà. La nostra è la generazione che torna a stare male rispetto a quella precedente, e se non facciamo qualcosa immediatamente sarà sempre più difficile per le generazioni successive.”

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I comitati hanno accettato subito di entrare a far parte della piattaforma, e l’interesse verso Fiume in piena e la manifestazione del 16 novembre è arrivato da tutte le parti. Le caratteristiche principali della manifestazione dovevano essere due: la pacificità, e la apartiticità. “Non possiamo pensare di essere apolitici, ognuno di noi ha un determinato pensiero politico. Ma siamo apartitici per due ragioni: per prima cosa, sono stati questi partiti e questo sistema a vedere e non agire, oppure hanno favorito le persone che ci hanno portato a questa situazione. Le istituzioni sono state conniventi permettendo lo sviluppo dell’economia mafiosa del trattamento dei rifiuti diciamo ‘creativo’, portando al biocidio. E poi non vogliamo che la piazza che abbiamo raccolto debba essere solo di un determinato partito politico; la forza della nostra manifestazione è stata questa: c’erano tutti, a parlare con un’unica voce.”

Un momento di leggera tensione durante la manifestazione c’è stato con l’arrivo del gonfalone, lo stemma della città di Napoli, come ci spiega Gianmaria: “Noi abbiamo detto che ci avrebbe fatto piacere avere il gonfalone alla manifestazione, perché unisce tutta la cittadinanza, ma quando si è posizionato a inizio del corteo gli abbiamo dovuto chiedere di spostarsi. La cittadinanza attiva deve venire prima delle istituzioni.” A dare un aiuto all’organizzazione anche i giornalisti Domenico Iannacone e Amalia di Simone, che hanno moderato la serata in Piazza Plebiscito. Alla testa del corteo, insieme ai ragazzi con lo striscione #fiumeinpiena STOP BIOCIDIO, c’è anche Don Patriciello, il parroco di Caivano, con i suoi compaesani che tengono le fotografie dei bambini morti di cancro e leucemia causati dall’esposizione a veleni.

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Dal successo della manifestazione, il tema della terra dei fuochi è tornato sui media, e per quanto l’attenzione sia sempre utile per far conoscere un problema di simile gravità, è bene essere cauti su quelle che potrebbero essere le conseguenze di un eccesso di interesse: “Non vogliamo che questo interesse si traduca in iniezioni di denaro impulsive, perché c’è un grosso rischio: che le stesse persone che hanno causato il problema siano poi quelle coinvolte nella soluzione.” Infatti si sta già parlando di infiltrazioni della Camorra per mettere le mani sui soldi statali destinati alle bonifiche.

Il movimento chiede innanzitutto una mappatura dei territori: a tutt’oggi non si sa ancora quali siano quelli inquinati e quali no, quali siano recuperabili, quali potrebbero essere bonificati in dieci anni con la sola coltivazione di canapa e quali hanno bisogno di più tempo. E soprattutto, ci vorrebbe una mappatura delle acque e dei pozzi. “Il fatto stesso che manchi un’informazione esatta data da parte di istituti specializzati porta a un duro colpo alla nostra economia, che noi cerchiamo comunque di promuovere e difendere.”

Le richieste che seguono quella della mappatura vengono di conseguenza: bisogna fermare i roghi e i versamenti e aumentare il controllo del territorio; bisogna inserire il reato ambientale all’interno del codice penale - finora è bastato il pagamento di una multa - e assicurare alla giustizia i responsabili, “che sono identificabili, anche se retoricamente si dice che ‘i responsabili siamo tutti noi’,” precisa Gianmaria; si deve preparare un piano di bonifica che venga dal basso, dai cittadini che hanno studiato terreni e acque negli ultimi vent’anni; infine, creare un istituto per la consultazione delle informazioni riguardanti i dati ambientali della zona.

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”Quello che manca è l’informazione, e ciò che ha fatto la manifestazione di sabato è stato un balzo in avanti. Non c’è stata la solita retorica che viene da un palco, o un vittimismo infantile. I primi interventi dal palco sono stati di Bossolo di Fiume in piena, che ha raccontato chi siamo, cosa abbiamo fatto e cosa vorremmo. Quello che facciamo non è una proposta, ora è il momento di dire ‘Bisogna fare così’.”

Il 30 novembre ci sarà un’assemblea pubblica a Napoli, e il prossimo progetto è una nuova manifestazione che coinvolga anche le persone fuori dalla Campania, possibilmente a Roma, per ricordare che questo non è un problema di un territorio, ma di tutte le persone.

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