
Tutto quello che dovevo fare era avventurarmi alla volta di una delle numerose, isolate, piccole basi che punteggiavano l’orizzonte sterile e riarso e seguire le truppe di fanteria inglesi in pattugliamento per assistere coi miei occhi alla caotica realtà della guerra: scontri a fuoco lunghi giorni interi, attentatori suicidi che saltano su jeep non blindate sbucando da dietro le bancarelle del mercato, IED [


Gennaio 2010 – “Cristo di un Dio. Stava proprio qui.”
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“Va tutto bene,” dice. “Presto sarà morto.” Agosto 2009 – “È come quella merda del Vietnam.”

Giugno 2007 – “Loro sono i nostri re.” Il dito del capo della polizia del distretto di Gereshk trema mentre si alza nell’enfasi. È un piccolo uomo con una barba brizzolata e ben tenuta. “Le azioni dell’ISAF [International Security Assistance Force] sono inutili,” dice. “Loro se ne vanno, e i talebani tornano. Non fanno differenze. Non vedono differenze tra donne e bambini e i talebani.” Pensavo che stesse esagerando, che stesse cercando di convincere tutti che li capiva. Ma poi ho saputo che anche lui ha perso molti membri della sua famiglia in un raid aereo, cosa che non aveva sorpreso nessuno, tranne me. “Mi hanno colpito con una forza tale da lasciarmi paralizzato. Cosa posso fare? Ho perso quattro fratelli. Come farò a prendermi cura delle loro famiglie?” Quando finisce, i capifamiglia iniziano a discutere sui bombardamenti, dicono che spesso i talebani sono già lontani quando le bombe vengono sganciate, che la sicurezza sta peggiorando, e che molti civili si uniranno presto ai talebani, se la situazione non migliorerà. “La vita per me non ha più senso,” dice uno. “Ho perso 27 membri della mia famiglia. La mia casa è stata distrutta. Si sono portati via tutto quello che ho costruito in settant’anni.” Portano dentro contenitori di metallo, li mettono sui tavoli di fronte al gruppo, li aprono. Ai capifamiglia danno 500 afghani, per cui firmano lasciando l’impronta del pollice destro bagnato nell’inchiostro. Per ogni membro della famiglia che è stato ucciso ricevono un indennizzo pari a 2.000 dollari scarsi. “Io ho perso 20 persone, mi hanno dato due milioni di afghani [circa 36.000 dollari],” mi dice uno. “Era circa mezzanotte e mezza, quando le vostre forze armate sono arrivate nella nostra area. C’era uno scontro, ma i talebani si sono ritirati. Più tardi è arrivato un aereo che ha sganciato bombe sulla nostra casa. Hanno distrutto due stanze. In una c’erano i miei due nipoti e mio figlio. Mio figlio è sopravvissuto. L’ho tratto in salvo dalle macerie. Sei della famiglia di mio zio erano nell’altra stanza. Sono tutti diventati martiri. Sono stati sepolti lì. Ho portato via i bambini e sono tornato per tirare fuori quelli rimasti sotto le macerie. Mentre cercavamo di salvare gli altri, i bambini erano così spaventati che hanno iniziato a correre via. Dall’aereo li hanno mitragliati, uno per uno. “Vogliamo solo la sicurezza, che siate voi a portarla, o i talebani. Non siamo per la guerra. Siamo per la pace e la sicurezza. Se tu porti pace e sicurezza, sei il nostro re. Se loro portano sicurezza, loro sono i nostri re.” Per vedere il documentario di Ben tratto dalla sua esperienza in Afghanistan, cliccate qui.