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Perché su internet si comportano tutti come degli stronzi?

Non ci riferiamo solo ai vostri amici che postano foto delle vacanze.

Domenica scorsa su Twitter molti hanno preso parte al #TwitterSilence, un boicottaggio del social network della durata di 24 ore per protestare contro le molestie verbali e la misoginia che dilagano. Sono sorpreso che non sia successo prima, dato che siamo di fronte a una tendenza sempre più evidente negli ultimi anni—subire violenze è diventato parte della vita quotidiana su internet, soprattutto tra le donne.

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Ma i comportamenti volgari stanno realmente crescendo, o diventano solo più visibili? Molti utenti creano account dedicati appositamente a scovare e prendere di mira le persone con grosso seguito per infastidirle. Anche un comune feedback può sembrare un abuso, se amplificato dalla massa. Per dirla altrimenti, c’è una bella differenza tra un bambino che dà dello scemo a un altro e centinaia di bambini che stanno intorno a uno a urlargli, “Sei scemo!”

Il fatto è che, secondo me, Twitter non ha capacità di bilanciare. Non dovrebbe essere pensato perché la gente intrattenga decine di migliaia di connessioni, e non sono nemmeno sicuro che lo siano le persone che lo usano—almeno non senza una qualche strategia per gestire il tutto.

Entra anche in conflitto con i modi che la nostra società adotta nel relazionarsi alla celebrità. Ho perso il conto del numero di volte in cui ho sentito dire che le persone con un buon numero di contatti  dovrebbero imparare a “subire”, come fosse una penitenza in cambio della popolarità. Ho molti problemi con il modo in cui certi personaggi pubblici si presentano ed esprimono le proprie idee online, ma alcuni dei loro nemici—e questi sono nemici, non semplici avversari—li trattano come sacco da boxe, una buona personificazione su cui sfogare odio e frustrazione.

E allora perché succede? La gente di solito dà la colpa all'anonimato, che incoraggerebbe questo tipo di atteggiamento. È una spiegazione allettante, specialmente quando così tante delle violenze che riceviamo ci vengono rivolte da anonimi, ma le prove a sostegno di questa ipotesi non appaiono comunque sufficienti. Il professor Tom Postmes traccia il punto della situazione (via Helen Lewis) dicendo: “In tutta la ricerca online di cui siamo a conoscenza, l'anonimato non ha mai avuto l’effetto di ridurre la consapevolezza di sé.” Adrian Chen, che scrive di troll per Gawker, nota che: “La cosa più importante che ho capito scrivendo di troll è che sono più o meno gli stessi sia online che offline.”

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La giornalista inglese Caitlin Moran, tra le sostenitrici del #TwitterSilence di domenica (immagine via)

La ricerca di attenzioni è un’altra possibilità—da qui il motto, “Don't feed the troll”—eppure spesso le violenze continuano anche senza reazione. Skepchick riassume così il problema: “Gli abusi continueranno, perché non vogliono attenzioni—è bullismo. Voglio potere su di te. Vogliono il tuo silenzio, e l’hanno ottenuto.”

Sorprendentemente, il bisogno di potere rimane perlopiù un aspetto poco ricercato nella questione. Ma è ampiamente riconosciuto che le dinamiche di potere giochino un ruolo fondamentale in altre forme di abuso. Lo stupro è da lungo tempo usato come mezzo di controllo, e gli stupratori tendono a essere motivati più da un desiderio di potere che da un vero “bisogno” di sesso. Perché le molestie online dovrebbero essere diverse? È difficile non notare uno schema ricorrente nella misoginia o, più in generale, nell'aggressività nei confronti di personaggi pubblici di entrambi i sessi. In entrambi i casi, fra le righe sembra leggersi, “Non mi piace quando queste persone parlano, quindi darò loro fastidio finché non smettono.”

La salute mentale è un altro bell’argomento. Negli ultimi cinque anni ho incontrato diversi esempi in cui persone con problemi mentali hanno formato gruppi online che sembrano esacerbare i loro problemi. Psichiatri e operatori della salute mentale mi hanno detto—in forma anonima, per ovvie ragioni—che alcuni pazienti hanno creato dei forum chiusi in cui si scambiano discussioni paranoiche sulle persone che li hanno in cura e strategie sui trattamenti che ricevono.

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A volte questi gruppi nascono intorno a condizioni particolari, sindromi, o anche specifici dottori. Nel Regno Unito, una piccola minoranza di persone affette dalla Sindrome da Fatica Cronica ha lanciato la campagna più paranoica che abbia mai visto, culminata nell'abbandono da parte del profesor Simon Wessely delle sue ricerche sull’argomento. A quanto pare, si sentiva più sicuro con il suo nuovo lavoro—in Iraq.

Non è complicato trovare queste comunità online, ma provare a relazionarsi con loro da esterni è molto difficile. Si comportano più come culti che come gruppi convenzionali di pazienti, e a mio avviso mettono seriamente a rischio i loro membri. Faccio questi esempi perché siamo caduti in una retorica facile, che divide nettamente tra bulli e vittime, chiedendo protezione per questi ultimi e sanzioni per i primi. È davvero così semplice, però? Non voglio cadere nella trappola di sostenere che chiunque mi attacchi debba avere una qualche forma di malattia mentale—sarebbe ridicolo. Allo stesso tempo, non posso ignorare la sensazione che alcune di queste persone abbiano bisogno di aiuto.

Il problema di fondo è una mancanza cronica di informazioni e prove. È difficile persino trovare una definizione di “abuso”—specialmente quando il “trolling” è usato come etichetta per tutte i comportamenti “indesiderati”—figuriamoci misurarlo. E l’idea che internet ci renda in qualche modo più aggressivi ci porta a lanciare accuse di ogni tipo.

Forse ci crediamo semplicemente troppo. I nostri media tendono ad agire da specchio della nostra società, e internet è lo specchio più sveglio e impietoso mai inventato; uno specchio che riporta ogni singolo capello grigio e ruga. Se ci sorprendiamo di ogni comportamento altrui, forse è solo perché non ci eravamo mai ritrovati in una stanza con così tante persone.

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