Appesi

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Appesi

Un progetto fotografico sulle persone che si rilassano con buchi, ganci e molto sangue.

Stefano Moscardini è un fotografo e negli ultimi tre anni ha documentato chi nella vita ha deciso che il modo migliore per rilassarsi passa per molto sangue, buchi e un mucchio di ganci. Il risultato è Suspension of Disbelief, un progetto fotografico autoprodotto uscito qualche giorno fa e per ora reperibile soltanto online.

Al centro di tutto c'è la sospensione corporale, una pratica antica della quale normalmente si conosce soltanto il lato più "estremo". Stefano ha cercato di porsi da un punto di vista oggettivo, seguendo eventi in diversi Paesi europei nel tentativo di capire cosa spinga qualcuno a infilzarsi con ami da pesca e farsi sollevare in aria per poi apparire immediatamente più felice e in pace col mondo. Dato che anche noi eravamo curiosi di scoprirlo, l'abbiamo sentito per un'intervista.

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VICE: A quando risale il progetto?
Stefano Moscardini: L'idea di realizzare un reportage è nata nel 2009. Lavoravo in uno studio di provincia, ero molto stanco e avevo bisogno di qualcosa di nuovo. Tutto quello che mi serviva era un soggetto forte, qualcosa che mi incuriosisse e che potesse interessare un pubblico. Perché proprio le sospensioni?
In parte la conoscevo già. La body modification mi ha sempre incuriosito, un paio di miei amici sono discretamente modificati e quando hanno iniziato a sospendersi hanno cominciato a parlarmene un sacco. L'aspetto che più mi colpiva era il contrasto tra il dolore della sospensione e la gioia di chi lo faceva. Era evidente che ci fosse qualcosa da capire. Quand'è, invece, che hai capito che il progetto stava prendendo forma?
Suspension of Disbelief ha sempre avuto una forma più o meno definita, nel corso del progetto quello che è cambiato sono stato io. All'inizio pensavo di dover trasmettere quello che vedevo, oggettivamente, poi ho sperimentato la carica emotiva di una sospensione e ho capito che la storia da raccontare era proprio la mia esperienza, e il mio prendere coscienza della natura della suspension. Perché uno decide di farsi agganciare? Ritualità, esorcizzazione del dolore?
Per mille motivi. Conosco persone che lo fanno per puro e semplice divertimento e altre per scaricare lo stress. Ci sono anche motivazioni più profonde, ovviamente, come la ricerca di un contatto più diretto con la propria corporeità e i propri limiti, compreso quello del dolore. E poi ci sono quelli che lo fanno semplicemente per dimostrare a se stessi o agli altri che sono in grado di farlo. Quanto durano le 'sedute'?
Dipende dal tipo di sospensione. Le one point chest, di norma, durano molto poco, perché tutto il peso del sospeso scarica su un singolo gancio attaccato alla pelle dello sterno. Il dolore in questo caso è particolarmente intenso e la compressione della cassa toracica impedisce di respirare, quindi i tempi sono forzatamente ristretti. Al contrario, le sospensioni che impiegano molti ganci possono durare anche ore, perché peso e dolore sono distribuiti in maniera più uniforme. Hai cominciato il tuo progetto nel 2009, quindi avrai assistito a un buon numero di eventi; qual è stata la cosa più strana che ti è capitato di vedere? Hai mai assistito a qualche incidente? 
Non saprei; alla fine, quello che all'inizio mi sembrava strano, è diventato assolutamente normale. Le one point chest sono sospensioni sicuramente dolorose, forse però l’esperienza più intensa a cui ho assistito è stata quella di una giovane ragazza croata che si è sospesa per la prima volta in una residenza privata, davanti a pochissime persone e a lume di candela. Ho potuto seguirla durante questa sua prima sospensione e mi sono sentito molto coinvolto. Di incidenti seri non ne ho mai visti. Gli incidenti sono la conseguenza di una scarsa preparazione e per fortuna ho avuto la possibilità di seguire i migliori team d'Europa. A volte la pelle si strappa, in qualche raro caso una persona sospesa può svenire, ma sono inconvenienti da poco, se il team è preparato. Come reagisce il pubblico? Quello del giro, ma anche i passanti.
Chi fa parte del giro applaude. Il pubblico generico di norma rimane molto colpito da quanto i sospesi siano felici, durante e dopo le sospensioni, e se la gente si avvicinasse senza preconcetti, rimarrebbe incredula davanti all'insospettabile positività che si nasconde in questa pratica. È anche per questo che ho portato avanti il progetto. Dalle tue foto si capisce che quella della sospensione è una pratica per pochi. Tutti sembrano appartenere a quel mondo che è tattuaggi (tanto) e piercing (tantissimo), è sempre così? Ti è mai capitato di incontrare persone fuori da questo giro?
Sì, diciamo che la maggior parte degli entusiasti viene dall'industria del tatuaggio e del piercing o in qualche modo ha fatto suo il concetto di body modification. Ma non è in alcun modo una regola assoluta, c'è un discreto numero di outsider che si avvicinano alla pratica passando per canali completamente diversi, sia in Italia che in altre parti dell'Europa. Ma una volta che sei dentro diventi parte di un gruppo unito, e va a finire che tutti conoscono tutti.
La comunità è estremamente legata, ma questo credo dipenda dal fatto che la pratica è relativamente giovane. Quasi tutti gli organizzatori, a livello mondiale, si conoscono. Le competenze tecniche della sospensione provengono da poche fonti e quindi le strade da seguire per ricevere un "addestramento" arrivano sempre dalle stesse persone. In più capita spessissimo che gli organizzatori di un Paese invitino ai loro eventi altri organizzatori stranieri e viceversa. È un fenomeno che aiuta molto a tenere vivi i rapporti umani, soprattutto quando ci sono parecchi chilometri tra un appassionato e l’altro. Nessuno ti ha mai chiesto di provare?
Assolutamente sì. Gli amici del giro scherzano un sacco sul fatto che prima o poi toccherà anche a me. Ma ancora niente?
No, non mi sono mai sospeso. Ci ho riflettuto molto, ma alla fine ho ritenuto più opportuno mantenere un punto di vista esterno, da spettatore. Se mi fossi sospeso, probabilmente avrei vissuto un'esperienza impossibile da riportare attraverso fotografia e parole, e di conseguenza avrei fatto un lavoro incompleto. Tutte le foto fanno parte del progetto Suspension of Disbelief di Stefano Moscardini. Il progetto è reperibile online sul sito www.stefanomoscardini.it o sulla pagina Facebook qui.

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