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Nike Tiempo

Generazione mondiale

Cose che accomunano Ramos, Cole, Piqué, Tévez e Varane: giocano a calcio, avranno un ruolo da protagonisti nei Mondiali e non sono esattamente degli sparring partner. Si dà il caso siano anche cinque dei volti (e delle paia di piedi) scelti da Nike per...

Cose che accomunano Sergio Ramos, Ashley Cole, Gerard Piqué, Carlos Tévez, Raphäel Varane: giocano a calcio, lo fanno molto bene, avranno un ruolo da protagonisti nei Mondiali in Brasile e non sono esattamente degli sparring partner. Si dà il caso siano anche cinque dei volti (e delle paia di piedi) scelti da Nike per i vent'anni di Tiempo, e quindi questo è il posto giusto per parlare di loro. Con l'avvicinarsi dei Mondiali abbiamo infatti pensato di ripercorrerne le esperienze dentro e fuori dal campo, ciò che li ha lanciati dalla ribellione adolescenziale alla ribellione nel gioco, ognuno a modo proprio.

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A chi dici timido?

Sergio Ramos ha 27 anni, ma se ne sente molti di più. Nel 1996 debuttava già con le giovanili del Siviglia, mentre la maggior parte di noi aveva appena scoperto le meraviglie della Playstation. Leggenda vuole che in una delle prime partite si sia trovato davanti il fratello maggiore di 23 anni. Quest’ultimo prima del match scherzava con Sergio, prendendolo in giro per la sua giovane età. Lui avrebbe dovuto marcarlo.

Quella che è successa dopo è un'altra delle cose che avremmo potuto fare nei primi anni dell'adolescenza—e per lo più non abbiamo fatto: invertire le dinamiche fratello maggiore-fratello minore a nostro vantaggio. In uno scontro aereo durante la partita, Sergio salta più in alto del fratello e per non lasciarsi sfuggire il pallone allarga il braccio, colpendogli il labbro col gomito e facendolo sanguinare. L’arbitro non fischiò. La partita di Sergio, che aveva appena 13 anni, fu talmente surclassante che l’allenatore della squadra avversaria dovette sostituire l’altro Ramos.

Trasferito dal Siviglia al Real nel 2005 Ramos veste la camicia bianca come se fosse la cosa più naturale del mondo. Con i Galácticos vince tre campionati, una coppa di Spagna e due supercoppe. Con la Spagna due campionati europei e uno del mondo.

Il momento decisivo della sua carriera è nel 2012 a Donetsk, in Ucraina. Dopo 120 minuti Spagna e Portogallo sono ancora sul pari. Ai rigori, dopo gli errori iniziali da entrambe le parti, è il turno di Sergio. Non è un rigore come tanti, perché soltanto alcune settimane prima ne aveva sbagliato uno in semifinale di Champions contro il Bayern Monaco. Dopo quel rigore sbagliato Sergio era stato fortemente criticato dalla stampa: "Per quel mio errore soffrirono anche mia madre e mia sorella. I giornali mi distrussero," ricorda. A quanto pare il fratello aveva già sofferto abbastanza per la gomitata, non sappiamo. Come nelle migliori storie, segna con il cucchiaio. "Non avevo nessuna pressione, ne avevo già sbagliato uno. Sono stato premiato, perché ero diventato più forte. Ho imparato molto nel corso del tempo, da quell’errore col Bayern mi considero un veterano." Ecco una frase che potete riciclare quando toccherà a voi sbagliare un rigore in finale di Champions League e poi vincere tutto il resto.

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A chi dici finito?

Non provate a dirglielo, a meno che non vogliate avere a che fare con questa faccia. Ashley Cole è tra i 50 giocatori più forti della storia dell’Arsenal, e la sua esperienza nel calcio è legata indissolubilmente ai Gunners. Un veterano lo è di sicuro per l’anagrafe: quando in un’intervista di quest’anno un giornalista ha detto che avrebbe compiuto 34 anni, Ashley ha dimostrato di non gradire quell’anno in più (c'è bisogno di ricordarvi la faccia?). Per Cole l’età conta (ahah): "se non riuscissimo a vincere questo mondiale so che molti mi diranno che la colpa è di noi vecchi, di noi che non abbiamo saputo farci da parte per dare spazio alle generazioni più giovani."

Cole debutta in Premier League nel 1999. Quando giocava nelle giovanili la posizione che preferiva era l’attacco, giocare davanti come il suo eroe Ian Wright. "Poi un giorno durante una partita," ricorda Cole, "mi sostituirono con un terzino e allora sono andato a coprire quella zona di campo. All’inizio quel ruolo mi annoiava, non mi piaceva per niente. A quel tempo i terzini dell’Arsenal erano immobili, non attaccavano mai. Poi arrivarono Cafù e Roberto Carlos, e allora tutto è cambiato." Qui cita due tipi che, per la cronaca, tiravano fuori cose di questo genere.

Grazie all’infortunio di Sylvinho, Cole sfrutta al massimo le sue capacità offensive al servizio della fascia. Con l’Arsenal ha vinto due premier League e tre FA Cup. Poi perde il posto da titolare nella squadra per la quale ha sempre tifato da bambino e la storia d’amore finisce. Passa all’altra squadra di Londra, il Chelsea, e nonostante la maglia non fosse la sua preferita raggiunge altri traguardi importanti: un’altra premier league e altre due coppe d’Inghilterra, ma soprattutto una Champions League e una Coppa Uefa, trofei che ancora mancavano nella sua bacheca. Quello Nazionale rimane il suo ultimo obiettivo. La coppa del Mondo in Inghilterra è un tema delicato, ché da quelle parti si è a bocca asciutta da troppo tempo (anzi più o meno da sempre, come potete notare dai vividi colori di questa foto).

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Quando gli dicono che in Nazionale ha fatto il suo tempo e deve farsi da parte, lui risponde: "Io non rinuncerò mai al mio Paese, e se verrò selezionato ancora, allora sarò lì per vincere e giocare al meglio che posso, come ho sempre fatto quando ho indossato la prima volta la maglia dell’Inghilterra." Non è arrivato ancora il momento di dire addio.

A chi dici carino?

Gerard Piqué ha già vinto tutto quello che c’era da vincere a 27 anni. Sembra una frase fatta, ma quando giochi nel Barcellona di Messi devi pur tenerlo in conto—e nel frattempo conquistarti un posto da titolare. Catalano, entra nelle giovanili del Barça a dieci anni. Da quel giorno ha vinto: quattro campionati spagnoli, due Champions, due coppe di Spagna, due Coppe Uefa e due Coppe del mondo per club. Con la Nazionale ha centrato entrambi gli obiettivi, europei e mondiali. Eppure sembra che ancora non abbia raggiunto una fiducia universale.

Del resto gli invidiosi si attaccano davvero a tutto pur di non credere alla perfezione. "La stampa non soltanto ha criticato il gioco del Barcellona e della Spagna, ma è riuscita anche a mettere in discussione il mio ruolo e, cosa più assurda, il fatto che fossi troppo bello per giocare a calcio." Piqué è pronto anche a questo tipo di critiche. "Ho sempre avuto fiducia in me stesso, la cosa più importante per essere un calciatore e un uomo."

Lo ha fatto quando a 17 anni è partito per Manchester lasciando le giovanili del Barcellona, per poi passare al Saragozza e poi di nuovo al Camp Nou. Ha vissuto queste esperienze extra-blaugrana come lezioni utili a imparare il mestiere—una specie di Erasmus leggermente più prolifico, diciamo—e oggi è diventato uno dei giocatori chiave della squadra. "Con l’esperienza accumulata negli anni sono in grado di gestire pienamente il mio ruolo. Da dove sono io posso vedere i movimenti dei centrocampisti, dei terzini e degli attaccanti. La squadra ha bisogno di me e di questa organizzazione. Ha bisogno dei miei ordini." Affidarsi a lui è il sogno di qualunque giocatore, e affidarsi alla sua partner quello di tutti gli altri.

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A chi dici fuori di testa?

Carlos Tévez a 30 anni ha saputo rimescolare le sue carte. Acquistato dalla Juventus per 9 milioni, l'equivalente calcistico di una station wagon di seconda mano, Tévez una volta di più ha fatto veder a tutti che razza di giocatore è. Dopo aver sbancato nelle competizioni per club ha preso in mano la squadra torinese fin da subito con il numero più pesante della sua storia, il 10 rimasto orfano di Alessandro Del Piero. La Juventus ha deciso di assegnarglielo, e lui non si è lasciato intimorire mantenendo lo stesso spirito di quando giocava a calcio nel barrio, a Buenos Aires. Perché nella vita ne ha viste di più complicate di un numero di maglia da onorare.

"Il quartiere dove sono nato mi ha fatto capire cosa davvero voglio nella vita. Sono rimasto lo stesso di sempre. A Buenos Aires giocavamo con un pallone di stracci, che non era rivestito né di pelle né di plastica. Per calciare quel pallone dovevi essere rabbioso, feroce." Da quei giorni al barrio Tévez ha realizzato più di 200 gol. Ha vinto Champions League, Coppa intercontinentale, Premier League, Fa Cup… Ha l’animo del vincente l’Apache, perché giocare con rabbia è l’unico modo che conosce, anche solo dovesse accanirsi contro un innocente pollicione di Facebook.

A chi dici giovane?

"Sono una persona discreta e timida nella vita di tutti i giorni, ma non sul campo." Così si presenta Raphaël Varane, uno che ha cominciato la carriera nel modo più difficile. La sua squadra, il Lens, al primo anno da pro, dopo un’annata disastrosa retrocede in seconda divisione, ma Varane non farà la stessa fine. Grazie alle sue doti attira su di sé l’interesse di molte società europee. Il Real Madrid se lo aggiudica per dieci milioni, senza però fargli occupare la panchina storicamente affollata dei Galacticos. Varane non si fa attendere e già nel derby contro il Rayo Vallecano mette a segno un gol di tacco, liberandosi della pesante eredità di un nome troppo simile a quello di un cavallo. Poco dopo Marca gli ha infatti attribuito il soprannome di Mr Pulitino in virtù dei pochi errori commessi sul campo, e lui non sembra averla presa male.

A gennaio del 2013 con il Real Madrid gioca il Clasico in Coppa del Re, la sfida di club più importante del mondo. La sua squadra è in svantaggio, e dall'altra parte c'è il sopracitato Gerard Piqué. In campo smentisce chi al suo arrivo in Spagna lo aveva scambiato per un francesino "troppo giovane," con troppa poca esperienza dal basso delle 23 partite disputate nella Ligue 1: di testa mette a segno il pareggio con il quale il Real ipotecherà il passaggio del turno. Da quel momento la squadra ha il suo nuovo eroe, e lo schiera in tutte le partite importanti.

"È questione di maturità, di sentirsi pronti, non di certo una questione anagrafica," ribatte. "Anche se ovviamente certe cose si acquisiscono con l'esperienza."

Didier Drogba che se lo troverà davanti in Champions League dirà: "È uno dei difensori centrali più forti del mondo." Quando l’ha saputo Varane ha risposto: "È un piacere, molto lusingato. Ma non mi devo sedere sugli allori, devo continuare ad andare avanti." Niente male per un ragazzo appena ventenne. Chissà se anche la sua clausola rescissoria di 200 milioni di euro sarà più di una semplice lusinga.