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Quello che so di Muccino

Cosa significa essere l'eroe italiano snobbato dal mondo.

Il sorriso piacione e beneaugurante (“nel senso che non ti auguro nessun male specifico”) perfettamente domenicale e nazionalpopolare, quello di Fabio Fazio quando accoglie l’ospite di turno a cui suonare la tamburella, non si fa neanche in tempo a insultarlo che è già venuto a noia: lo conosciamo (purtroppo) tutti. Non capita raramente che il suo divano sia teatro di exploit al limite del grottesco, né di vederlo cimentarsi in funamboliche leccate di culo anche ai malati di dissenteria. Storica fu l’ospitata di un Lapo Elkann al massimo della forma e della gloria, ma più recentemente, a dare sfoggio di un abuso tremendo di sostanze come l’ego, l’autoreferenzialità e l’assenza completa di onestà intellettuale, è stato Gabriele Muccino. C’è il video completo su youtube, guardatelo. Non sono tanto le gigantesche borse sotto gli occhi, il fatto che è ingrassato, o il suo modo di parlare smozzicato, sbiascicato e scomposto, a fare un brutto effetto. No no… state seriamente a sentire quello che dice l’eroe incompreso del cinema italiano all’estero: parla dell’America, di un terra magica ma ingrata, di una fabbrica chiamata Hollywood che, proprio come i sogni che produce, sa illudere e deludere. In soldoni, minchiate. Ma di quelle grosse e pesanti, che non solo coprono di ridicolo il personaggio che ci si sbrodola, ma rivelano anche tutta una mentalità che ha le radici in qualcosa di culturalmente diffuso.
Lui ci sperava tanto, e dopo una serie di film strabordanti di luoghi comuni, zeppi di personaggi mondimensionali ed evoluzioni involontariamente ridicole—QUINDI di travolgente successo in questo Paese—se ne era volato negli Stati Uniti per darsi alla conquista del mondo intero. Complice Will Smith, qualche produttore col diabete e tutti i deliri di onnipotenza che crescere a Roma Nord ti causa. Il problema è sorto quando, dopo un paio di film che non erano altro che la versione a budget più alto di quelli realizzati in patria, il gioco smette di essere divertente e, per varie ragioni, l’ultimo film è stato insultato dalla critica quanto snobbato dal pubblico USA (da noi sta uscendo giusto ora). Purtroppo si trattava anche del suo progetto più ambizioso, sia in termini di cast che di investimento economico. La reazione del regista di L'Ultimo Bacio è stata di antagonismo puro. Ovviamente gli fanno la guerra perché non è americano, utilizza linguaggi “complessi” e “coraggiosi” che non si possono incasellare nel rigidissimo sistema dei generi in cui l’industria cinematografica hollywoodiana è strutturata… ovviamente c’è in atto un boicottaggio nei confronti di qualcosa che metterebbe in crisi la maniera che questi signori hanno di fare soldi. Perché qui non si parla di soldi ma di emozioni, e il loro mondo preconfezionato non è pronto per una commedia su un ex-calciatore che cerca di ricostruire il rapporto con la famiglia. Ora: non mi interessa entrare nel merito e rivelare all’universo che i film di Muccino sono BRUTTI—significherebbe sparare su una croce più grossa che rossa. Non è questo il punto. Il fatto che infastidisce veramente in tutto ciò è questa pretesa di tornare in patria come sconfitto ma, in qualche modo, valoroso. Prendiamo l’ospitata da Fazio, ascoltiamolo bene: Muccino parla degli Stati Uniti in termini a cui non crederebbe manco mia nonna. A Los Angeles ci sono gli orsi, Tom Cruise gli ha insegnato a giocare a baseball, un misterioso sport col guantone che in Italia non possiamo certamente capire. Racconta un’America che sembra Happy Days guardato al contrario, che gli fa schifo anche se viverci lo rende indiscutibilmente più figo e lo pone su uno status di esistenza superiore. L’uomo che ha dato una carriera cinematografica a Enrico Silvestrin si impegola nella più brutta delle pose da conquistatore del West e, allo stesso tempo, sputa nel piatto in cui mangia. “Noi siamo duemila anni avanti,” dice, “socialmente parlando”…  sia mai che lo si accusi di essersi dimenticato da dove viene, proprio ora che ha un disperato bisogno di rifugiarsi in seno a mamma Italia (e a mamma RAI, parrebbe). In fin dei conti, non è altro che un italiano che si comporta da “italiano”. Si loda, si sbroda e si lagna: non l’hanno capito perché è troppo avanti, anzi è ANCORA più avanti perché conosce tutti e due i lati dell’oceano. Come Jovanotti, di cui ha diretto l’ultimo video e che è andato a vivere a New York perché c’ha i soldi e se lo può permettere, anche se gli è servita la scusa che andava ad “esplorare l’America.” Ed ecco ancora il sorriso di Fabio Fazio, accondiscendente, che tratta Gabriele come il grande artista che è sempre stato mentre gli garantisce che il Paese sta dalla sua. Il Paese sta dalla sua, senz’altro, ma nel senso che sono innumerevoli quelli che si comportano così. Mi verrebbero decine di esempi, ma ce n’è uno particolarmente vicino che vorrei raccontare: qualche anno fa, una ragazza proveniente dalla mia stessa città natale (Civitanova Marche) partecipò a X-Factor venendo eliminata abbastanza presto, credo al secondo o terzo episodio. Ovviamente per i giornali locali e per gli amici del baretto c’era una cospirazione in atto: ce l’hanno con i marchigiani, vincono i raccomandati, valorizzano solo i personaggi vendibili (e grazie, è X-Factor), SONO INVIDIOSI DEL SUO TALENTO. Impossibile accettare la sconfitta, ma tutte le probabili verità contenute tra queste critiche vengono completamente invalidate dal fatto che hai partecipato al gioco, ben conscio di cosa ti aspettava.

Lo stesso vale per Muccino e per tanti altri, schiacciati dalla paranoia della “meritocrazia” e della sua mancanza. Invece di crearsi una lega a parte, in cui poter giocare con tutte le regole che gli pare, generalmente i “creativi” italiani si ficcano sempre in quella in cui sanno già di partire svantaggiati, facendo perlopiù le cose a cazzo di cane e sollevando polveroni immensi quando non ottengono una fetta della torta che, apparentemente, spettava loro di diritto.
Tornando ancora una volta a Gabriele Muccino, un atteggiamento come questo fa ancora più effetto quando si pensa allo status generale del cinema italiano: non c’è né la voglia né la capacità di produrre qualcosa che abbia davvero una rilevanza, oltre le macchiette del cinema di una volta o di oltreoceano, ma siamo comunque incompresi e snobbati da un mondo invidioso—non è dato sapere di cosa. Non è un mistero che le commedie sentimentali americane facciano schifo né che a X-Factor vincano solo i più farlocchi; quello che aveva provato ad essere ancora più farlocco, però, non può sognarsi di uscirne pulito e sparare sentenze. Ogni Paese ha i suoi motivi per amare i talent show: nel caso dell’Italia credo proprio si tratti del loro essere terreno fertilissimo per questo tipo di polemiche, che tanto ci piacciono. Ciò a cui bisogna davvero reagire è il perenne ping-pong tra snobismo e lassismo. A guardare il Paese più in generale, si nota quanta sia la gente che fugge dall’Italia per necessità sacrosante, finendo molte volte per guardare i compaesani dall’alto in basso, mentre quelli gli rispondono dando loro degli stronzi e dei parvenu mentre si grattano le chiappe. Buoi che dicono cornuti agli asini, e asini che rispondono recchioni: un Paese di gente che si sporca più la lingua che le mani.

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